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Un altro me dietro le sbarre


Un altro me
Di Claudio Casazza
Con Paolo Giulini, Francesca Garbarino. Italia, 2017, 83’

Un altro me è un documentario che raccoglie conversazioni tra alcuni psicologi e un gruppo di detenuti del carcere di Bollate, vicino a Milano, condannati per reati sessuali. A colpire subito è l’apparente normalità e l’ordinarietà dei detenuti. In un certo senso viene in mente la “banalità del male” coniata da Hannah Arendt per descrivere Adolf Eichmann. Ma in questo caso l’idea è applicata a degli uomini che hanno commesso reati sessuali.

Le ragioni che li hanno spinti a compierli sono le più varie: una particolare aggressività, indifferenza verso la vittima e soprattutto ignoranza. Alla base di tutto c’è l’incapacità di limitare i propri impulsi sessuali a quello che è consentito dalla legge e dalla volontà dell’altro. Uno di loro ha costretto, con la pistola, la sua compagna a un atto sessuale pensando che fosse un gioco. Un altro ha rimorchiato una ragazza apparentemente consenziente in discoteca, e quando lei ha detto “no” lui l’ha violentata. Un altro ancora si è fatto prendere la mano durante dei giochi di bondage e dominazione. Per formare il gruppo di detenuti da intervistare forse sono stati scelti i casi meno estremi ma Un altro me rimane un documentario inquietante che instilla un dubbio su quanta poca distanza ci sia tra chi è “dentro” e chi è “fuori”.

Questa rubrica è stata pubblicata il 7 aprile 2017 a pagina 94 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati

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