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La ripresina dell’occupazione non è solo un frutto del Jobs act

Stabilimento per la produzione di pasta di semola di grano duro a Imperia, luglio 2013.

Urne vuote, fabbriche piene? Piovono dati rosa per il governo, dopo quelli grigi del voto di domenica: 159mila occupati in più in aprile, il tasso di disoccupazione che segnala una timida inversione di tendenza, perfino un piccolo segnale di vita dalle parti del lavoro giovanile.

Ci si riferisce al mese di aprile, che è il secondo mese dall’entrata in vigore del Jobs act, il quarto dall’introduzione degli incentivi alle assunzioni. Il che vuol dire che è anche il secondo mese in cui le imprese hanno potuto godere contemporaneamente dei due effetti combinati: uno sgravio di circa settemila euro per ogni persona che si assume a tempo indeterminato, e un regime giuridico che rende il tempo indeterminato non più tale, con i contratti a tutele crescenti.

Ma aprile è anche il quarto mese dall’inversione della curva del pil, tornato in leggera ripresa da gennaio, con l’uscita dell’Italia dalla recessione. Le tre novità – congiuntura, sgravi e Jobs act – vanno tenute presenti tutte insieme, per leggere i dati di aprile. E per valutare quelli del primo trimestre del 2015, che l’Istat ha diffuso in contemporanea: lì c’è un approfondimento molto maggiore su quel che è successo, andando a guardare le differenze tra territori, settori, tipologia di contratti.

Ad aprile ci sono stati 159mila occupati in più rispetto a marzo, il tasso di occupazione è salito di 0,7 punti percentuali ed è adesso al 56,1 per cento. Questo valore generale è più alto se si guarda solo ai maschi (64,8 per cento, sugli uomini attivi tra i 15 e i 64 anni) e più basso per le donne (47,6 per cento nella stessa fascia d’età), ma è in leggera risalita per entrambi i generi. Nello stesso mese, tra le persone che cercano lavoro senza trovarlo si è avuta una riduzione di 40mila unità, dunque il tasso di disoccupazione è sceso al 12,4 per cento. Contemporaneamente è salito un po’ anche il tasso di attività, il che vuol dire che la gente non si è ritirata nello scoraggiamento ma anzi, il numero di coloro che vogliono lavorare e cercano attivamente lavoro è cresciuto.

Dunque c’è un attendibile segnale di vita dall’occupazione, che si riprende dopo le “docce fredde” di febbraio e marzo, mesi nei quali era scesa di circa 75mila unità. È già successo in passato, poiché le oscillazioni mensili sono spesso un po’ ballerine (si pensi anche al fatto che in aprile si sconta un effetto Expo): ma certo c’è, e si vede. Si nota perfino un segnale positivo nella fascia d’età tra i 15 e i 25 anni, dove si “conquistano”, su marzo, 51mila posti di lavoro – piccolo recupero che va a intaccare di un minimo la vetta spaventosa del tasso di disoccupazione in questa fascia d’età: 40,9 per cento.

Effetto Jobs act?

I soli dati di aprile non dicono molto di più: non c’è dettaglio sul tipo di contratti, sul dove e sul come.

Il governo li interpreta molto positivamente, Renzi senza por tempo in mezzo twitta che i 159mila posti sono il risultato del “primo mese pieno di Jobs act”. Ci si potrebbe chiedere perché allora a marzo, “primo mezzo mese” di Jobs act, l’occupazione sia scesa.

In realtà, a vedere i numeri nella loro completezza, si nota che tutti gli ultimi dati del lavoro sono influenzati dall’annuncio (e poi dall’entrata in vigore) delle varie novità: gli sgravi contributivi che ci sono da gennaio – e che, come notano in quest’articolo Fabrizio Patriarca e Michele Raitano, hanno fatto sì che molte imprese rinviassero i piani di assunzione, determinando un calo di occupazione a fine 2014 – e lo stessoJobs act che è operativo dalla seconda settimana di marzo.

Gli effetti complessivi di queste due misure si vedranno solo a fine anno (o meglio, alla fine degli sgravi, fra tre anni), ma qualcosa si può già dire, guardando però non solo al mese di aprile ma all’altra infornata di dati che è arrivata ieri dall’Istat, quella relativa al primo trimestre 2015: che si chiudeva ancora con un tasso di occupazione al 55,5 per cento e un tasso di disoccupazione al 13 per cento.

Nel primo trimestre dell’anno, spiega l’Istat, l’occupazione è cresciuta di 133mila unità. Non è la prima volta che il numero degli occupati chiude in positivo il trimestre, anzi è la quarta. Mentre è la prima volta dal terzo trimestre 2011 che scende un po’ il tasso di disoccupazione. Nell’insieme, la montagna dei disoccupati resta altissima: 3,3 milioni di persone (contando solo quelle che hanno cercato attivamente un lavoro nella settimana precedente l’intervista dell’Istat). Ma anche i dati del primo trimestre segnalano una sua lieve riduzione. Ma chi sono, e dove lavorano, i nuovi occupati?

La prima notizia è che, dei 133mila occupati in più, 50mila sono italiani, 83mila stranieri. Un po’ più uomini che donne, abbastanza ben distribuiti tra nord, centro e sud. I nuovi lavori non sono in fabbrica né in cantiere: anzi, l’industria e il settore edile hanno perso, nel primo trimestre dell’anno, quasi 60mila posti di lavoro. Cresce invece l’occupazione nel terziario e nell’agricoltura.

Quanto alla tipologia di orario, cresce sia il tempo pieno sia il tempo parziale: ma quest’ultimo, nota l’Istat, è quasi sempre involontario, forzato. Di gente che vorrebbe lavorare (e forse lavora) a tempo pieno, ma viene assunta part-time. Arrivando alla questione della forma contrattuale, cresce ancora, e molto, il contratto a termine: più 72mila in numero assoluto, contro i 36mila occupati in più permanenti (gli aumenti percentuali sono del 3,2 e dello 0,2 per cento). Forse perché le imprese, in vista di una incerta ripresa, hanno voluto continuare a usare il più possibile gli strumenti più flessibili, ossia contratti a termine e part-time, spostando in avanti le decisioni sull’uso del nuovo contratto a tutele crescenti: che, a stare a dati del ministero del lavoro di aprile, sta prendendo piede come scelta più conveniente, ma che come da più parti si è sottolineato, non implica di per sé un aumento complessivo e sensibile dell’occupazione.

Pioggia di dati

I dati di aprile, in ogni caso, segnalano che invece un sussulto dall’economia c’è, e che dunque la ripresina, cominciata da gennaio, sta portando i suoi frutti sul mercato del lavoro.

Del resto, lo avevano annunciato anche i dati sulle esportazioni e sugli investimenti delle imprese. Una ripresa non entusiasmante (poco sopra mezzo punto di pil nell’intero anno, si prevede), alla quale il governo conta di dare una spinta con decontribuzione e Jobs act. Ma nell’analisi di quel che sta succedendo, è difficile per ora separare l’uno e l’altro effetto, tanto più sotto una pioggia di dati che spesso non sono chiari né confrontabili.

Da qualche mese il ministero del lavoro ha cominciato a dare le cifre delle comunicazioni obbligatorie sui nuovi contratti, prima con tempi e modi casuali, a scelta del ministro (o del suo staff per l’immagine), poi, da poche settimane, annunciando un calendario di comunicati. La scorsa settimana i dati relativi ad aprile segnalavano un sensibile aumento delle attivazioni di contratti a tempo indeterminato, e un saldo tra attivazioni e cessazioni poco superiore a quello dello stesso periodo dell’anno precedente.

Dopodomani, il 5 giugno, dallo stesso ministero spunterà il bilancio trimestrale sui contratti di lavoro. In sostanza le comunicazioni dell’Istat, che in precedenza erano considerate il sismografo unico degli andamenti del mercato del lavoro, si sono ritrovate come una fettina di salame nel panino delle comunicazioni amministrative del governo. Per carità, meglio avere tanti dati pubblici: ma da maneggiare con cura, anche se le elezioni per ora sono lontane.

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