×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

La farsa del piano di Trump per la pace tra Israele e Palestina

Donald Trump accoglie Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca, Washington, il 27 gennaio gennaio 2020. (Mark Wilson, Getty Images)

Il presidente Donald Trump e il suo buon amico Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, erano insieme sul palco, mentre una platea di funzionari statunitensi e israeliani applaudiva appena era possibile farlo. Trump e Netanyahu parlavano di una “soluzione dei due stati”, uno sarebbe lo stato palestinese. Ma non c’era un solo palestinese nella stanza.

L’oltretomba del principio dei “due stati” dura ormai da molto più tempo di quanto non sia durata la sua vita. È nato durante gli accordi di pace di Oslo del 1993, fondati sulla convinzione che nonostante Israele avesse conquistato tutta la Palestina storica nel 1967, non potesse continuare a dominare milioni di arabi per sempre.

Pace e prosperità sarebbero potute arrivare, quindi, solo se anche i palestinesi avessero avuto il loro stato. Il principio di Oslo prevedeva che dovessero esserci due stati democratici ed egualitari che vivessero fianco a fianco, uno israeliano e uno palestinese: la “soluzione dei due stati”. Ma tale soluzione non è sopravvissuta neppure al ventesimo secolo.

Accordo soffocato
Yitzhak Rabin, il primo ministro israeliano che aveva firmato l’accordo di Oslo, è stato assassinato da un estremista di destra ebreo nel 1995. Il suo successore, “Bibi” Netanyahu, ha soffocato l’accordo nella culla prima che si chiudesse il suo primo mandato da primo ministro, nel 1999.

Gli accordi di Oslo sono morti perché i nazionalisti palestinesi non volevano accettare uno stato che includesse solo un sesto dell’ex Palestina, e i nazionalisti israeliani non vedevano perché mai gli arabi palestinesi dovessero avere così tanta terra. E in realtà, poiché l’area era controllata dall’esercito israeliano, i coloni ebrei stavano già costruendo delle città in tutta la zona occupata.

Eppure, anche due decenni dopo nessuno ammette pubblicamente che la soluzione dei due stati sia morta e sepolta, perché dirlo implica l’obbligo di discutere delle alternative rimaste: e nessuna di queste è valida. È per questo che pure in questo strano “accordo” bidone, preparato da Trump e Netanyahu senza alcuna partecipazione palestinese, si parla ancora di due stati.

A ogni rilancio, si riducono le dimensioni dello stato immaginario offerto ai palestinesi

A ogni rilancio, si riducono le dimensioni dello stato immaginario offerto ai palestinesi. Con Israele che si appresta ad annettere formalmente gli insediamenti ebraici nella Cisgiordania occupata, la sua superficie è all’incirca il 10 per cento della Palestina storica, e non vedrà mai davvero la luce. Eppure l’obiettivo fittizio di uno stato palestinese deve comunque essere conservato. Ma perché?

Quando il genero di Trump, Jared Kushner, ha svelato la sua “idea” di stato palestinese, fatta di varie dozzine di piccole enclave collegate da trafori e sopraelevate, in molti non hanno potuto fare a meno di pensare ai bantustan del Sudafrica.

I bantustan erano stati creati dal regime di apartheid per dare l’illusione di libertà e autodeterminazione alle popolazioni nere oppresse in Sudafrica. Non hanno mai ingannato nessuno, ma hanno permesso al regime di sostenere che rispettava i diritti democratici dei neri. Semplicemente non potevano votare in Sudafrica, che rimaneva un paese per bianchi. La mappa di Kushner sta cercando di replicare lo stesso trucco.

La contraddizione dello stato ebraico
Una reale soluzione dei due stati è politicamente invendibile in Israele, in parte a causa delle preoccupazioni legate alla sicurezza della maggioranza ebraica, ma soprattutto perché i coloni ebrei vogliono una porzione troppo ampia del territorio su cui un simile stato palestinese verrebbe creato.

Ma i palestinesi non scompariranno, e sono circa cinque milioni. Hanno già vissuto sotto il regime militare israeliano per oltre cinquant’anni. Davvero si può giustificare l’idea di lasciarli per altri cinquant’anni sotto il giogo di un’occupazione militare?

Israele in realtà non ha bisogno dell’assenso dei palestinesi

Se la risposta è no, le alternative rimaste sono una soluzione dei due stati o una monostato, nella quale Israele annetterebbe tutti i territori occupati. Ma se Israele lo farà davvero, cinque milioni di arabi palestinesi potranno votare alle elezioni israeliane: Israele smetterà di essere uno “stato ebraico”, anche se resterà democratico.

Oppure si deciderà di non farli votare, e in tal caso Israele diventerà uno stato d’apartheid. È per questo che la soluzione zombi dei due stati continua a tornare dall’oltretomba. Israele in realtà non ha bisogno dell’assenso dei palestinesi, ma deve continuare a parlare di una specie di stato palestinese oppure semplicemente rassegnarsi a essere essenzialmente una tirannia etnica.

Si tratta di una politica a lungo termine sostenibile? Può anche darsi di sì. Israele è la superpotenza militare regionale, impossibile da sconfiggere per qualsiasi combinazione di stati arabi, i quali peraltro hanno perlopiù perso ogni interesse per la sorte dei palestinesi.

È per questo che non era necessario che alcun palestinese assistesse al grande svelamento dell’“accordo di pace” Trump-Netanyahu di questa settimana. L’assenso dei palestinesi non è necessario, e quando lo rigetteranno potranno essere denigrati per il loro rifiuto della “pace”. Netanyahu lo capisce perfettamente. Che lo capisca anche Trump o meno, non importa neppure.

(Traduzione di Federico Ferrone)

pubblicità