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Il liberismo rampante delle cliniche per la fertilità statunitensi

La conservazione di embrioni e ovuli in un centro per la fertilità a New York, Stati Uniti, 20 dicembre 2017. (Carolyn Van Houten, The Washington Post via Getty Images)

Ogni volta che una delle aziende specializzate in test genetici negli Stati Uniti mette in offerta dei kit per l’analisi del dna, Michael (nome di fantasia) si prepara a quello che potrebbe succedere subito dopo: il messaggio di uno dei tanti figli che ancora non sapeva di avere. Trent’anni fa, quando studiava all’università di Houston, Michael cominciò a donare sperma. E la clinica, racconta, lo richiamava “dalla pensione” ogni volta che un cliente voleva allargare la sua famiglia. Oggi l’uomo di 55 anni conosce circa sessanta bambini (e dodici nipotini) nati grazie al suo sperma – senza contare i quattro adolescenti che ha avuto con la moglie – anche se sospetta che il vero numero sia più vicino ai cento.

“Potrei scriverci un libro”, dice Michael. Parlerebbe delle conseguenze a lungo termine di un’attività che all’epoca sembrava solo un modo facile di guadagnare dei soldi e un incentivo a vivere in modo sano (niente più alcol e droghe per preservare la motilità degli spermatozoi). Alcuni dei suoi figli naturali lo contattano a cadenza regolare. È rimasto sorpreso da quanti di loro fossero stati spinti a credere che il padre che li aveva cresciuti fosse il genitore naturale: “A volte sono molto arrabbiati che gli sia stato mentito per tutta la vita”. Sa anche di altri suoi figli che conoscono la sua identità ma non l’hanno contattato, e di un gruppo Facebook – di cui non fa parte – dove “possono scambiarsi informazioni”. Il giorno della festa del papà riceve molti bigliettini.

Famiglie molto allargate
In futuro un numero sempre più alto di uomini (e di donne donatrici di ovuli) avranno esperienze simili. Negli Stati Uniti la donazione di ovuli e sperma è poco regolamentata, e nessuno sa quanti bambini siano stati concepiti in questo modo. Inoltre la società cambia e il settore si avvia a un periodo di crescita senza precedenti. La maggior parte dei figli naturali di Michael è nata all’interno di unioni eterosessuali. Oggi queste coppie sono solo una piccola parte della clientela delle cliniche per la procreazione assistita. In parte, perché i progressi nel campo della medicina riproduttiva hanno aiutato più coppie con problemi di fertilità a concepire. Ma ci sono stati altri due importanti cambiamenti: la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e l’aumento del numero di donne non sposate che decidono di diventare madri. La maggioranza delle persone che si rivolgono alle banche del seme è composta da partner omosessuali e donne single.

Rosanna Hertz, sociologa del Wellesley college e autrice del libro Random families (Famiglie casuali), spiega che il mercato attraversa una fase espansiva perché ci sono sempre più gay statunitensi in età da matrimonio e perché la decisione di essere madre single è sempre più diffusa. E dal momento che concepire un figlio con il seme di donatori è più semplice ed economico che farlo usando ovuli donati, i bambini nati da sperma donato saranno probabilmente più numerosi di quelli nati grazie alle donatrici di ovuli.

La domanda crescente e la mancanza di regolamentazione da parte del governo hanno dato vita a un campo che si è sviluppato “più come un settore commerciale che come una branca della medicina”, puntualizza Dov Fox dell’Università di San Diego, autore del libro Birth rights and wrongs. I confini sono spesso labili. Inquadrare la procreazione significa affrontare complicate questioni etiche su chi può essere genitore e su chi può nascere. Ma già da tempo sarebbe necessario un minimo di regole, se non altro perché le cliniche stanno prendendo alcune decisioni da sole: per esempio, alcuni centri accettano sperma solo da donatori di una certa altezza e dotati di un’istruzione universitaria.

La clinica, afferma Alan, non gli ha mai parlato di un limite al numero di bambini che avrebbe potuto far nascere

Il più evidente vuoto legislativo riguarda il limite del numero di bambini che un donatore, per quanto alto e intelligente, possa aiutare a far nascere. Gli Stati Uniti sono uno dei pochi paesi a non fissare limiti (il Regno Unito prevede che ogni donatore possa creare al massimo dieci famiglie). Molte cliniche decidono autonomamente dove fermarsi. Jaime Shamonki dell’azienda Generate Life Sciences, che gestisce la California Cryobank, la più grande banca del seme statunitense, racconta che alcune persone temono che un alto numero di fratellastri e sorellastre possa portare a casi d’incesto. Ma, secondo lui, una preoccupazione ancora più grave è che un donatore con una malattia ereditaria non diagnosticata possa contribuire a diffonderla.

In mancanza di leggi, i limiti autoimposti possono essere aggirati. Alan (altro nome di fantasia) ammette di aver generato “centinaia” di bambini nei quattro anni in cui ha donato sperma a una clinica tre volte a settimana. Avendo una concentrazione elevata di spermatozoi, la maggior parte delle sue donazioni veniva divisa in quindici o venti fiale (ognuna delle quali bastava per un’inseminazione) che generalmente venivano esaurite. La clinica, afferma Alan, non gli ha mai parlato di un limite al numero di bambini che avrebbe potuto far nascere. Tuttavia lui non si lamenta: nel suo anno più redditizio ha guadagnato cinquantamila dollari.

Oltre alle preoccupazioni per la salute, c’è un’altra ragione per voler limitare la fecondità di un donatore. I figli di donatori di ovuli e sperma, come quelli adottati, spesso vogliono conoscere i genitori naturali. Ma è difficile creare delle relazioni forti quando ci sono in ballo tanti bambini. Secondo Wendy Kramer dell’ong Donor sibling registry (registro dei figli di donatori), nei contratti tra le cliniche e gli aspiranti genitori si ignorano completamente gli interessi dei nascituri. Kramer ha creato l’associazione nel 2000, dopo che il figlio di dieci anni, concepito con lo sperma di un donatore, aveva cominciato a chiederle della sua famiglia allargata. Il mese scorso ha scoperto l’esistenza di due nuovi appartenenti a un gruppo che conta ormai 22 sorellastre e fratellastri. A Kramer era stato detto che il donatore non avrebbe fatto nascere più di dieci bambini, un limite per lei ragionevole.

Un’altra questione è quella dell’anonimato. La maggior parte delle cliniche della fertilità negli Stati Uniti offre ai donatori l’opzione di rimanere anonimi finché il figlio compie diciott’anni, o per sempre. Ma poiché il benessere psicologico dei figli di donatori, come di quelli adottati, migliora quando vengono a sapere da dove vengono e gli è permesso di rintracciare i parenti, se lo desiderano, si tende a vietare l’anonimato. In ogni caso, si tratterebbe di una falsa promessa, per via dei test del dna. Senza contare che tutto questo ha un costo: se si toglie l’anonimato, il numero di donatori cala. In altri paesi si è deciso che è il giusto prezzo da pagare per il benessere dei bambini. La clausola dell’anonimato (e il fatto che i donatori vengano pagati) è una delle ragioni per cui gli Stati Uniti oggi sono esportatori di sperma.

Molti osservatori vorrebbero anche una legge che chieda alle cliniche maggiore sorveglianza sulla salute dei donatori. Nel 2014 si è scoperto che un donatore molto prolifico, che aveva fatto nascere un numero incredibile di bambini negli Stati Uniti e in almeno altri due paesi, si faceva passare per un neuroscienziato poliglotta dall’elevato quoziente intellettivo e una salute perfetta. Ma mentiva: non aveva terminato l’università, aveva precedenti penali e vari problemi di salute. Sono state intentate numerose cause contro la clinica della Georgia che aveva venduto il suo sperma senza aver controllato i risultati dei suoi esami medici e i suoi precedenti con la giustizia. Molte di queste azioni legali sono fallite perché la clinica non aveva infranto alcuna legge.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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Quest’articolo è uscito sull’Economist con il titolo “America’s love of free markets extends to its fertility clinics”.

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