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Ora tocca a Boris Johnson occuparsi della Brexit

Il ministro degli esteri Boris Johnson arriva a Downing street per la prima riunione di governo con Theresa May, il 19 luglio 2016. (Daniel Leal-Olivas, Afp)

Fin qui tutto bene. Il 18 luglio Boris Johnson, leader della campagna per l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea al referendum del 23 giugno e oggi ministro degli esteri britannico, è riuscito a concludere il suo primo incontro con i suoi 27 colleghi europei senza insultare nessuno.

I ministri degli esteri dell’Unione erano riuniti a Bruxelles per un incontro con il segretario di stato americano John Kerry, e Johnson si è comportato da persona civile. Non ha definito nessuno un “cyborg austriaco che si esprime a monosillabi” (Arnold Schwarzenegger) o un “guerrafondaio texano fuori di testa” (George W. Bush).

La sua recente poesia sul presidente turco Recep Tayyip Erdoğan che fa sesso con una capra non è stata citata, dato che non erano presenti cittadini turchi. Non c’erano neanche russi, quindi nessuno lo ha rimproverato per aver detto che Vladimir Putin somiglia a Dobby, l’elfo domestico di Harry Potter.

Kerry ha dimostrato molto tatto evitando qualsiasi riferimento al fatto che Johnson avesse definito Hillary Clinton una “bionda tinta con le labbra gonfie e uno sguardo freddo e livido da infermiera sadica di un ospedale psichiatrico”. Le buffonate di Johnson sono molto amate dalla stampa britannica, ma bisogna ammettere che si tratta di una strana scelta come capo della diplomazia.

Il suo non è stato l’unico nome sorprendente nel nuovo governo della premier Theresa May. L’uomo che avrà il difficile compito di negoziare l’uscita del paese dall’Unione europea è David Davis, che fino a due mesi fa pensava che la soluzione fosse fare dei negoziati separatamente con ciascuno stato, quando i membri dell’Unione negoziano sempre in blocco.

Ma Davies era una delle figure di spicco della campagna per l’uscita dall’Unione, e quindi ha comunque ottenuto l’incarico. Anche Liam Fox, il nuovo segretario al commercio internazionale cui spetterà l’ingrato compito di negoziare nuovi accordi commerciali con vari paesi del mondo per compensare la perdita del mercato comune europeo (accordi che non potranno entrare in vigore finché il Regno Unito non sarà effettivamente uscito dall’Unione), è stato uno dei più importanti sostenitori della Brexit.

Quindi May (che voleva restare nell’Unione e probabilmente pensa ancora che sarebbe stato meglio per tutti) ha affidato ai tre principali esponenti della campagna per la Brexit il difficilissimo compito di trovare un modo affinché il Regno Unito esca dall’Unione senza pagare un grave prezzo economico. Johnson, Davies e Fox non sono certo le persone più adatte a un incarico del genere, quindi viene da chiedersi cosa abbia in testa May.

Passeranno almeno due anni prima che l’esito dei negoziati venga reso noto, e allora molte cose saranno cambiate

Una parte della sua strategia è ovvia: “Tieni i tuoi nemici vicino”. Alle prese con i loro impegni ministeriali, i tre avranno meno tempo per complottare contro di lei. Ma c’è un altro adagio che spiega la situazione: “Dai ai tuoi nemici abbastanza corda, e questi ci s’impiccheranno”.

I sostenitori della Brexit hanno vinto il referendum promettendo che l’uscita dall’Unione sarebbe stata semplice e indolore. Si occupino quindi loro di negoziarla, prendendosi la colpa per le durissime condizioni che il Regno Unito sarà probabilmente costretto ad accettare.

Un’altra squadra avrebbe potuto ottenere condizioni migliori? Di certo Johnson è estremamente impopolare in Europa. Il ministro degli esteri francese Jean-Marc Ayrault ha dichiarato che Johnson “ha detto un sacco di bugie al popolo britannico e adesso è lui con le spalle al muro”. Ma anche un personaggio meno discutibile avrebbe ottenuto probabilmente gli stessi accordi. Non è una questione di personalità.

Per May il grosso vantaggio di affidare i negoziati agli euroscettici è che nessuno le potrà dire che una squadra più convinta avrebbe strappato un migliore accordo. E forse allora potrà addirittura dire che l’accordo è talmente pessimo che il Regno Unito dovrebbe indire un altro referendum (o delle elezioni anticipate) sull’argomento prima di uscire davvero dall’Unione. Adesso non può fare niente del genere, quindi deve limitarsi a dire “Brexit is Brexit”. Ma passeranno almeno due anni prima che l’esito dei negoziati venga reso noto, e allora molte cose saranno cambiate.

La sterlina potrebbe valere ancora meno (secondo alcuni potrebbe addirittura arrivare alla parità con il dollaro). L’economia britannica sarà probabilmente in recessione, o addirittura in piena crisi finanziaria, con gli investimenti esteri in calo e un deficit commerciale sempre più ingestibile. Molti posti di lavoro saranno stati persi e gli elettori britannici potrebbero essere d’umore diverso rispetto a oggi.

O forse saranno ancora più arrabbiati con quegli stupidi stranieri che non accettano il fatto che il mondo è tenuto a mantenerli. Non è possibile prevedere con esattezza quali saranno le evoluzioni politiche. Ma May non perde niente a lasciare che i tre sostenitori della Brexit provino a trasformare le loro promesse in realtà. E quando falliranno, com’è inevitabile, potrebbe anche presentarsi la possibilità di rovesciare l’esito del referendum.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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