La donna più veloce del mondo, un’incredibile schermidora e un’infallibile arciera. Sono le protagoniste di Fuoriserie, l’ultimo libro per ragazze e ragazzi di Francesca Cavallo, coautrice di Storie della buonanotte per bambine ribelli.

“Fuoriserie” perché tutte e tre le protagoniste eccellono nella disciplina sportiva che hanno scelto di praticare al livello agonistico, tanto da vincere molte medaglie d’oro. E fuoriserie anche perché hanno dei corpi considerati fuori della norma dalla medicina e dalla maggioranza delle persone.

Si tratta delle campionesse paralimpiche Tatyana McFadden, Bebe Vio e Zahra Nemati, di cui sono raccontate la vita e la carriera sportiva.

Il libro, edito da Momo, è dedicato “ai bambini e agli adulti che fanno le cose a modo loro”. E il primo dei fili conduttori che percorrono le pagine fin dall’introduzione – scritta da Valentina Perniciaro, autrice, blogger e presidente della onlus Fondazione Tetrabondi – è proprio l’accento posto sui modi personali di muoversi nel mondo di ciascuna e ciascuno di noi.

Brillare a modo loro

“Immaginate una tavolozza grandissima con le sfumature di tutti i colori che la vostra mente riesce a immaginare”, scrive Perniciaro. “Vi verrebbe mai in mente di dire a uno di questi colori di rimanere in disparte perché non è come lo volevate, perché vi mette tristezza o forse paura, perché non è come ve l’avevano sempre raccontato?”.

McFadden, Vio e Nemati, rimanendo nella metafora cromatica, sono tre colori che la maggior parte delle persone cosiddette abili difficilmente riuscirebbe a immaginare, e che tuttavia hanno trovato il loro modo di brillare.

Tatyana McFadden alle paralimpiadi di Tokyo nel 2021. (Buda Mendes, Getty Images)

L’altro filo conduttore dei tre racconti è l’assenza della retorica della “supereroina” o del “supereroe” di cui spesso sono intrise le narrazioni sulle atlete e gli atleti paralimpici, descritti come persone dotate di “poteri speciali” per compensare le anomalie dei loro corpi. Donne e uomini da ammirare perché ce l’hanno fatta a conseguire risultati straordinari nonostante la loro condizione fisica.

Questo tipo di narrazione di solito convive con un’altra retorica più antica riguardo le atlete paralimpiche e gli atleti paralimpici: il pietismo. Tant’è che, in una dichiarazione rilasciata nel 2018 al mensile Superabile Inail, Luca Pancalli, presidente del Comitato italiano paralimpico (Cip), ricordava come in passato i giornalisti definissero le Paralimpiadi “Olimpiadi del cuore e del coraggio”.

“I due buchi più grandi in cui si può cadere quando si racconta lo sport paralimpico sono il pietismo e il superomismo”, commenta Claudio Arrigoni, giornalista e autore di Paralimpici.

Sempre imparare

Fuoriserie ribalta questa prospettiva: delle tre protagoniste sono messe certamente in evidenza le abilità che le distinguono dagli altri – non tutte le atlete e gli atleti paralimpici o olimpici diventano campionesse o campioni – senza tuttavia trasformarle in “eroine dotate di superpoteri”, ma anzi facendone risaltare l’umanità e raccontando il loro modo di affrontare le sfide della vita quotidiana, oltre che quelle sportive.

Tatyana fin da piccola si rende conto di non riuscire a camminare come gli altri bambini. Per spostarsi o arrampicarsi sugli alberi usa le mani, una modalità diversa che comunque le consente di raggiungere i suoi obiettivi. Non solo: muoversi in questo modo differente dalla maggioranza ha fatto sì che con il tempo diventasse “incredibilmente forte!”. La sua forza non è legata alla sua condizione fisica, che di per sé ha una connotazione neutra, né negativa né positiva, ma dallo sguardo che Tatyana ha nei confronti di se stessa.

È diventata incredibilmente forte perché è riuscita a vedere il suo corpo non come un limite, ma come una risorsa. In altre parole, essere una persona con disabilità non è né una sfortuna né una ricchezza. Dipende dallo sguardo che le persone con disabilità hanno su se stesse, prima di tutto. E poi anche da come le guardano le persone abili.

Ed è sempre quello sguardo, orientato a cogliere le infinite potenzialità delle diverse condizioni umane piuttosto che sottolinearne i limiti, a definire la sedia a rotelle che Tatyana McFadden riceve in dono come “il regalo più bello”. La carrozzina è presentata come strumento di libertà. Una grande differenza da espressioni come “costretta su una sedia a rotelle” che ancora oggi compaiono in alcuni articoli.

Diventare una persona con disabilità a causa di una malattia o di un altro evento traumatico è una sfida importante. Significa imparare di nuovo a convivere con il proprio corpo, che è sempre lo stesso ma è anche differente da prima, e di riorganizzare la propria esistenza, imparando a svolgere in un modo diverso le normali attività quotidiane, come mangiare o lavarsi i denti.

Lo sa bene Bebe Vio a cui, a causa di una meningite, hanno dovuto amputare braccia e gambe. All’inizio non è stato semplice, e nel libro non lo si nasconde. “Si sentiva come un alieno venuto dallo spazio che atterra su un pianeta completamente nuovo”, scrive Francesca Cavallo.

Zahra Nemati durante le gare di tiro con l’arco ai giochi della XXXI olimpiade a Rio de Janeiro, in Brasile. (Matthias Hangst, Getty Images)

Ma abituarsi a una nuova vita e scoprire di star bene è possibile e Vio ci è riuscita in breve tempo, con disinvoltura e senza eroismi, tanto che i suoi compagni di scuola “erano meravigliati per la sua ripresa. Lei si toglieva il suo braccio nuovo di zecca e lasciava che gli altri lo provassero”.

La sua difficoltà maggiore, come lascia intuire il racconto di Cavallo, è stata relazionarsi con le molte persone concentrate solo “su ciò che Bebe non poteva fare”, mentre lei “aveva già iniziato a immaginare tutte le cose divertenti che avrebbe potuto fare con il suo nuovo corpo”. Compreso un modo di impugnare il fioretto diverso da prima, una strategia che le ha permesso di continuare la carriera da schermidora.

La storia di Bebe Vio offre molti altri spunti di riflessione. Uno tra tutti è il racconto della sua esperienza come modella per alcune riviste di moda. Con poche parole e una splendida illustrazione emerge l’urgenza di cambiare i nostri canoni estetici, ma anche il fatto che in effetti questa rivoluzione estetica è già cominciata.

Protagonista dell’ultimo racconto è l’iraniana Zahra Nemati, diventata donna con disabilità a diciannove anni a causa di un incidente automobilistico. Anche in questo caso non viene nascosto o negato il fatto che risvegliarsi in ospedale e scoprire di non essere più in grado di muovere le gambe sia stato uno shock.

Cintura nera di taekwondo, dopo l’incidente Nemati ha dovuto abbandonare questo sport perché prevede l’uso degli arti inferiori. Raccontando la sua storia, l’autrice trasmette il vero significato della parola disabilità, che non è un’anomalia della persona, ma il frutto dell’interazione tra certe caratteristiche individuali considerate fuori della norma, definita tale dalla medicina, e un contesto socio-politico non pronto ad accoglierle e valorizzarle.

Zahra infatti “non poteva nemmeno uscire con i suoi amici, perché molti posti non erano accessibili per una persona su una sedia a rotelle”.

Ritrovarsi con metà del corpo paralizzato è ha avuto un impatto sul piano emotivo, la sua frustrazione è nata soprattutto dal sentirsi bloccata in casa per via delle barriere architettoniche.

Nemmeno in questo racconto, però, si cade nella trappola del vittimismo: anche Zahra è una donna che non ha rinunciato ai propri desideri e ha saputo cogliere l’occasione per ricostruire la sua identità di donna e di atleta, cimentandosi in una nuova disciplina, il tiro con l’arco, fino a diventarne una campionessa olimpica.

Le protagoniste di Fuoriserie sono riuscite a raggiungere i loro obiettivi nonostante le difficoltà dovute a contesti di vita non inclusivi ma anche nonostante la loro identità di genere. Essere una donna con disabilità significa essere vittima di una doppia discriminazione e anche se nel libro a questo non si fa un esplicito riferimento, c’è comunque la scelta di raccontare le storie di tre atlete e non anche quelle di atleti.

Le illustrazioni che vivacizzano i racconti sono state realizzate da Louis San Vincente, per Tatyana; Irma Ruggiero, per Bebe Vio; e Valentina Toro Gutiérrez per Zahra, che contribuiscono a uno dei punti di forza di Fuoriserie: il valore pedagogico e la capacità di coinvolgere chi legge.

Apprezzabile infine, al termine di ogni capitolo, la presenza di una scheda con la foto dell’atleta protagonista del racconto e brevi informazioni sulla sua carriera sportiva e sulla sua storia di attivista per i diritti delle persone con disabilità.

Fuoriserie è un libro che parla di sogni e obiettivi. Di determinazione e forza di volontà, senza pietismo né eroismo. È un libro che ci insegna che tutte e tutti noi possiamo essere risorsa per noi stessi e per gli altri, e che è possibile costruire un mondo “capace di capire i bisogni di tutti e non lasciare indietro nessuno”, come scrive Perniciaro nell’introduzione .

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