09 novembre 2015 10:35

I migranti rinchiusi in un centro di detenzione sulla Christmas island, in Australia, hanno fatto scoppiare una rivolta e appiccato un fuoco dentro l’edificio. I disordini sono cominciati dopo la morte di un migrante curdo iraniano. Al momento non risultano feriti né vittime.

Il migrante curdo iraniano Fazel Chegeni era scappato dal centro il 7 novembre. Il suo corpo è stato trovato il giorno dopo in fondo a una scogliera, ma non è chiara la dinamica della sua morte.

La Christmas island, che ospita uno dei centri di detenzione per migranti irregolari e richiedenti asilo in Australia, si trova circa 2.650 chilometri a nordovest di Perth.

Secondo un testimone citato dalla Bbc, i migranti, soprattutto quelli iraniani, sono “infuriati” perché non hanno ricevuto risposte sulla morte di Chegeni e si sono scontrati con alcune guardie. La tensione era già alta da qualche giorno, fa notare il Guardian.

Nel frattempo alcuni detenuti di un’altra struttura vicina, che ospita persone con precedenti penali, stanno cercando di fare irruzione nell’edificio.

La Serco, la multinazionale che gestisce la struttura, ha dichiarato di aver ritirato le guardie per “motivi di sicurezza” e ha lasciato i migranti, che sono armati di mazze e bastoni, senza cibo né acqua.

Una politica controversa. La Pacific solution, la politica sull’immigrazione implementata tra il 2001 e il 2007 e riformata nel 2013 dal premier Tony Abbott, prevede l’uso della marina militare per respingere le imbarcazioni in arrivo dal sudest asiatico (in genere dall’Indonesia con a bordo soprattutto afgani, siriani, iraniani, iracheni e rohingya in fuga dalla Birmania) e dirottarli verso le isole di Nauru e Manu, in Papua Nuova Guinea, e sulla Christmas island.

Su queste isole il governo australiano ha costruito centri di detenzione gestiti dalla multinazionale Serco e ospitati dai governi locali in cambio di aiuti allo sviluppo.

Da tempo ci sono proteste contro questi centri per il trattamento riservato ai migranti. L’associazione Human Rights Watch a luglio ha definito la Pacific solution “un disastro”.

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