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Com’è andato il primo giorno del Siren festival di Vasto

Un festival a misura d’uomo, con tre palchi molto vicini e la vista sul mare. La formula del Siren festival di Vasto è essenziale e poco pretenziosa. La manifestazione nella città abruzzese, quest’anno alla seconda edizione, è una mosca bianca nel panorama italiano. Ed è questa la sua forza.

Prima di tutto stiamo parlando di un festival vero, sul modello di quelli stranieri, non di una rassegna. La sensazione è che le persone vengano qui un po’ a prescindere, per viversi l’esperienza, non solo per i singoli gruppi o musicisti. Una specie di versione tascabile e nostrana del Primavera sound, vista sul Mediterraneo compresa. La manifestazione inoltre mescola i generi in modo molto laico, abbattendo gli steccati tra rock ed elettronica. Far suonare Jon Hopkins dopo i Verdena nel 2015 non dovrebbe essere considerato più un azzardo, ma in Italia sembra ancora esserlo.

Ad accogliere gli spettatori nella seconda giornata del festival (la prima si è aperta giovedì con il concerto di Gareth Dickson) c’era un’atmosfera molto rilassata. Camminare al tramonto per le vie del centro di Vasto, colonizzato quasi completamente dal Siren festival, è un buon modo per prendere le misure.

Il mio Siren festival si è aperto con Iosonouncane alle 19, che ha suonato a Porta san Pietro, eseguendo per intero il suo ultimo album, Die. Come al solito, si è presentato da solo, dannandosi con il computer e i sintetizzatori per rendere dal vivo la complessità del disco. Come al solito, c’è riuscito in modo brillante.

La sorpresa della giornata è Gazelle Twin, nome d’arte della cantante e produttrice britannica Elizabeth Bernholz, che ha suonato a piazza del Popolo. Un concerto intenso, grazie ai cupi beat elettronici e alla presenza scenica di Bernholz, nascosta dietro una maschera inquietante.

Sun Kil Moon

Lo show migliore, invece, è stato quello di Sun Kil Moon, al secolo Mark Kozelek. Il cantautore di Massillon, Ohio, ha un brutto carattere (per usare un gigantesco eufemismo), ma ha alle spalle una raccolta di canzoni di tutto rispetto. E sa come tenere il palco. Ha zittito il pubblico prima di ogni singola canzone, cercando di creare un’atmosfera raccolta, quasi funebre, e promettendo ogni volta che sarebbe stato “meraviglioso”. Poi piano piano si è ammorbidito, fino a chiudere lo show con messaggi di amore universale per gli spettatori e i suoi musicisti. Tra un suo capriccio e l’altro, c’è stata solo musica di alto livello, con picchi sui brani Carissa, Caroline e nel toccante omaggio a Nick Cave (il figlio di Cave è morto la settimana scorsa in un incidente) con la cover di The weeping song.

I nomi di punta di questa prima giornata erano i Verdena e Jon Hopkins. I primi, come sempre, non hanno deluso. Il muro sonoro, specialità della casa, si è abbattuto sul pubblico di Vasto con la solita forza. In scaletta i Verdena hanno messo soprattutto brani di Endkadenz vol. 1, l’ultimo disco, ma anche qualche chicca dal passato, come Valvonauta e Don Callisto.

I Verdena

Jon Hopkins ha suonato un po’ tardi, dopo le due, perché è arrivato in ritardo con il volo dall’Inghilterra. Ma è sempre Jon Hopkins, cioè uno dei nomi di punta dell’elettronica mondiale. Il suo è stato un set più minimalista e “freddo” del solito, ma va bene così.

Il Siren festival di Vasto funziona. È una manifestazione non pensata per fare grandi numeri, ma punta tutto sull’atmosfera, sul paesaggio (Vasto è davvero bella, sia di notte sia di giorno) e su un programma coraggioso.

Un particolare da non sottovalutare: per vedere i concerti non ho fatto nessuna coda, per passare da un palco all’altro non mi sono mai trovato in mezzo alla calca. Non capita spesso di vivere i concerti in modo così rilassato.

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