09 ottobre 2015 11:41

Verrà un tempo in cui ci sembrerà una pazzia non aver voluto una polizia internazionale. Adriano Sofri l’ha detto domenica scorsa dal teatro Comunale di Ferrara, forse consapevole della provocazione (chiedere più polizia parlando nella città di Federico Aldrovandi): “Non si tratta di esportare la democrazia, ma di fermare le carneficine”.

Serve una forza multinazionale, con pieni poteri e in grado di intervenire rapidamente in ogni parte del mondo, tra l’altro evitando così che singoli stati pensino di potersene assumere la responsabilità. Una forza ovviamente sottoposta a severi controlli democratici, con norme e codici di comportamento condivisi da tutti, sotto l’occhio vigile di un tribunale internazionale, indipendente e rispettato.

Forse una polizia internazionale non ci avrebbe risparmiato il gravissimo bombardamento americano contro l’ospedale di Medici senza frontiere, ma almeno potremmo sperare che una vera indagine accerti cos’è successo a Kunduz e individui i responsabili.

Ha scritto sempre Adriano Sofri qualche anno fa: “Immaginate uno stato in cui i tribunali non contino su una polizia efficace; o uno stato in cui i criminali vengano affrontati solo se non siano troppo potenti. Succede, direte: ma almeno bisogna concordare che non debba essere così”.

Per quanto siano inaccettabili gli abusi della polizia in generale, altrettanto inaccettabile è non riuscire a far niente per evitare genocidi e stermini. Probabilmente una polizia internazionale è un’utopia, visti i risultati delle Nazioni Unite, e non è detto che funzioni o che sia la soluzione migliore, ma l’alternativa – un mondo senza nessuno che abbia il mandato per impedire il massacro di civili inermi e indifesi – la conosciamo già: è il mondo di oggi, e nessuno può dire che vada bene.

Questa rubrica è stata pubblicata il 9 ottobre 2015 a pagina 7 di Internazionale, con il titolo “Provocazione”. Compra questo numero| Abbonati

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