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Come non leggere i libri avuti in prestito

Gentile bibliopatologo,
necessitiamo di una sua consulenza. Si tratta della spinosa situazione del ricevere in prestito libri che non sono stati richiesti e che non si ha alcun interesse a leggere. Da più di un anno entrambe abbiamo diversi volumi, sequestrati in cima alla mensola dei libri da leggere, che puntualmente vengono scartati in quanto personae non gratae. Quali sono le condizioni per liberare questi prigionieri? Riconsegnarli negletti e impolverati ai legittimi proprietari non pare un’opzione percorribile. Come faremo a confessare che no, non abbiamo neanche fatto un tentativo di leggere il tuo libro preferito, e che lo abbiamo sempre ignorato con pregiudizio? Tanto vale macchiarsi del peccato più grave, quello di coloro che non riconsegnano i libri ricevuti in prestito. Ma come convivere poi con il senso di colpa che ci assale ogni volta che si deve attingere dalla mensola o con l’angoscia provocata dalla temuta domanda se ci sia piaciuto il diabolico volumetto?

-Anonime Collegiali

Care Anonime Collegiali,
potrei consigliarvi, banalmente, di far finta di aver letto il diabolico volumetto. Non è difficile, non richiede sforzi particolari e ci sono già due manuali che insegnano come farlo. Il primo, e più noto, è Comment parler des livres que l’on n’a pas lus (2007) di Pierre Bayard; il secondo, Who’s afraid of Jane Austen? How to really talk about books you haven’t read (2008) di Henry Hitchings, è nato in risposta al primo. Hitchings rimprovera a Bayard di affrontare la questione in modo troppo teorico, e preferisce seguire la via del pragmatismo anglosassone. I suoi consigli di non lettura vi porterebbero a vincere l’angoscia della tanto temuta domanda e a tacitare il senso di colpa (verso il prestatore; quanto al senso di colpa verso il libro e il suo autore, è tutta un’altra faccenda).

Oltretutto, l’espediente è eticamente inattaccabile e risponde a criteri di cortesia che in altri ambiti applichiamo senza remore: non appendiamo forse in fretta e furia quel poster orribile con il tramonto e i gabbiani cinque minuti prima che salga l’amico che ce l’ha regalato? E non indossiamo il maglione patchwork a rombi color senape, dono della zia o della suocera, per compiacerla al pranzo di Natale? E perché non dovremmo usare la gentile ipocrisia di fingere di aver letto un libro che non fa per noi, ma a cui un’altra persona sembra tener tanto? È una pia fraus, un’impostura mossa da buoni sentimenti.

Equilibrio della deterrenza
Ma un consiglio del genere implicherebbe l’accettazione delle vostre premesse – il senso di colpa, l’angoscia, la soggezione imbarazzata di chi si sa in difetto. E invece tenterò di convincervi che sono premesse sbagliate, usando un argomento teorico alla Bayard e un argomento pragmatico alla Hitchings.

Primo: chi vi presta a cuor leggero un libro vi sta in realtà chiedendo in prestito, anzi in dono (perché non si può dare indietro) qualcosa di molto più prezioso, il vostro tempo e la vostra attenzione. Se proprio qualcuno deve sentirsi in colpa e in difetto, è lui, non voi. Da questo ribaltamento concettuale, che porta con sé anche una redistribuzione dei rapporti di forza, discende il mio consiglio pratico: per ogni libro che vi prestano, prestatene un altro che siete certi che il destinatario non ha la minima intenzione di leggere.

Quando entrambi, voi e l’amico, avrete in mano un ostaggio, si creerà un equilibrio basato sulla deterrenza, o una di quelle situazioni da teoria dei giochi come il famoso dilemma del prigioniero. Se l’amico sceglierà di leggere il libro (o fingere di averlo letto: non cambia), usate pure i trucchetti di Hitchings e sarete a posto. Ma qualcosa mi dice che di quei due libri, nei successivi decenni di amicizia, non si farà menzione. Fino alla tomba.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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