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Taiwan guida la lotta per il matrimonio omosessuale in Asia

Un evento a Taipei per festeggiare la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, il 24 maggio 2019. (Ashley Pon, Bloomberg via Getty Images)

Chi Chia-wei è una star. Per le strade del quartiere di Ximen, a Taipei, la gente lo ferma, si fa un selfie, gli dice grazie, si inchina rispettosamente. In Cina continentale mi è capitato raramente di vedere la gente fare kow-tow in situazioni che non fossero una convention aziendale o l’uscita di un centro massaggi. Qui sarà forse il retaggio dell’occupazione giapponese. Questo uomo di 61 anni, magrissimo e dal profilo affilato appare compiaciuto, ha un suo stile, gesti automatici come quello delle due dita nella churchilliana V di “vittoria”, mentre sgrana gli occhi e sorride all’obiettivo. Anche sul colletto della camicia kaki – una specie di divisa d’ordinanza – ha due spille a “V” dai colori arcobaleno, gli stessi della cravatta.

Chi Chia-wei gira spesso con un sacchetto in cui tiene del cibo e mi sembra quanto di più vicino ci possa essere oggi a un rivoluzionario di professione ottocentesco: Herzen, Bakunin, i narodniki. Lui ha dedicato gli ultimi trent’anni a una causa: quella del matrimonio omosessuale.

Dopo che il parlamento ha fatto passare la legge, c’è stata la ratifica della presidente Tsai In-wen e la sua assistente mi ha regalato la penna della firma”, racconta Chi. “La sera stessa, si sono sposate 526 coppie, cioè 1.052 persone. Ho usato proprio quella penna per fare da testimone a parecchi matrimoni, ha un valore simbolico molto importante. Si sono sposate 186 coppie di uomini e il resto erano donne. Sembra che alle femmine piaccia di più sposarsi, quasi il doppio dei maschi”. Si vede che a Chi piace snocciolare numeri.

Penna presidenziale
Il parlamento dell’isola (di fatto indipendente dalla Cina) è stato il primo in Asia a legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Quando la notizia è arrivata, il 17 maggio, c’erano circa 40mila sostenitori dei diritti lgbt a fare festa di fronte alla camera di Taipei; il 24 maggio si sono celebrati i primi matrimoni, quelli a cui Chi ha presenziato con la sua penna presidenziale.

Due anni prima, la corte costituzionale di Taiwan aveva dato tempo al governo fino a quella data per rendere in qualche modo legali i legami omosessuali , senza però specificare come. La comunità lgbt dell’isola era stata così lasciata in un limbo legislativo, con molte coppie che pianificavano matrimoni senza sapere bene cosa ne sarebbe stato della loro unione dal punto di vista giuridico. La legge approvata parla esplicitamente di “matrimonio” e garantisce alle coppie omosessuali quasi tutti i diritti delle coppie etero.

“Spesso nei bar scoppiano risse”, continua Chi. “Qui, dove ci sono i gay non succede mai. Al massimo si tirano i capelli. Così abbiamo finito per piacere perfino ai poliziotti”.

Stiamo bevendo ai tavolini del Mudan bar e il titolare, Hsia Chiang-ming, ci spiega come Ximen sia diventata la Soho di Taipei.

“Quindici anni fa qui non c’era niente. Poi, alcuni gay – tra cui il sottoscritto – hanno aperto dei locali, si è sparsa la voce del ritrovo gay friendly e il quartiere è diventato pian piano il punto d’incontro per le persone lgbt di Taipei. Paradossalmente questa era la zona più conservatrice della città, ha una storia secolare, quindi si è creato un certo scompiglio perché la gente di qui non sapeva neanche cosa significasse ‘omosessuale’. All’inizio erano molto preoccupati, pensavano che i locali notturni portassero il caos. Ma il fatto che non scatenassimo risse, non facessimo troppi rumori molesti e – diciamocelo – avessimo una certa cura della persona, ha fatto sì che le preoccupazioni svanissero. Un’anziana un giorno mi ha detto: ‘Come vorrei che mio nipote fosse come te’. Per gli stessi motivi, questi locali hanno cominciato ad attirare anche una clientela non omosessuale. E così, adesso Ximen è una zona di contaminazione, più che strettamente gay”.

I tre poteri
Il percorso dell’accettazione sociale e soprattutto di quella giuridica è stato lungo. Nel 1986, Chi era stato il primo taiwanese a fare coming out in televisione. Nello stesso anno, aveva presentato una richiesta a un tribunale di Taipei per ottenere una licenza di matrimonio. Domanda che fu prontamente respinta.

“In tutti questi anni, ho preso di mira i tre poteri dello stato: legislativo, esecutivo e giudiziario”, racconta oggi. “Il più difficile da conquistare, quello più stupido, è il legislativo, a cui mi sono appellato senza alcun risultato per circa sei anni. Poi ho cambiato strategia e ho puntato all’esecutivo; infine, dopo altri sei anni, mi sono rivolto al giudiziario. Ho cominciato a presentare dei ricorsi in tribunale, ma loro non li recepivano neppure perché si rendevano conto che se li avessero presi in considerazione, avrei vinto senza ombra di dubbio”.

Al “padrino dei diritti omosessuali”, come lo chiamano, piace raccontare aneddoti.

“Qualche anno fa, una coppia di uomini ha presentato una causa legale perché non aveva ricevuto il permesso di sposarsi. Sembrava fosse la volta buona, ma alla fine sono stati loro stessi a ritirare la causa. Perché? Perché nella loro lotta erano incoraggiati dalla trisavola di uno dei due, che aveva 105 anni. Poi però lei è morta e tutti gli altri familiari si sono opposti; così, ai due è mancato il coraggio di andare fino in fondo”.

Tra la sentenza della corte costituzionale nel 2017 e la sua attuazione nel 2019, c’è stato pure un referendum promosso da un gruppo cristiano reazionario, nel novembre 2018. Poteva essere l’ennesima battuta d’arresto, perché sette milioni di elettori si sono opposti alla legalizzazione delle unioni omosessuali, contro tre milioni a favore.

Chi Chia-wei partecipa a una manifestazione a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso, Taipei, il 18 novembre 2018.

“Chi ha votato contro”, dice oggi Chi, “non ha capito che la costituzione è al di sopra di tutto, per cui anche un referendum non può andarle contro. Quindi alla fine ce l’abbiamo fatta comunque. Questi oppositori dovrebbero considerare anche i divorzi”, continua. “Tra gli etero, nel giro di vent’anni più della metà dei matrimoni va in fumo. Molti divorzi dipendono in realtà dalle pressioni che gli omosessuali subiscono per contrarre un matrimonio etero: gay e lesbiche che sono stati obbligati a sposarsi assolvono il dovere riproduttivo e poi divorziano. Con il matrimonio omosessuale questo non dovrebbe più succedere, quindi potrebbe calare anche il numero dei divorzi, dato che ci saranno meno matrimoni sbagliati. I conservatori dovrebbero essere contenti”.

Ritmo altalenante
Per conoscere l’altra metà del cielo, come diceva il presidente Mao, andiamo al Wonder bar, un club frequentato soprattutto da donne. Sonia, la barista minuta e dalla risata trascinante, viene da Kaohsiung, la grande città del sud dove è nata la “Han wave”, dal nome del sindaco Han Kuo-yu, probabile candidato populista alle elezioni del 2020.

“Taipei è una città più aperta”, dice. “Appena sono arrivata, ho visto che c’erano tanti ritrovi gay, però nessuno per le ragazze. Poi ho conosciuto la padrona di questo locale e sono venuta a lavorare qui. La mia famiglia è conservatrice, ha sempre sperato che mi sposassi e quando ho comunicato a mia madre che sono lesbica, lei mi ha detto di non pensarci troppo. Sperava che mi passasse. Credo che dopo il passaggio della legge sarà più facile fare coming out. Il giorno della legalizzazione, nel locale abbiamo fatto una grande festa. Era pieno, tutti cantavano ed erano felici, sono arrivati anche alcuni che si erano appena sposati”.

Il matrimonio gay è passato, ma rimangono fuori due questioni: il matrimonio tra persone omosessuali di diversa nazionalità e l’adozione

Yanzi, cioè “rondine”, anche lei originaria di Kaohsiung, ha studiato in Canada e là è entrata in contatto con l’attivismo lgbt. Scherza sulla nuova legge: “A Taiwan se ci si sposa è la donna a portare la dote; quindi nel caso di due donne, due doti”. Ha rivelato la propria omosessualità alla madre: “La mentalità a Taiwan è piuttosto conservatrice, è stato difficile sia per me dirlo sia per lei sentirlo, la sua prima reazione è stata quella di incolparsi, perché pensava di avermi dato una cattiva educazione. C’è voluto tempo per farle capire che era qualcosa di mio, il mio essere diversa. Pian piano l’ha accettato: sono ancora sua figlia, a cui però piacciono le donne”. Con il padre, come spesso accade, la comunicazione è stata indiretta. “Lui ha fatto finta di niente, poi un giorno ne ha parlato con mia sorella: ‘Non è che le piacciono le donne?’. Lei è stata muta come un pesce, però papà qualche tempo fa mi ha chiesto: ‘Come te la passi a Taipei? E la tua ragazza?’. Io al momento sono single, ma a questo punto credo non ci siano problemi neppure con lui”.

“Qui a Taiwan si va avanti con ritmo altalenante”, osserva Chi Chia-wei. “Il matrimonio gay è passato, ma rimangono fuori due questioni: il matrimonio tra persone omosessuali di diversa nazionalità e l’adozione. È di questo che voglio occuparmi in futuro”.

La nuova legge consente infatti il matrimonio solo con partner taiwanesi o provenienti da paesi dove il matrimonio omosessuale è altrettanto legale. Inoltre la coppia non può fare richiesta di adozione, a meno che il bambino non sia figlio biologico di uno dei due partner.

Il “padrino” ha già presentato richiesta di matrimonio con un uomo della Malaysia, paese dove non solo non esiste il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma dove l’omosessualità è punita per legge.

No, la sua non è una storia d’amore: è lotta. Sogna che un giorno Taiwan diventi il paese di riferimento per i diritti omosessuali in Asia, il faro arcobaleno. Se è vero che esiste un’opposizione trasversale ai diritti lgbt nei due maggiori partiti, se è vero che il peso dei gruppi religiosi tradizionalisti è sproporzionato rispetto alla loro reale consistenza numerica, Chi sa benissimo che è trasversale pure il sostegno alle lotte di cui ha scelto di essere figura simbolo, come la polena di una nave. Il fatto è che diventare la terra dei diritti può aiutare Taiwan a essere riconosciuta anche a livello internazionale come paese dall’identità specifica, separata dalla Cina, democratica; non solo un’appendice di dalu, il continente.

Una visione panasiatica
Siamo di fronte a un caffè con Eric Huang, responsabile esteri del Kuomintang, un convinto conservatore che recita ostinatamente i precetti neoliberisti a cui si ispira il suo partito per la futura corsa elettorale. Arriva in scooter il sessantunenne, multicolore, Chi Chia-wei. Huang prima lo guarda un po’ circospetto, poi mi sussurra: “Non è che gli chiedi se posso farmi un selfie con lui?”.

C’è un detto, in cinese, che identifica l’omosessualità. È fen tao duan xiu, “mordere la pesca, tagliare la manica” e rimanda a due storie dell’antichità. La prima risale al periodo degli stati combattenti (475-221 avanti Cristo), quando il duca Ling dello stato di Wei e il suo amante, Mizi Xia, stavano passeggiando in un giardino. Mizi Xia vide una pesca matura, la prese e l’addentò, prima di passarla al suo signore, il che scandalizzò tutti i dignitari, perché rifilare al sovrano i propri avanzi era un insulto tremendo. Ma Ling, evidentemente poco permaloso e molto innamorato, sorrise e disse loro: “Guardate quanto mi ama Mizi Xia! Prima assaggia la pesca e me la dà solo dopo aver sentito che è deliziosa”. Va per altro detto che quando anni dopo la bellezza di Mizi Xia svanì, il duca gliela fece pagare. Ma questa è un’altra storia.

Secondo Chi Chia-wei la merce importata è l’opposizione all’omosessualità

La seconda storia risale alla dinastia Han, cioè più o meno alla nascita di Cristo. L’imperatore Ai – il più famoso regnante gay della storia cinese – e il suo amante Dong Xian stavano facendo un pisolino, uno di fianco all’altro. Quando l’imperatore si svegliò, si accorse che non poteva alzarsi, dato che la testa di Dong Xian era appoggiata su una manica della sua veste. Piuttosto che svegliare l’amato, preferì tagliare la manica con cura per poi andarsene in silenzio. Il che ovviamente si presta a diverse interpretazioni, ma le cronache della dinastia garantiscono che fosse amore e non una fuga.

“Quelli che a Taiwan si oppongono al movimento, dicono che la cultura omosessuale è un prodotto d’importazione”, spiega Chi, dopo aver pronunciato fen tao duan xiu. “Ma gli omosessuali sono sempre esistiti fin dall’antichità, sia in oriente sia in occidente, fin dalla dinastia Han e dalla polis greca dove addirittura, se non lo eri, facevi fatica ad arrivare nelle alte sfere. Aristotele, Socrate, Platone, erano tutti gay! Solo che Platone era meno orientato ai rapporti carnali e si muoveva al livello spirituale, mentre Socrate e Aristotele facevano sesso”.

Se mai, secondo lui, è merce importata l’opposizione all’omosessualità: “La religione e la medicina occidentali hanno sempre definito l’omosessualità come malattia mentale, perversione. La medicina cinese non l’ha mai fatto. Chi ci è contro, è un diavolo travestito da sacerdote”, taglia corto.

La sua visione è panasiatica, quella di un’onda arcobaleno che dall’isola muove verso altri lidi.

“Presto altri paesi cominceranno a occuparsi dei diritti omosessuali. So che ne hanno discusso i parlamenti in Vietnam, in Thailandia, in Giappone, ma nessuno voleva fare il primo passo, perché alla fine sono tutti abbastanza conservatori. Adesso che c’è il caso di Taiwan, non avranno più tanto timore di perdere mianzi”, cioè la “faccia” così importante in Asia orientale. “In tante cose della vita se arrivi per primo guadagni prestigio, se arrivi ultimo lo perdi. Invece nel caso degli omosessuali è il contrario. È il peso della cultura tradizionale”.

Lui però punta al bersaglio grosso.

“Anche la Cina comunista non può fare finta di niente, soprattutto mentre si ostina a dire che Taiwan è parte di se stessa. Allora, dato che una parte di Cina ha delle vedute così progressiste, loro, che dicono di rappresentare tutti i cinesi, che hanno da dire? Nel giro di tre-cinque anni finiranno per occuparsene pure loro, basterebbe che ne parlassero al prossimo lianghui (la doppia sessione dei parlamenti che solitamente si svolge a marzo). Il mio più grande desiderio è quello di vedere Cina e India che legalizzano il matrimonio omosessuale, dato che insieme contengono un terzo della popolazione mondiale. Si dice che il 10 per cento della popolazione sia gay, quindi parliamo di almeno 200 milioni di persone emancipate, tra Cina e India. In Asia c’è l’effetto domino: comincia uno e poi parte la reazione a catena”.

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