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La guerra in Ucraina vista dalla Cina

Shanghai, Cina, 16 marzo 2022. Davanti a un’area residenziale recintata per un focolaio di covid-19. (Qilai Shen, Bloomberg/Getty Images)

“Una mano da sola non emette suoni”.

“Chi ha appeso il campanellino alla tigre, lo tolga”.

Questi due detti che Xi Jinping avrebbe citato a Joe Biden (secondo il resoconto ufficiale cinese) sono del genere che piace tanto a quegli orientalisti che amano la Cina dell’eterna saggezza. Il primo vuol dire che per fare alcune cose bisogna essere in due. Viene dal Sogno della camera rossa, famoso romanzo cinese del settecento, e significa che i problemi non li crea uno solo (cioè, non è tutta colpa di Putin). Il secondo è intuitivo: è compito dei provocatori (cioè la Nato e gli Stati Uniti) risolvere il problema che loro stessi hanno creato. Forse il nostro “non svegliare il can che dorme” ci va abbastanza vicino.

Mentre scrivo questo articolo, do un’occhiata al più diffuso social network cinese, Weibo. I trending topic sono, nell’ordine: “Ci dev’essere un limite nel prendere in giro la nazionale di calcio”; uno scandalo che riguarda un’azienda alimentare dello Hunan che produce in condizioni igieniche deprecabili la salsa di alcune delle più note marche di noodle istantanei; la celebrazione dei volontari anticovid in tuta bianca, di fronte alla nuova ondata epidemica; Lin Yihan, la scrittrice taiwanese morta suicida nel 2017 (il 16 marzo sarebbe stato il suo compleanno); il focolaio di covid a Changsha, nello Hunan; e infine, “Putin afferma che l’Ucraina ha prodotto armi biologiche con il supporto degli Stati Uniti”.

La guerra in Ucraina è quindi solo al sesto posto e compare con un cavallo di battaglia della propaganda russa. Certo, Weibo come tutti i social è monitorato e censurato. Ma è un errore credere che, senza i limiti imposti dall’alto, i giornalisti cinesi spenderebbero fiumi d’inchiostro per scrivere cosa succede in Ucraina, come succede da noi. Molto semplicemente, le priorità sono altre.

I cinesi, pur nella loro grande diversità, sono diventati più antiamericani di un tempo

La guerra non piace a nessuno, fa paura, rompe un ordine fatto di abitudini quotidiane e, al di là di chi vi è coinvolto direttamente, lascia un senso di cupezza incombente anche a chi si trova a migliaia di chilometri di distanza. Anche qui in Cina la prima reazione alla notizia dell’invasione cominciata il 24 febbraio è stata di shock, incredulità, preoccupazione, compassione per chi sta soffrendo.

Ma c’è altro. I cinesi, pur nelle infinite distinzioni visto che parliamo di un miliardo e quattrocento milioni di persone, sono diventati sempre più antiamericani. Se qualche anno fa c’era un rapporto di amore-odio verso gli Stati Uniti, più si va avanti con le pressioni anticinesi esercitate da Washington, con la retorica su Taiwan e il contenimento di quelle che da queste parti sono considerate legittime aspirazioni della Cina, più anche tra le generazioni che hanno imparato a “consumare” il made in Usa e tra le persone che non necessariamente sono ipernazionaliste si diffonde un’antipatia verso l’America che nasce da una delusione, diciamo da una storia d’amore finita male. Ecco, in questo quadro s’inserisce anche la vicenda ucraina. Insomma, c’è stata la forte presenza sui social di un’altra tendenza, che potremmo sintetizzare in: “Vai Putin, bravo, fagliela vedere!”, ma non tanto riferito agli ucraini – di cui si perde un po’ traccia, come se non fossero quelli che soffrono – bensì contro gli Stati Uniti, la Nato: “Ricacciali da dove sono venuti”.

A Pechino le ambasciate dei paesi europei e dei più stretti alleati di Washington hanno esposto cartelli di solidarietà con l’Ucraina. Quello dell’ambasciata canadese è stato nottetempo imbrattato con la scritta “Fuck Nato”. Quando si è saputo che alcuni paesi europei avrebbero inviato armi agli ucraini, un’amica cinese è sbottata: “Ecco, vedete chi è che vuole la guerra?”.

Sia sui social network sia nelle discussioni faccia a faccia la tendenza dominante potrebbe essere così sintetizzata: la guerra è una cosa brutta, non doveva succedere e rivela il “caos” che regna in occidente; le cause di questo conflitto vengono da lontano, sono profonde e sostanzialmente hanno a che fare con l’imperialismo occidentale; la cosa migliore, in questo momento, è capire come uscirne senza aggravare la situazione; noi comunque facciamo bene a restarne fuori.

È così: per gli occidentali questa guerra evoca spettri della storia del novecento, ma da queste parti è, e resta, una guerra europea (anche se si dà la responsabilità agli Stati Uniti di averla provocata), punto. Quindi, nonostante la partecipazione emotiva e l’interesse per quel che sta accadendo, finché la Cina non è coinvolta direttamente, lo sguardo rimane abbastanza distaccato.

Tre aspetti dell’incontro con Biden
Tornando quindi al colloquio tra Xi Jinping e Joe Biden, il primo dall’inizio della guerra in Ucraina, sono tre gli aspetti da sottolineare.

Primo: come qualcuno mi aveva anticipato il giorno prima, subito dopo la fine della videochiamata i cinesi si sono affrettati a far uscire il loro resoconto, sia in lingua madre sia in inglese, per far sapere al mondo la loro versione dei fatti. Pechino era molto irritata per la strategia comunicativa statunitense che ha preceduto l’evento: continui commenti da parte di alti funzionari (il segretario di stato Antony Blinken, la portavoce di Biden Jen Psaki) sul fatto che il colloquio sarebbe stato di fatto un “avvertimento” a Xi sulle conseguenze per la Cina qualora aiutasse la Russia, nonché il solito monito a “stare dalla parte giusta della storia” (rivolto nei giorni scorsi anche all’India che – come la Cina – si è sempre rifiutata di condannare l’invasione russa; ma con l’India il tono era meno minaccioso e quasi amichevole).

Così, poche ore prima della videochiamata, Hua Chunying, sottosegretario agli esteri, aveva postato su Twitter: “L’affermazione che la Cina sia dalla parte sbagliata della storia è prepotente. Sono gli Stati Uniti a essere dalla parte sbagliata della storia”. E il portavoce del ministero degli esteri, Zhao Lijian, aveva postato una mappa della “comunità internazionale di cui sentite sempre parlare” Nella mappa c’erano solo Stati Uniti, Canada, Unione europea, Giappone, Australia, Nuova Zelanda. Poi, a incontro finito, la pubblicazione del resoconto in tempo record che significa: stavolta la narrazione la facciamo noi.

Quanto a quello che si sono detti i due presidenti, è interessante notare che a un certo punto Xi Jinping avrebbe affermato che “le relazioni tra Cina e Stati Uniti non hanno ancora superato le difficoltà create dalla precedente amministrazione statunitense, incontrando invece problemi sempre maggiori”. La sensazione è che il presidente cinese stia tendendo la mano a Biden dicendo che i problemi di oggi sono colpa di Donald Trump, ma che comunque se errare è umano, perseverare è diabolico.

Il campanellino della tigre
Poi, c’è un passaggio in cui Xi Jinping sembra rendere esplicita la linea cinese: “La Cina ha presentato un’iniziativa in sei punti sulla situazione umanitaria in Ucraina ed è disposta a fornire ulteriore assistenza a Kiev e ad altri paesi colpiti. Tutte le parti dovrebbero sostenere congiuntamente Russia e Ucraina nel dialogo e nei negoziati che produrranno risultati e porteranno alla pace. Gli Stati Uniti e la Nato dovrebbero anche dialogare con la Russia per risolvere il nodo cruciale della crisi e risolvere i problemi di sicurezza dei due paesi in guerra”.

Quindi: la Cina è disposta a fornire aiuto concreto sulle questioni umanitarie; offre anche i propri “buoni auspici” – sempre insieme a tutti gli altri – affinché Russia e Ucraina si parlino; e dice che spetta a Stati Uniti e Nato, considerati all’origine del problema, e non alla Cina – che non c’entra niente – parlare con la Russia per risolvere sia la crisi ucraina sia le preoccupazioni di sicurezza russe e ucraine. Ricordate quel campanellino appeso alla tigre? Una linea politica che più o meno corrisponde al sentimento dell’opinione pubblica cinese descritta prima.

Un rapporto dialettico
In Cina il rapporto tra la leadership e il popolo è dialettico. Non è un movimento unidirezionale dall’alto in basso, in cui la propaganda incide le menti come se fossero plastilina, bensì un’organizzazione del consenso fatta sia di messaggi che piovono dalla stanza dei bottoni sia di segnali inviati dalla base della società, attraverso milioni di sensori che sono poi la struttura ramificata del Partito comunista. Questa comunicazione dice che, in questo momento, le priorità sono altre.

C’è la variante omicron che si diffonde attraverso città e zone rurali (mentre scrivo, arriva la notizia dei primi due morti cinesi per covid del gennaio 2021), rischiando di rallentare una crescita economica già problematica; ci sono dieci milioni di giovani che usciranno dalle università nel 2022 e chissà se troveranno lavoro; c’è la vicenda di una donna disabile trovata incatenata in un tugurio in campagna che ha sollevato lo sdegno dell’intero paese per settimane. Altro che una guerra europea.

C’è un’altra frase rivolta da Xi Jinping a Biden da segnalare: “È la gente comune a soffrire di sanzioni a tutto tondo e indiscriminate. Se fossero potenziate ulteriormente, innescherebbero una grave crisi nell’economia globale, nel commercio, nella finanza, nell’energia, nell’alimentazione, nella filiera industriale, peggiorando ulteriormente la già problematica situazione economica mondiale e provocando perdite irreparabili. Più complicata è la situazione, maggiore è la necessità di rimanere calmi e razionali”.

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