Alla fine è un Sanremo che si nutre di storie, che se le divora. Con la direzione artistica di Amadeus ‒ ma il processo di rinnovamento era cominciato già con Claudio Baglioni nel 2019 ‒ ormai il festival è diventato un appuntamento troppo più grande rispetto agli altri eventi televisivi e non solo in Italia, e i cantanti sono disposti a tutto per partecipare. Mettono sul piatto vicende artistiche e personali, sacrificano anni trascorsi a costruirsi una credibilità diversa, a volte perfino rinnegano se stessi, pur di esserci. E l’Ariston, ovviamente, ci costruisce sopra uno show che sbanca i dati di ascolto.

È un Sanremo di storie, appunto: dalle reunion di Paola e Chiara e degli Articolo 31, entrambe in sospeso da oltre vent’anni e “sbloccate” per l’occasione, ai ritorni di Marco Mengoni e Ultimo, due che visti i trascorsi in quel teatro (rispettivamente primo e secondo classificato nel 2013 e nel 2019) hanno tutto da perdere. Ancora: i Coma_Cose, che con L’addio cantano l’antitesi della canzone d’amore che nel 2021 li aveva fatti scoprire al grande pubblico (Fiamme negli occhi); Colapesce e Dimartino, che trasformano la collaborazione estemporanea di Musica leggerissima in un legame consolidato, e Gianluca Grignani, che esce da quasi dieci anni di latitanza dalle scene e problemi personali con una canzone dedicata al padre lontano, Quando ti manca il fiato.

Vale per tutti: perché qui, perché proprio adesso? Questione di slogan: perché Sanremo è Sanremo, viene da dire. Va da sé che alcune esibizioni sono intense emotivamente o dal punto di vista tecnico, come quella magistrale di Colapesce e Dimartino o la prima di Grignani, che arrugginito arranca, si commuove e in coda fa un sorriso liberatorio un po’ in stile Joker che da solo vale la serata.

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Il punto è che, al di là di questo, molte delle canzoni non offrono spunti. Manca, per dire, uno sguardo contemporaneo sugli arrangiamenti (quello di Soldi di Mahmood e Voce di Madame, per citare i due esempi più recenti), una prospettiva nuova su tematiche storicizzate, là dove per le canzoni d’amore l’anno scorso c’era Tuo padre, mia madre, Lucia di Giovanni Truppi. I più giovani ‒ mai così tanti, e dai quali ci si aspetta il salto in avanti ‒ assecondano la tradizione per cui perfino i rivoluzionari, una volta all’Ariston, presentano i loro pezzi meno estremi.

Al di là di prodotti nati vecchi (Leo Gassman) o innocui (Olly), Tananai con Tango sacrifica l’attitudine dance che l’ha consacrato per una ballata onesta ma classica, forse in preda all’ansia di essere preso sul serio dopo un anno trascorso da meme. I Coma_Cose lo seguono a stretto giro, mentre in Mare di guai di Ariete si sente la mano del coautore Calcutta, che è una garanzia di efficacia ma non per forza di freschezza. E Due di Elodie è fin troppo collaudata, sia per lei sia per le tante radio che già la trasmettono. Non sono brutte canzoni: è che si prendono pochi rischi. Come alla fine se ne prendono pochi Rosa Chemical e il suo elettroswing da autoscontro (Made in Italy), le cui “perversioni” possono essere considerate tali solo dal pubblico più reazionario.

Meglio, allora, Il bene nel male di Madame, che oltre a raccontare gli amori di una prostituta è un pop sintetico e metropolitano meno ambizioso di Voce ma credibile. E meglio soprattutto Lazza con Cenere, paradossalmente rigenerato dalla sgrezzata da prima serata, grazie alla produzione di Dardust che lo porta lontano da certe approssimazioni della drill, tra elettronica e canzone d’autore. Dopo essere diventato l’idolo dei figli ora vuole conquistare i loro genitori, ma se questo ormai pare un passaggio obbligato per molti, lui almeno mostra carattere nel farlo. Invece sa di occasione persa Duemilaminuti di Mara Sattei, troppo tradizionale nonostante lei sia un’autrice brava a restare sospesa tra vintage e urban e abbia coinvolto nella scrittura il fratello thasup, genio della trap e del pop italiano.

Poche sorprese

Se non altro, almeno, il testo di Mara Sattei descrive una storia di violenze e incomprensioni, ed è tra i migliori di un festival in cui canzoni, da annunci, vorrebbero parlare di ansie e salute mentale, ma si perdono presto. Per esempio Levante con Vivo, un brano sulla depressione post-parto, sconta un momento di passaggio della sua carriera artistica (la stessa che, per altri motivi, affronta una Giorgia in cerca di reinventarsi con Parole dette male), Mr Rain (Supereroi) sbatte un po’ sulla retorica, il Mostro di gIANMARIA è in parte acerbo e i Modà, che rileggono la depressione in un pezzo di non-amore (Lasciami), sono solo un flashback della musica che suonavano nel 2011. Come sono un flashback Paola e Chiara (Furore), che se non pensano alle loro stesse di vent’anni fa imitano Raffaella Carrà, e gli Articolo 31, che in Un bel viaggio parlano del rapporto tra di loro (J-Ax e Dj Jad si sono amati, poi odiati, poi riuniti) in un pezzo abbastanza autoreferenziale e fermo al momento in cui si sono sciolti, sempre vent’anni fa. Grignani, poi, privato dell’emozione del palco ha le unghie poco affilate, mentre suonano meno scontati i Cugini di Campagna con Lettera 22, pezzo scritto dalla Rappresentante di Lista che riprende con classe sonorità e lustrini anni settanta. Ma oltre a un’operazione simpatia, è difficile attribuirgli una certa rilevanza.

L’unica vera sorpresa del cast arriva da Colapesce e Dimartino, che con Splash superano i fantasmi di Musica leggerissima proponendo un ritorno con meno killer instinct ma che è un esempio di pop d’autore perfino migliore, con citazioni e riferimenti a Franco Battiato, Lucio Battisti e Luca Carboni. Splash ha una melodia che sembra ingeneroso confrontare con quelle degli altri pezzi in gara e un testo che affronta il tema dell’ansia e delle aspettative, fino all’allusione finale a un (probabile) suicidio del protagonisti. I favoriti della vigilia, cioè Marco Mengoni e Ultimo, rappresentano due facce, emblematiche, della medaglia del campione: entrambi portano le solite ballate sanremesi, ma se Mengoni (Due vite) con la propria interpretazione riesce a metterci dentro sfumature più raffinate e favorisce certe suggestioni rnb, Ultimo (Alba) sembra la caricatura di sé stesso.

Forse è vero, come dice con orgoglio Amadeus, che questo Sanremo è lo specchio della musica italiana di oggi. Ma non nel senso che intende il conduttore: il gusto per produzioni più approfondite è al minimo, la nostalgia domina e in tanti preferiscono non prendersi dei rischi. E tutto lo spirito della kermesse sottolinea quest’impressione di già sentito, come testimonia una serata delle cover che per molti degli artisti sa di autocelebrazione. Telespettatori e ascoltatori, come da tradizione e come conferma anche l’episodio di Blanco, hanno poca voglia di sentirsi spiazzati, e ancor meno pazienza per metabolizzare un sentimento del genere. E quindi ben vengano le storie da vedere in tv, ma ben vengano anche Colapesce e Dimartino. Splash dimostra che un’altra musica e un altro festival sono possibili. Come quando alludono al suicidio nel finale, insinuano dubbi che riguardano tutti. In un Sanremo che, per il resto, è anche troppo tranquillo, sono quello che ci vuole.

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