Questa è una storia delle ultime elezioni amministrative, ma non riguarda coalizioni, liti tra leader o effetti sul governo. È invece quella di una nuova classe politica che sta cercando di emergere. Veronica Atitsogbe, 28 anni, figlia di genitori nati in
Togo: dopo anni di attivismo nella comunità afroveronese è entrata in consiglio comunale a Verona, è stata la candidata più votata nella lista del sindaco Damiano Tommasi, la cui vittoria è stata quasi un miracolo elettorale.

Francesca Ghio, 27 anni, leader genovese dei Fridays for Future: nella richiesta di permessi in questura per il primo sciopero del clima aveva scritto che si aspettava 200 persone, ne sono venute diecimila. Tre anni dopo è stata eletta consigliera di opposizione nella Genova del riconfermato Marco Bucci, del centrodestra: entra nello stesso comune dove nel 2019 nessuno l’aveva presa sul serio quando aveva chiesto la dichiarazione di emergenza climatica.

Vittoria Briccarello, 26 anni, neo consigliera comunale di Asti, la seconda candidata più votata in città, attivista lgbt+ da quando era alle superiori: ha organizzato il pride e creato uno sportello di ascolto per migranti vittime di discriminazioni per genere e orientamento sessuale. Atitsogbe, Ghio e Briccarello vengono da anni di politica lontano dai partiti, un lavoro di comunità, di autorganizzazione e di conflitto con quelle istituzioni che ora rappresenteranno. Questa è anche la storia, diversa ma complementare, di Fabio Perretta, 25 anni, attivista per il futuro delle aree interne: si era candidato a Buccino (Salerno), ha preso tanti voti (132 in un comune di 3.400 aventi diritto), ma non è entrato in consiglio, perché la sua lista ne ha presi troppo pochi.

Sono frammenti di una classe dirigente finalmente in evoluzione, una possibile risposta a una politica sempre meno rappresentativa della società che governa, come dimostrano gli sconfortanti dati sull’affluenza. Che siano in maggioranza o all’opposizione, Atitsogbe, Ghio e Briccarello porteranno nei consigli temi, come diritti ed ecologia, che i partiti tradizionali hanno dimostrato di maneggiare con fatica. Il loro ingresso nelle istituzioni è merito del civismo della politica locale, degli aspiranti sindaci che le hanno scelte e (a volte a fatica) convinte a fare il salto. Atitsogbe sarà consigliera anche per via dell’insistenza di Tommasi: “Candidarmi per me era una cosa impensabile, ma lui si è messo a disposizione con un ascolto attivo. Quando non era preparato si è andato a informare, questo mi ha colpita”. Il loro successo però è anche merito di progetti come Fantapolitica! e Ti Candido, che da anni lavorano a margine dei partiti per selezionare e dare visibilità a candidate e candidati progressisti fuori dalle filiere tradizionali della selezione politica, persone con valori e idee ma che rischiano di perdersi nei meccanismo delle competizioni elettorali. Atitsogbe, Ghio e Perretta hanno fatto il loro percorso seguiti da Fantapolitica!. Briccarello è stata scelta da entrambi i gruppi, che hanno un funzionamento diverso ma basato sulla stessa filosofia: innovare la politica partendo dalle persone, con un lavoro di adozione e guida. Ti Candido è un progetto del Forum disuguaglianze e diversità e nel 2022 ha sostenuto tredici persone, tra cui nove con meno di 40 anni. Il modello sono i Justice Democrats, che negli Stati Uniti hanno contribuito all’ascesa della generazione di Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib, Ilhan Omar.

Effetto anguria

Fantapolitica! è un’iniziativa indipendente, più piccola e radicale, finanziata dal Consiglio d’Europa nell’ambito della campagna Democracy here. Democracy now. Seleziona solo under 30, fuori dai grandi partiti, accomunati “dall’effetto anguria”, verdi ambientalisti fuori e rossi di sinistra dentro. Ci lavorano due esperte e appassionate di politica, Gabriella Sesti Ossèo e Cristiana Cerri Gambarelli (29 e 28 anni), sono alle seconde elezioni dopo l’esordio nel 2021. In tutto hanno collaborato con 36 candidati e ne hanno fatti eleggere 12 (a queste elezioni 4). Il loro ciclo di formazione segue l’arco della campagna elettorale: sono seminari per fornire strumenti, tecniche, consigli e anche supporto emotivo a persone che spesso non avevano mai fatto politica fuori dalla propria bolla. L’obiettivo è creare un ponte tra l’attivismo e le istituzioni. Spiegano: “L’Italia è piena di gente che va a dormire arrabbiata e si spacca la testa per cambiare le cose, persone per le quali avere sensibilità politica è un dolore. Il primo valore del nostro lavoro è la rappresentanza di comunità e bisogni che altrimenti non hanno voce. L’attivismo alza l’asticella del possibile, poi le cose bisogna farle, e perché non dovrebbero farle proprio gli attivisti.

Veronica Atitsogbe sapeva di essere entrata in consiglio già dopo il primo turno, ma è la sera della vittoria di Tommasi al ballottaggio che il cerchio si è chiuso: con il nuovo sindaco ha vinto un intero modello. “Ho visto finalmente una Verona che non aveva mai avuto modo di emergere, prima non riuscivamo a respirare e ora eccoci qui: Verona può diventare un laboratorio, un esempio per altre città”, racconta, con la voce che trema ancora, quella di chi ha “spostato il limite del possibile”. Atitsogbe ha studiato scienze politiche, aveva lavorato in prefettura come assistente per le pratiche di cittadinanza, ora è impiegata in banca. L’attivismo era stato una scoperta recente, perché prima si teneva alla larga dalla politica: “Non per disinteresse, ma per rassegnazione, non pensavo che questa città potesse cambiare”. La storia gira alle elezioni del 2018, quando nasce il primo governo Conte, quello dei decreti sicurezza e della criminalizzazione delle migrazioni, un’onda di odio arrivata fino a lei, che è nata a Verona, è figlia di una coppia che vive in Italia dagli anni ottanta e in Togo è stata solo quattro volte. “L’esclusione era diventata paura. La mia bussola mi aveva sempre detto: tu sei veronese, ma la gente non mi considerava più tale. Mi sono confrontata con altri ragazzi come me: avevamo tutti lo stesso disagio”. Così nasce l’Associazione afroveronesi, con l’idea di organizzarsi, chiedere diritti e spazi, ma soprattutto offrire un luogo sicuro, dove smettere di avere paura. In quegli anni Atitsogbe non si ferma mai, incontra giovani di prima e seconda generazione, ascolta storie che sono come la sua o diverse dalla sua, di case che non si trovano perché il colore della pelle conta più delle garanzie, di profilazione razziale di intere generazioni trattate come affiliate a gang, di razzismo sistemico. “L’Africa è vasta, variegata, quello che ci univa era la voglia di essere veronesi”. Atitsogbe diventa un punto di riferimento per la comunità e così entra nei radar della politica. Tommasi ha dovuto convincerla a candidarsi, lei ha dovuto rassicurare i suoi genitori. “Sono molto riservati, già il lavoro con l’associazione li aveva fatti preoccupare. Avevano paura per me, per il livello di esposizione, ma quando hanno visto la mia passione sono stati i primi a volantinare”. L’educazione che hanno dato a Veronica e a sua sorella è stata già un esercizio di cittadinanza (ottenuta poi da maggiorenne), il primo passo della strada che l’ha portata in consiglio e poi chissà dove in futuro: “Volevano che fossimo il più veronesi possibile, sono stata io ad andare alla ricerca della mia cultura di origine”. La sua campagna elettorale è stata veloce e capillare, condotta al ritmo di Tommasi: camminate, quartieri, conversazioni. “Mi hanno votata persone che non avrei immaginato, il giorno dei ballottaggi ai seggi mi fermavano le anziane signore e mi dicevano: abbiamo scelto te, proprio te”.

Percorso ecologista

Francesca Ghio era, se possibile, ancora più scettica. A Genova chiunque abbia fatto un percorso ecologista sa di lei, anima, voce e megafono delle grandi manifestazioni dei Fridays for Future pre-pandemia. Il suo nome circolava già in vista delle regionali 2020, con articoli dal tono: “Tutti cercano Francesca Ghio, dal Pd ai 5 Stelle”. Lei li ha ignorati e lasciati scorrere via, si occupava di sovranità alimentare e dell’azienda agricola che stava per aprire a Pieve Ligure. A provarci l’hanno convinta il candidato di sinistra, Ariel Dello Strologo, ma soprattutto un amico di vecchia data: “Avevo paura di non avere le energie, lui mi ha fatto un discorso sul privilegio e la responsabilità di rappresentare chi aveva lottato insieme a me in questi anni. Ho pensato: va bene, tolgo ore al sonno e lo faccio”. È stata la seconda più votata nella lista più a sinistra nella coalizione degli sconfitti. “A Genova si sono scontrati due modelli: quello dello sviluppo per pochi, che ha vinto, quello dell’inclusione di tutti, che ha perso”. La sua campagna è stata un assaggio di come potrebbe essere la generazione degli attivisti di oggi nel flusso della politica di domani: toni bassi, quasi sussurrati, che veicolano contenuti radicali di giustizia sociale e ambientale. Ghio la definisce “comunicazione non violenta, una campagna fatta con gentilezza, dolcezza, l’opposto di quello che ti insegnano debba essere una competizione elettorale”. Merito della sua personalità, della militanza in un movimento pacifista come Fridays for Future e del lavoro con Fantapolitica!, che trasmette una filosofia simile: più il cambiamento che chiedi è radicale, più il modo in cui lo chiedi dovrà essere inclusivo e rassicurante.

“Asti è una città respingente per i giovani, dalla quale si può solo scappare, infatti c’è una fuga continua, qui non si può né studiare né lavorare”. Vittoria Briccarello però ha scelto di restare, trovando un senso alla sua astigianità nella terza via: l’impegno politico, che in meno di un decennio l’ha portata da essere rappresentante d’istituto a consigliera più votata di tutta la sinistra. Si identifica come non binaria, negli ultimi cinque anni aveva combattuto l’amministrazione guidata dal sindaco di Forza Italia Mauro Rasero – riconfermato – sull’inclusione, l’omotransfobia ma anche l’immobilismo della vita culturale locale. Il passaggio dall’attivismo alla candidatura elettorale per lei è stato più naturale che per Ghio e Atitsogbe: “C’era un intero pezzo di città senza nessuna rappresentanza e una politica locale a cui fa comodo continuare a ignorarlo, nonostante il fatto che questa città diventi sempre più intollerante”. Il simbolo della sua campagna intersezionale, diritti civili più diritti sociali, era una piantina di pomodoro distribuita in centro per raccontare le idee della sua lista sullo sviluppo agricolo della città. Briccarello è stata l’unica adottata da entrambe le campagne: “Fantapolitica! è una scuola di politica ma anche un luogo sicuro, dove sentirsi parte di una squadra, di persone diverse, da tutta Italia, con lo stesso orizzonte. Ti Candido è un’esperienza più pragmatica, ti danno una mano con il comunicato, i crowdfunding, i social”. Quando ha visto i suoi risultati, ha pianto: aveva vinto nel mese del pride. “Vengo dalla minoranza più minoranza che ci sia in questa città, è una rivincita fortissima, non vedo l’ora di fare opposizione costruttiva e imparare tutto quello che posso imparare”.

Comunista

Fabio Perretta è tra quelli che non ce l’hanno fatta: a 25 anni già un terzo della sua vita è stato pratica politica. Ha attraversato quasi un decennio di sinistra, da Tsipras a Potere al Popolo, con due candidature fallite per un soffio al comune di Buccino. Siamo in Campania, quasi al confine con la Basilicata, qui la minaccia più grande è lo spopolamento, l’abbandono delle terre e dei giovani. Per combatterlo Peretta si è inventato di tutto: ha anche convinto i vecchi del paese a iscriversi al liceo per evitare che venisse chiuso. Nella commistione geografica dentro i seminari di Fantapolitica!, Perretta portava una realtà diversa, spiegando di venire “da Venere”, che il suo mondo è diverso dall’attivismo urbano, è quasi una propaggine di novecento. Non ha il lessico intersezionale delle compagne di viaggio del nord: Peretta si definisce comunista, fiero erede dei braccianti che occuparono le terre a colpi di zappa e pietre nel 1949. “Qui essere comunista è più che mai attuale, la generazione del dopoguerra ha combattuto i latifondisti, noi ci battiamo contro un uso del Pnrr che ricorda la ricostruzione dopo il terremoto dell’80. I princìpi sono gli stessi, dobbiamo riconnetterci a quella lotta antica”. Un misto di questione morale e filosofia della “restanza”, cioè decidere di non lasciare i paesi a se stessi come forma di resistenza attiva. La lista di Potere al Popolo ha preso il 9 per cento, non ha eletto nessuno, ma è un risultato di rilievo per una terra marginale. Oggi Fabio coltiva i campi ereditati da quella piccola rivoluzione locale, sogna di insegnare al liceo che due anni fa ha salvato e immagina una grande sinistra unita, in nome di diritti, ambiente e lavoro, un arco che copra Fridays for Future, pride, lavoratori di Gkn e giovani comunisti di paese come lui. Il nome che cita più spesso è Jean-Luc Mélenchon, l’anziano politico che in Francia ha federato i progressisti contro Emmanuel Macron e Marine Le Pen.

Voglia di partecipazione

Quattro storie e tre nuove consigliere comunali non fanno una tendenza, così come non lo sono due progetti innovativi con 28 candidati sostenuti, però Fantapolitica! e Ti Candido sono come due evidenziatori passati sulle liste elettorali: sottolineano la voglia di partecipazione istituzionale di un paese dove c’è un’intensità politica che non si vedeva da due decenni, ma dove i giovani votano sempre meno. Come spiegano le animatrici di Fantapolitica!, “la scissione tra le piazze e il palazzo è una sconfitta per entrambi, ma il sistema democratico va innovato. Noi cerchiamo e cercheremo ancora ‘persone politiche’, come Atitsogbe, Ghio e Briccarello, mediatrici tra i fermenti radicali della società, per cui magari ‘non sono abbastanza’, e le istituzioni, dove sono ‘troppo’. Ed è in questa mediazione che sta il loro valore”. Tra un anno si vota per rinnovare il parlamento, Fantapolitica! e Ti Candido non potranno fare nulla, perché l’attuale legge elettorale non prevede preferenze ma liste bloccate. Saranno i partiti a costruirle, la speranza è che possano seguire la traccia lasciata da queste amministrative: la scelta di nomi che rappresentino dal basso temi e comunità finora non viste, e poi la parte più difficile del percorso: l’inclusione attiva delle loro idee.

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