Un documento su papiro scritto a Ravenna tra il 540-543 dC. (Bibliothèque publique et universitaire di Ginevra)

Il medioevo è un’epoca buia, si dice. E lo sono ancora di più i suoi secoli iniziali, quelli che corrono grossomodo dalla caduta dell’impero romano d’occidente (476 dC), alla formazione del nuovo impero di Carlo Magno (800 dC). Non si tratta di un semplice stereotipo, come si tenderebbe facilmente a pensare. L’oscurità medievale deriva piuttosto da un pesante condizionamento delle fonti su cui si devono basare le ricostruzioni degli storici: gli archivi d’Europa conservano documentazione scritta solo a partire dall’ottavo e nono secolo.

Salvo pochissime eccezioni, il periodo precedente è immerso nell’ombra. È stato facile per gli studiosi, quasi immediato, interpretare quel vuoto di fonti come esito diretto di una grave crisi provocata dal collasso dell’impero romano. Venuto meno quel solido sistema statale, sarebbero venute meno anche le attitudini culturali e l’alfabetismo diffuso che esso aveva garantito, lasciando spazio all’elitaria e solitaria cultura di chierici e monaci. L’interpretazione è senz’altro legittima, ma non è l’unica possibile. Se ne può formulare almeno un’altra basandosi su quelle pochissime eccezioni citate poc’anzi.

Gli archivi europei conservano infatti minuscole manciate di documenti anteriori all’ottavo secolo, che non differiscono in nulla da quelli posteriori se non per il loro supporto materiale: sono scritti su carta di papiro egizio. Tutti gli altri sono redatti su pergamena, cioè su pelli di animali come capre e pecore. Può sembrare un aspetto puramente tecnico, questo dei materiali scrittori, eppure se lo si inserisce nel discorso storico i secoli oscuri del primo medioevo appaiono diversi da come ce li siamo immaginati.

Secondo stime recenti, la carta di papiro ha una durata media di conservazione pari a trecento anni, la pergamena invece supera i mille anni senza difficoltà. Dunque il primo materiale tende a dissolversi nel tempo, il secondo no. Non è difficile da credere, visto che gli stessi documenti di papiro conservati negli archivi sono particolarmente frammentari e necessitano di cure particolari, mentre le pergamene si maneggiano più comodamente di un settimanale.

C’è quindi un problema materiale alla base dei secoli oscuri? Una ricerca sugli usi del papiro e della pergamena nell’Europa medievale ha suggerito una risposta positiva. I frammenti pervenuti e alcune fonti indirette hanno infatti rivelato che fino al tardo settimo secolo tutte le città del continente importavano carta di papiro dall’Egitto. Poi quando l’antica terra faraonica venne conquistata dagli arabi (641 dC), ci fu una lenta ma progressiva contrazione dei flussi commerciali che indusse i notai europei a far uso più cospicuo e razionale delle loro risorse animali.

A risentirne furono principalmente le isole britanniche e l’area franco-germanica, che infatti furono le prime a cambiare materiale. Ma la necessità si trasformò presto in virtù: rendendosi conto che la pergamena sconfiggeva il tempo, la vetustas come si diceva all’epoca, a poco a poco, tra l’ottavo e il nono secolo, anche i più marittimi decisero di passare alla nuova tecnologia. Paradossalmente, gli ultimi a convincersi furono i papi di Roma attorno al 1050 dC. Volendo apparire come i migliori eredi degli antichi imperatori romani, i più alti rappresentanti del cristianesimo continuarono a rifornirsi da fabbriche egiziane, senza alcuna preoccupazione per la religione islamica di chi adesso le controllava. Ironia della sorte, una crisi economica ha fornito solidità al racconto storico.

Dario Internullo è ricercatore in storia medievale presso il dipartimento di studi umanistici dell’università degli studi Roma Tre.

D. Internullo, Du papyrus au parchemin. Les origines médié­vales de la memoire archivi­stique en Europe occidentale, Annales. Histoire, Sciences sociales (2019)

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