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Per un musicista la nostalgia è un rischio

Nelle ultime due settimane ho vissuto nel passato. E tutto perché sto per pubblicare un album di registrazioni da solista e collaborazioni, e ho dovuto riascoltare vecchi lavori, scegliere le tracce migliori e poi cercare di metterle nell’ordine giusto. Un lavoro che capita di fare spesso, ormai, perché viviamo in tempi nostalgici e ogni artista riceve la richiesta di mettere nuove raccolte di vecchie cose o ristampe deluxe di album passati.

Morrissey ne ha parlato in termini decisamente sprezzanti quasi trent’anni fa – anche se si riferiva agli artisti morti – nel pezzo degli Smiths Paint a vulgar picture: “Ri-pubblica, ri-confeziona/Ri-esamina le canzoni/Mettici una foto/una traccia extra e un adesivo sgargiante”. Oggi è diventata una cosa talmente normale che non solo non è giudicata male, ma è il tuo stesso pubblico a esigerla.

Ben e io abbiamo curato le recenti ristampe di tutti gli album degli Everything But the Girl, e i nostri fan ci chiedono continuamente quando uscirà la prossima.

Abbiamo sempre cercato di non approfittarcene. Perché un disco abbia un senso devi scegliere pezzi che non abbiano mai fatto parte della stessa compilation o aggiungere materiale nuovo e invitante. La gente vuole sempre una “traccia extra”: preferibilmente un pezzo inedito, non importa se una versione live o un demo.

Quando un nuovo album suonava troppo rifinito, per noi equivaleva a falso

Forse questo ha a che fare con la costante ricerca di un’esperienza autentica, di qualcosa di non mediato, non raffinato: come se una canzone non finita o cestinata potesse rivelare qualcosa di più del vero artista.

Mi ricorda un po’ la mia antipatia da ragazzina punk per il lavoro di produzione. Tra la fine degli anni settanta e i primi anni ottanta, la cosa peggiore che io e i miei amici potessimo dire di un disco era: “È troppo lavorato!”.

Non sapevamo bene cosa fosse o a che cosa servisse la produzione musicale, e non ci rendevamo conto di quanto la nostra affermazione fosse immediatamente contraddetta dal nostro amore dichiarato per – che so – i dischi di Phil Spector.

So solo che ci lamentavamo quando un disco nuovo suonava troppo rifinito, che per noi equivaleva a falso. Questo significava che dovevamo correre parecchio per stare dietro a gruppi come gli Scritti Politti, che ci spiazzavano con un pezzo patinato come The sweetest girl quando c’eravamo appena abituati allo stile di Skank bloc bologna, uscito solo tre anni prima. Maledetta musica pop, pensavamo, che cambia continuamente le regole.

E ora eccomi qua, tanti anni dopo, molto meno convinta di voler condividere materiale grezzo o incompiuto. Mi rendo conto che la gente spera sempre di trovare qualche gemma nascosta, qualche pepita d’oro sul letto del fiume.

Capisco il brivido della scoperta quando trovi una canzone che non hai mai ascoltato prima dell’artista che ami, ma resto scettica sulla richiesta del pubblico di avere accesso a tutto.

In cerca di tesori nascosti

Di questo ho già scritto a proposito dell’esperimento di P.J. Harvey, che ha permesso a un pubblico pagante di assistere alla registrazione di un suo album. E ci ho ripensato di recente, quando ha fatto scalpore la notizia di un paio di critici che, sfidando una tradizione consolidata, hanno recensito l’anteprima dell’Amleto di Benedict Cumberbatch.

Molti hanno reagito indignati, considerandola un’indebita intrusione: il giudizio su un lavoro in corso d’opera può influenzarne la realizzazione e il risultato finale.

Ma non sembrano destinati a scomparire né il desiderio del pubblico di guardare dentro al processo creativo né questa sfiducia nell’idea che sia l’artista il miglior giudice del proprio lavoro e che spetti a lui decidere quando un prodotto è finito.

Così procediamo a fatica, contro una corrente sempre più forte, cercando di trovare un compromesso che a volte deve dare un’illusione di apertura per mantenere un certo grado di controllo.

Perché non mi sembrava abbastanza buona quella canzone che avevo scartato nel 1987? Non mi sembra buona neanche oggi, quindi la lascerò nel suo scatolone in garage, se non vi dispiace. Al tempo stesso, la voce di quel pezzo dal vivo non è poi così stonata come temevo. E quel demo mi ha sorpreso: è molto meglio di come lo ricordavo. Dopotutto, ogni tanto si trova davvero un tesoro nascosto.

(Traduzione di Diana Corsini)

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