Cultura Suoni
Cavalcade
Black Midi (dr)

I Black Midi sono condannati a restare sempre in sospeso tra l’entusiasmo e lo scetticismo della critica e del pubblico. Il loro esplosivo album di debutto, Schlagenheim, è uscito nel 2019 ed è stato elogiato per come reinterpretava l’estetica noise, post-punk e no wave. Nel suo secondo lavoro il trio sposta l’attenzione sulla sua abilità con gli strumenti, scivolando verso il prog e il jazz mentre racconta storie sulla disperazione, il delirio e la distruzione. Il pezzo iniziale John L guida la processione, con i suoi riff frenetici ed esplosivi. Geordie Greep canta gracchiando con la sua voce sommessa come se fosse seduto accanto a un falò. Poi in Marlene Dietrich, un pezzo più gentile in stile bossa nova, diventa un croo­ner e si crogiola nell’atto di recitare un dramma. È la giusta evoluzione: questo disco è un vortice di stati d’animo, dai riff funkeggianti di Hogwash and balderdash al math rock di Slow. È una parata bizzarra e febbrile. Al diavolo le mezze misure. Tayyab Amin, The Guardian

Can,
Live in Stuttgart 1975

I Can erano campioni assoluti quando si trattava di improvisazione e groove. Nel 1975, rimasti senza il cantante Damo Suzuki, il tastierista Irmin Schmidt, il bassista Holger Czukay, il chitarrista Michael Karoli e il batterista Jaki Liebezeit si esibirono a Stoccarda in un live interamente strumentale di cui questo disco propone una versione di un’ora e mezzo. Reduce da lavori come Tago Mago e Landed, il gruppo tedesco era in grande forma. Ne sono la prova jam che durano fino a 36 minuti. Meglio di così non potevano fare. Christian Schachinger, Der Standard

Schumann, Brahms, Schönberg: pezzi per piano

Il secondo cd di Daniele Pollini per la Deutsche Grammophon comincia con un Carnaval di Schumann diretto e ordinatissimo. La puntigliosa tecnica del pianista impressiona spesso, ma ogni tanto manca il contrasto dei caratteri che abbonda, per esempio, nell’esecuzione discografica di Nelson Freire. Il critico Harris Goldsmith descrisse la sonata op. 111 di Beethoven registrata da Maurizio Pollini come un esempio di “risoluta freddezza”. Potremmo usare le stesse parole per l’esecuzione di suo figlio dei pezzi op. 119 di Brahms: se in questa musica volete anche delicatezza e ricchezza del chiaroscuro, cercatela altrove. Con Schönberg è difficile resistere alla tentazione di mettere a confronto padre e figlio. Per fare un esempio, i pezzi op. 23 di Daniele hanno molti dettagli interessanti, ma non riescono a raggiungere le qualità davvero speciali della registrazione di Maurizio. Insomma, Daniele Pollini ci offre un album molto bello e interessante, ma non mantiene tutte le promesse dell’esordio. Jed Distler, ClassicsToday

Never the right time

L’artista elettronico Andy Stott è emerso dalla scena musicale di Manchester nel 2006 e da allora rimodella tech-no, dub e ambient in un suono avvolgente, oscuro e pieno di atmosfera. Con Never the right time Stott continua la sua sperimentazione e ci offre uno dei suoi migliori lavori di sempre, nove pezzi che si muovono senza fretta, perfetti per un ascolto notturno in cuffia. In metà dei brani compare la cantante Alison Skidmore, che con la sua voce angelica ricorda i Portis-head o i Cocteau Twins. In particolare in The beginning e Hard to tell il duo si avvolge di un’aura soprannaturale che sfugge a qualunque definizione di genere. Never the right time regala sempre qualcosa di nuovo a ogni ascolto e mostra che Andy Stott è una gemma nascosta nella scena elettronica del Regno Unito. Ed è capace di creare una musica che riesce a essere allo stesso tempo un po’ vecchio stile e molto contemporanea. Woody Delaney,Loud and quiet

Andy Stott (Dr)
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1412 - 4 giugno 2021
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