Una sezione di tessuto cutaneo infettata dal vaiolo delle scimmie (Reuters/Contrasto)

Dal 7 maggio, quando a un viaggiatore britannico di ritorno dalla Nigeria è stato diagnosticato il vaiolo delle scimmie, sono stati registrati almeno trecento casi in 22 paesi non africani tra cui l’Italia. Il primo di questi è stato diagnosticato il 19 maggio all’Istituto Spallanzani di Roma, in un giovane rientrato da una vacanza alle Canarie. I casi italiani sono saliti rapidamente a dieci.

Il vaiolo delle scimmie è un virus noto dagli anni cinquanta, ed era già comparso in Europa nel 2018. Ma è la prima volta che si diffonde in modo sostenuto fuori dall’Africa occidentale e centrale, dove è endemico dal 1970. Di norma infatti viene contratto dagli animali – non solo scimmie, a dispetto del nome, più spesso roditori e ghiri africani – mentre è più difficile che passi da persona a persona.

Non si sa ancora perché il virus si stia diffondendo proprio ora. Il virus sembra simile ai ceppi finora noti e comunque i poxvirus, la famiglia a cui appartengono sia il vaiolo delle scimmie sia il vaiolo umano, in generale tendono a mutare meno facilmente rispetto ai virus a rna come il sars-cov-2. Ma alcuni virologi, tra cui Trevor Bedford dell’istituto Fred Hutchinson di Seattle e Stefan Rothenburg dell’Università della California, non escludono che si tratti di un ceppo più capace di trasmettersi da persona a persona, e sostengono che i poxvirus possono evolversi rapidamente. Sono però ipotesi ancora da dimostrare.

La trasmissione

Il virus si trasmette tramite contatto fisico ravvicinato, inclusi i rapporti sessuali, ma anche tramite oggetti contaminati, per esempio le lenzuola, che possono essere ancora infettivi a distanza di molti mesi. Non sembra che si trasmetta per via aerea. Il ministero della salute in ogni caso raccomanda di indossare la mascherina ffp2 per gli operatori sanitari a contatto con i contagiati. Secondo il Centro europeo per il controllo delle malattie, esiste il sospetto che il contagio si sia diffuso tramite rapporti sessuali con più partner.

L’attuale epidemia è dovuta al ceppo virale endemico in Africa occidentale, il più mite, con una letalità dell’1-3 per cento. Nei paesi occidentali, che hanno strutture sanitarie migliori, il rischio è probabilmente inferiore e al momento non ci sono notizie di decessi fuori dall’Africa. Il vaiolo delle scimmie è comunque fastidioso e potenzialmente debilitante.

Dopo un’incubazione che va dai 5 ai 21 giorni, i primi sintomi sono febbre, dolori muscolari, stanchezza e mal di testa. Entro tre giorni inizia la formazione di pustole: un segno tipico è la loro comparsa sulla pianta di mani e piedi. Di norma la malattia si risolve in 2-4 settimane; in alcuni casi le lesioni possono lasciare cicatrici permanenti sulla pelle o lesioni alla cornea, e quindi danni alla vista. La malattia tende a essere più grave nei bambini, nelle persone positive al virus dell’hiv e nelle donne incinte, oltre che negli immunodepressi.

Vaccini ed efficacia

La buona notizia è che abbiamo già un vaccino. I vaccini per il vaiolo umano infatti hanno un’efficacia intorno all’85 per cento contro il vaiolo delle scimmie. In Italia le persone nate prima del 1977 sono già vaccinate contro il vaiolo. Ci sono indizi che il vaccino possa immunizzare per decenni, ma ufficialmente la protezione piena è garantita per soli 3-5 anni.

L’Agenzia europea del farmaco (Ema) nel 2013 ha approvato un nuovo vaccino antivaiolo, Imvanex, molto più sicuro dei vaccini storicamente usati negli anni sessanta e settanta, ora non più autorizzati. Potrà servire come profilassi per i contatti stretti e gli operatori sanitari, se somministrato entro quattro giorni dall’esposizione al virus.

In caso di emergenza comunque l’Italia, secondo fonti dell’Istituto superiore di sanità, ha a disposizione cinque milioni di dosi di vaccino, che possono salire a venticinque milioni se diluite. Quanto ai farmaci, l’unico esistente è il tecovirimat, approvato nel gennaio 2022 dall’Ema.

Restano ancora molti interrogativi, ma a meno di nuove scoperte sembra improbabile che il virus possa causare una nuova pandemia. A differenza del covid-19, il vaiolo delle scimmie si trasmette difficilmente, ha sintomi identificabili e ci sono già dei vaccini.

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