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Le indagini sugli attentati di Parigi

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Perché dopo Parigi è circolata una notizia sul Kenya vecchia di sette mesi 

Una donna che era stata presa come ostaggio nel campus dell’università di Garissa, in Kenya, viene soccorsa dagli operatori della Croce rossa, il 3 aprile 2015. (Dai Kurokawa, Epa/Ansa)

Mentre emergevano i dettagli degli attacchi del 13 novembre a Parigi, ha cominciato a diffondersi la notizia di un altro attacco: 147 studenti massacrati da militanti di Al Shabaab in un’università nel nordest del Kenya.

Su internet molti hanno cominciato a postare preghiere per il Kenya, oltre che per Parigi, e hanno condiviso sui social network un articolo della Bbc che riportava la notizia. Su Twitter una ragazza ha scritto: “Giovedì 147 morti in un attacco terroristico in un’università del Kenya. Venerdì 120 morti negli attacchi terroristici a Parigi. L’odio consuma e distrugge”.

Solo che l’attacco in Kenya, nella provincia di Garissa, è accaduto il 2 aprile, più di sette mesi fa. Non è chiaro come la storia del Kenya sia tornata a circolare su internet, ma è stata la notizia più letta sul sito della Bbc il 15 novembre. In due giorni più di dieci milioni di persone hanno cliccato sulla notizia della Bbc, quasi quattro volte di più rispetto al giorno in cui è stata pubblicata.

Tutto questo dimostra quanta poca attenzione ha ricevuto la notizia a suo tempo ed è un esempio dello scarso interesse che dedichiamo agli attentati che succedono lontano dai paesi occidentali: alcuni l’hanno chiamata indignazione selettiva. I lettori hanno dato per scontato che la storia fosse nuova perché era la prima volta che ne sentivano parlare. Circa la metà dei lettori erano statunitensi, e un quarto britannici. La maggior parte del traffico veniva dai social network.

Quando è morta la mia gente, nessuno nel mondo ha manifestato il suo cordoglio

Molti commentatori si sono chiesti anche come mai i mezzi d’informazione di tutto il mondo non hanno dedicato la stessa attenzione al doppio attacco suicida a Beirut, che ha fatto più di 40 vittime, o all’agguato di gennaio a Baga, in Nigeria, in cui sono morte centinaia di persone. Altri si sono chiesti come mai Facebook non abbia attivato anche in quei casi il safety check, una funzione del social network pensata per le situazioni d’emergenza.

Elie Fares, un medico libanese, ha scritto sul suo blog un post che è stato molto condiviso: “Quando è morta la mia gente, nessuno nel mondo ha manifestato il suo cordoglio. La loro morte è stata solo una macchia irrilevante nel flusso delle notizie internazionali, qualcosa che succede in quelle zone del mondo in cui accade questo tipo di cose”.

Jafaar Jafaar della città nigeriana di Kano ha scritto una lettera a Mark Zuckerberg chiedendo come mai le morti a Baga “non hanno mai spinto Facebook a creare un generatore automatico di profili per permettere agli utenti del social network di identificarsi con la Nigeria”. Il suo post, con una bandiera nigeriana in allegato, è stato condiviso più di tremila volte.

Ma non tutti hanno ignorato l’attacco in Kenya. Ad aprile alcuni parigini hanno celebrato una veglia, leggendo i nomi dei morti, alzando cartelli che dicevano “Je suis kényan. Et vous?”. (Sono keniano, e voi?)

(Traduzione di Eugenio Pizzorno)

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su Quartz. Clicca qui per vedere l’originale. © 2015. Tutti i diritti riservati. Distribuito da Tribune Content Agency

This article was originally published in Quartz. Click here to view the original. © 2015. All rights reserved. Distributed by Tribune Content Agency

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