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La conferenza internazionale sul clima di Parigi

Dal 30 novembre all’11 dicembre 195 paesi hanno discusso un nuovo accordo per ridurre le emissioni, in modo da rallentare il riscaldamento globale.

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Nelle discussioni sul clima non vanno dimenticati gli oceani

L’isola di Koh Samui, nel golfo della Thailandia, nel 2012. (Leisa Tyler, LightRocket/Getty Images)

Gli oceani sono servitori silenziosi dell’umanità, così silenziosi che nella discussione che si è aperta sulle misure da adottare contro il cambiamento climatico rischiano di essere dimenticati. Eppure forniscono servizi importantissimi, ricorda la rivista scientifica Science, che agli “oceani in cambiamento” dedica un numero speciale.

Certo, gli oceani hanno bisogno di provvedimenti adeguati. Thomas Stocker, dell’università di Berna, suggerisce che la prevenzione “della pericolosa interferenza antropogenica con il sistema climatico”, prevista dall’articolo 2 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite per il cambiamento climatico, dovrebbe andare oltre l’obiettivo di limitare a due gradi l’innalzamento della temperatura globale, comprendendo anche un limite all’acidificazione degli oceani. Una parte infatti dell’anidride carbonica immessa nell’atmosfera viene assorbita dagli oceani, che in questo modo moderano l’effetto dovuto all’uso dei combustibili fossili. Il prezzo da pagare è che gli oceani si acidificano, alterando l’ecosistema.

Intanto, un nuovo studio, di Jeremie Mouginot e colleghi, indica che anche il remoto nordest della Groenlandia, dove si pensava che i ghiacciai fossero ancora stabili, risente del cambiamento del clima. Il ghiacciaio Zachariæ Isstrøm mostra segni di instabilità e se si dovesse sciogliere completamente potrebbe innescare processi che porterebbero all’innalzamento del livello del mare di mezzo metro.

Anche la pesca è a rischio. Gli organismi marini risentono sia dell’acidificazione dell’acqua sia del suo riscaldamento, ma in quali termini non è ancora chiaro. L’ignoranza degli effetti climatici sugli stock ittici ne rende più difficile la gestione, scrive Science.

In una ricerca pubblicata su Nature, Rick Stuart-Smith e colleghi mostrano che le comunità di organismi marini possono essere più o meno vulnerabili all’innalzamento della temperatura. In una proiezione al 2115, il mare Caraibico, il golfo della Thailandia, il Pacifico a nord di Papua, quello a ovest della California sono tra i tratti di mare che rischiano di perdere più specie. Il Mediterraneo occidentale, che si dovrebbe riscaldare di 0,24–0,29 gradi ogni dieci anni, potrebbe invece perdere pochissime specie, perché quelle che lo popolano attualmente sopportano temperature più alte delle attuali.

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