17 gennaio 2023 13:14

Joe Nathan James, Kenneth Eugene Smith e Alan Eugene Miller erano tre detenuti condannati a morte in Alabama di cui avevo già parlato nel novembre del 2022. Il primo è morto nella stanza delle esecuzioni del penitenziario di Atmore il 28 luglio al termine di una procedura durata più di tre ore, in cui gli operatori hanno eseguito vari tagli in un braccio prima di riuscire ad arrivare a una vena in cui iniettare i farmaci per l’iniezione letale. Il secondo e il terzo sono ancora vivi, perché le loro esecuzioni sono state interrotte a causa delle stesse difficoltà nell’inserimento degli aghi. Per questo gli attivisti per i diritti dei detenuti hanno chiamato il 2022 “l’anno delle esecuzioni fatte male”.

Dopo l’ultimo caso, quello di Smith, lo stato dell’Alabama ha annunciato una revisione della procedura di esecuzione per capire come risolvere il problema. “Invece di intraprendere un percorso verso l’innovazione morale, cioè mettere in discussione la pena di morte, le autorità statali hanno scelto l’innovazione tecnologica”, scrive Elizabeth Bruenig, la giornalista che ha seguito questa storia per l’Atlantic. “Sembra infatti che lo stato abbia seriamente intenzione di sperimentare un nuovo tipo di esecuzione con gas letale”.

Una serie di incognite
La procedura sarebbe diversa da quella usata nelle prigioni statunitensi fino a qualche decennio fa, in cui piccole celle venivano riempite di una sostanza che alla fine distruggeva gli organi dei detenuti, provocandone la morte. Ora lo stato propone di togliere ai detenuti l’ossigeno e di sostituirlo con l’azoto, causando la morte per ipossia. Se n’era già parlato anni fa, quando Alabama, Mississippi e Oklahoma avevano approvato l’uso dell’azoto per le esecuzioni. Ma la procedura non è mai stata applicata perché comporta una serie di incognite che la rendono potenzialmente pericolosa. I problemi emersi nel 2022 potrebbero però portare le autorità statali a puntare con decisione su questo metodo.

Bruenig spiega che non è la prima volta, nella storia degli Stati Uniti, che le esecuzioni attraverso gas letale sono considerate un’innovazione. “Nel marzo del 1921 il governatore del Nevada, Emmet Boyle, firmò lo Humane execution bill (legge per l’esecuzione umana), che sostituiva i metodi più antichi e brutali – l’impiccagione e l’elettrocuzione – con un modo di morire che prometteva di essere indolore e incruento”.

Si capì presto che le speranze erano mal riposte. L’8 febbraio 1924 i funzionari della prigione del Nevada portarono Gee Jon, un immigrato cinese, in una casa in pietra che era stata riconvertita per le esecuzioni letali. Lo spazio sarebbe stato inondato con una forma gassosa di acido cianidrico, una sostanza altamente tossica usata nell’industria per produrre fertilizzanti e sterminare gli insetti. “Quella mattina i testimoni osservarono dalla finestra della casa Gee che rantolava e si contorceva in mezzo alla nebbia di gas letale che riempiva la stanza. Un medico militare presente quel giorno avrebbe poi spiegato che il riscaldamento della casa si era rotto, di conseguenza il gas si era liquefatto parzialmente invece di vaporizzarsi e si raccolse sul pavimento della camera, dove rimase per ore dopo la morte di Gee. Lo stesso medico avrebbe poi ipotizzato che Gee, avvelenato alle 9.45 di mattina di una giornata gelida e rimasto incatenato fino a mezzogiorno, era probabilmente morto per il freddo”.

Dopo quel giorno più di seicento persone sono morte nelle camere a gas delle prigioni statunitensi. “È sorprendente”, scrive la giornalista, “che gli Stati Uniti abbiano usato questo metodo per uccidere i prigionieri anche dopo che le camere a gas erano ormai associate in modo indissolubile alla Germania nazista”. Molti di quei detenuti morirono tra grandi sofferenze, e alla fine del secolo quella procedura fu abbandonata in tutto il paese. L’ultimo a essere ucciso con il gas fu Walter LaGrand, un detenuto dell’Arizona, nel 1999. LaGrand, un americano di origine tedesca condannato per omicidio, fu imbavagliato e immobilizzato e morì dopo diciotto minuti.

Secondo alcune indiscrezioni, il piano attuale delle autorità dell’Alabama prevede di usare una maschera sigillata collegata a una fonte di gas azoto per indurre l’ipossia in un prigioniero immobilizzato. “L’azoto è economico e facilmente reperibile”, spiega la giornalista, “ma è anche estremamente pericoloso. Impiegato in un carcere, potrebbe rappresentare un rischio per il personale in caso di perdite. Nel 2022 una fuga di azoto liquido in un impianto di pollame della Georgia ha provocato sei morti e undici ricoveri”.

Qualche settimana fa un portavoce di Airgas, un distributore nazionale di gas industriali che in passato ha collaborato con l’amministrazione penitenziaria dell’Alabama, ha detto a Bruenig che “la fornitura di azoto per le esecuzioni non è compatibile con i nostri valori aziendali. Pertanto Airgas non ha fornito e non fornirà azoto o altri gas inerti per indurre l’ipossia ai fini dell’esecuzione di esseri umani”. Sembrerebbe quindi improbabile che l’Alabama, dopo non essere riuscito a eseguire le condanne a morte con l’iniezione letale, decida di ricorrere a una procedura che non è mai stata testata e per cui è difficile reperire i composti. Ma, avverte Bruenig, non bisogna sottovalutare la determinazione dei politici di quello stato quando si tratta di mettere a morte delle persone.

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