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Un passo indietro per l’umanità

In un carcere di New York, Stati Uniti, anni sessanta. (Bettmann/Getty Images)

Nel 1943 in alcune grotte dell’Addaura, a Palermo, furono ritrovate delle incisioni rupestri abbastanza uniche. I disegni sulle pareti ritraggono diverse figure umane che ballano in cerchio attorno a due persone stese a terra. Sembrano ritrarre scene di festa, ma se si guarda bene ci si accorge di alcuni dettagli inquietanti: i due a terra hanno dei cappucci in testa e dei cappi al collo. I disegni risalgono a ventimila anni fa e sono probabilmente tra le prime testimonianze di un’esecuzione.

Nel 1757 Robert-François Damiens provò a uccidere il re Luigi XV. Catturato e condannato a morte, fu torturato e ucciso in piazza. “Il suo corpo tirato e smembrato da quattro cavalli”, scrisse un giornale dell’epoca.
Nel 1928 Ruth Snyder fu uccisa sulla sedia elettrica nel carcere di Sing Sing a New York, negli Stati Uniti, per l’omicidio del marito. Non era permesso scattare foto, ma Tom Howard riuscì a farne una legandosi una macchinetta portatile alla caviglia. Quella che fu pubblicata in prima pagina sul Daily News è la prima foto di un’esecuzione attraverso la sedia elettrica.

Il 25 gennaio 2024 Kenneth Eugene Smith, 58 anni, condannato per l’omicidio di una donna nel 1988, è stato giustiziato nel carcere di Atmore, in Alabama, attraverso l’inalazione d’azoto. È stata la prima esecuzione al mondo con questo metodo. Smith ha respirato l’azoto da una mascherina e per diversi minuti si sarebbe agitato e contorto sulla barella. Nella sua ultima dichiarazione prima di morire ha detto: “Stasera l’Alabama fa fare all’umanità un passo indietro”.

Negli Stati Uniti la pena di morte è stata abolita in molti stati, ma in altri è ancora legale e largamente difesa da leader politici come la governatrice repubblicana dell’Alabama Kay Ivey. I metodi usati per eseguirla sono stati diversi: dalle impiccagioni alle sedie elettriche, alle iniezioni letali. L’ipossia si ottiene mettendo una maschera sulla faccia di una persona per costringerla a respirare azoto, fino a privarla del tutto di ossigeno. Secondo le Nazioni Unite è “una forma di tortura”. I veterinari dicono che è meglio non usarla per abbattere mucche o cavalli.

Nel caso di Smith, così come in altri, è stato concesso ad alcuni giornalisti di assistere all’esecuzione. Si può leggere questa possibilità in due modi. Da un lato la presenza dei mezzi d’informazione permette di documentare uno scandalo. Ma dall’altro si rischia di replicare la doppia funzione delle torture in piazza del settecento-ottocento: mostrare la violenza della pena era parte della pena stessa, un monito per i criminali e per tutti; ma serviva anche a saziare la fame di vendetta sociale contro chi aveva commesso un reato. “​​Veder soffrire fa bene, far soffrire fa ancora meglio”, scriveva il filosofo Friedrich Nietzsche in Genealogia della morale.

Ventimila anni dopo le scene mostrate nelle grotte dell’Addaura, bisogna chiedersi se l’esecuzione di Kenneth Smith sia un punto d’arrivo o piuttosto, terribilmente, di partenza.

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