La nota dell’Autorità di bacino distrettuale del fiume Po sembra un bollettino di guerra: la neve sulle Alpi è esaurita in Piemonte e Lombardia; i laghi, eccetto il Garda, sono ai minimi storici del periodo; la temperatura è due gradi sopra la media; la produzione di energia elettrica è in stallo; le colture sono in sofferenza. “Valori così non si vedevano da almeno settant’anni”, riassume il comunicato.

L’agenzia, con sede a Parma, si occupa di monitorare la situazione delle acque nel bacino padano. E parla di siccità severa o estremamente grave. Risultato di un inverno troppo mite con poche precipitazioni nevose sui rilievi, e quindi scarso accumulo per la primavera, oltre che della quasi totale assenza di piogge per diversi mesi. La siccità prefigura una situazione di calamità naturale, in cui i vari utenti dovranno farne a meno o entreranno in competizione per l’acqua.

In diversi comuni del Piemonte e della Lombardia si comincia a immaginare un razionamento notturno per consentire alle riserve di ricostituirsi. Utilitalia, la federazione che riunisce le multiutility del servizio idrico integrato, ha rivolto un appello a circa 100 comuni in Piemonte e 25 nella provincia di Bergamo per sospendere l’erogazione idrica di notte e fare ordinanze mirate per usare la risorsa con parsimonia.

“Già in passato ci sono stati periodi siccitosi di questo tipo. L’anomalia di quest’anno sono le temperature più elevate, che fanno aumentare l’evapotraspirazione”, dice Vito Felice Uricchio, dirigente all’Istituto di ricerca sulle acque del Consiglio nazionale delle ricerche (Irsa-Cnr). “Con questo caldo, il livello di laghi e fiumi si abbassa ogni giorno di 9 millimetri. È una cifra importante”.

Minimi storici

Se la risorsa scarseggia, chi ne ha bisogno può facilmente entrare in conflitto: l’acqua in estate è fondamentale non solo per gli usi civili, ma anche per l’irrigazione, per la produzione di energia idroelettrica e per mantenere alti i livelli dei grandi laghi a scopi turistici. Secondo stime della Commissione europea riportate dall’Associazione nazionale bonifiche irrigazioni miglioramenti fondiari (Anbi), la siccità sta già costando all’Italia 1,4 miliardi di euro di danni, dalla mancata produzione agricola ai maggiori costi di irrigazione. “Dei 12 milioni di ettari di superficie agricola coltivata, ne irrighiamo appena 3,3 milioni. Ma è da questo 25 per cento della superficie agricola che viene l’85 per cento dell’agroalimentare italiano”, sottolinea il presidente dell’Anbi Francesco Vincenzi.

La siccità colpisce soprattutto il Norditalia, un territorio dove vive un terzo della popolazione italiana, si genera il 40 per cento del prodotto interno lordo, il 35 per cento della produzione agricola e il 55 per cento di quella idroelettrica.

Il livello del Po è ai minimi storici. A Pontelagoscuro, vicino a Ferrara, la sua portata è di 301 metri cubi al secondo, un valore sei volte più basso rispetto alla media storica mensile di giugno, che è di 1805 metri cubi al secondo. Una portata così modesta ha conseguenze drammatiche in tutta la zona della foce, dove il mare avanza, desertificando i territori e intaccando le riserve di acqua potabile. Il fenomeno è noto come “risalita del cuneo salino”, e gli abitanti della vasta area del Delta, in provincia di Rovigo, lo conoscono bene. “Il cuneo è risalito di 15-17 chilometri dalla foce”, racconta Giancarlo Mantovani, direttore del consorzio di bonifica del Delta del Po e dell’Adige. “Nel 2006, quando la portata è scesa a 200 metri cubi al secondo, l’acqua salata è risalita di 30 chilometri e nella centrale di Porto Tolle si rese potabile l’acqua salata. Senza precipitazioni, la portata del fiume si abbassa ogni giorno di 20 metri cubi al secondo. In meno di una settimana ci potremmo trovare in quella stessa situazione”.

Problema strutturale

Se i dati sono drammatici, in molti concordano che non bisogna considerare l’emergenza di oggi un’eccezione. “Ormai siamo di fronte a una tendenza, che mostra quanto il nostro paese sia esposto agli effetti dei cambiamenti climatici”, sottolinea Uricchio. Il ricercatore fa notare come il livello generale di precipitazioni non è calato vistosamente, ma sono cambiate l’intensità e la frequenza. “Magari non piove per mesi e poi in due giorni cade la pioggia di un anno, provocando alluvioni e smottamenti. L’altra faccia della siccità sono gli eventi atmosferici estremi, come piogge torrenziali, trombe d’aria, grandinate distruttive. Nel 2021 in Italia ce ne sono stati 1.283”. L’aumento di questi eventi estremi mostra come l’area mediterranea sia quello che i climatologici definiscono un “hotspot climatico”, un luogo dove gli effetti del surriscaldamento globale sono più evidenti che altrove. “Nel nuovo scenario climatico, la risorsa va gestita in modo diverso, trattenendola ed evitando che abbia effetti devastanti quando cade. È assurdo che oggi in Italia venga utilizzato solo l’11 per cento dell’acqua piovana”, dice ancora Uricchio.

Vincenzi è d’accordo: “Non è corretto parlare di situazione emergenziale. Il problema idrico è strutturale: dal 2003, quando abbiamo iniziato a raccogliere i dati, è diventato ricorrente. La penuria d’acqua è la condizione normale dell’Italia. Aumentare la capacità di ritenzione dall’11 per cento attuale fino al 50-60 per cento è una risposta che diamo alle generazioni future, serve a mantenere vivibile il nostro territorio”.

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha stanziato 880 milioni di euro per migliorare l’efficienza dei sistemi d’irrigazione e costruire serbatoi di contenimento in cui trattenere l’acqua piovana per utilizzarla quando scarseggia. Inoltre, questi invasi dovranno essere ricoperti di pannelli fotovoltaici per produrre energia in modo pulito. “È sempre più necessario pensare a una gestione integrata di risorse come acqua ed energia. Ricoprire i serbatoi con pannelli riduce l’evapotraspirazione”, dice Uricchio, aggiungendo che sarebbe utile che parte di questi serbatoi siano sotterranei per ridurre il consumo di suolo.

La crisi attuale sta mettendo a nudo molte fragilità: oltre ad avere alte percentuali di dispersione idrica e scarsa capacità di trattenere l’acqua piovana, l’Italia primeggia in Europa per consumo di suolo. Secondo i dati dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), ogni secondo quasi due metri quadrati di aree agricole e naturali vengono edificate. Le aree così impermeabilizzate sono più vulnerabili agli eventi estremi, sono più soggette al pericolo alluvioni, e aumentano l’incidenza delle “isole di calore”, zone in cui le temperature sono più elevate che altrove. Ispra stima che i costi nascosti della crescente impermeabilizzazione e artificializzazione del suolo degli ultimi otto anni superino i 3 miliardi di euro all’anno.

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