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Il sogno californiano interrotto dal calo demografico

Discovery Bay, California, 31 marzo 2022. (David Paul Morris, Bloomberg/Getty Images)

Il romanziere Wallace Stegner aveva descritto la California con queste parole: “È l’America… ma di più”. Eppure, a giudicare dalle stime sulla popolazione pubblicate il 2 maggio, questa è ancora l’“America”, ma “di meno”. La popolazione della California, infatti, è calata fino a raggiungere i 39,2 milioni di abitanti nel gennaio di quest’anno, 400mila in meno rispetto al 2020, mentre nel 1990 il numero di californiani aumentava di un solido 2,5 per cento annuo.

Il principale contributo al declino viene dall’immigrazione. Nel 2021 il cambiamento netto (la differenza tra il numero di persone che hanno lasciato lo stato e quello delle persone che si sono stabilite all’interno dei suoi confini) era il doppio rispetto al numero di decessi da covid-19 e il quadruplo del tasso di ricambio naturale della popolazione (la differenza tra il numero di decessi e quello delle nascite). Questo fenomeno ha colpito in modo particolare le grandi città. La popolazione della contea di Los Angeles ha continuato a ridursi drasticamente negli ultimi quattro anni.

Nonostante questa contrazione non sia stata superiore alla media (anche altri stati mostrano andamenti demografici simili) essa può apparire più grave in uno stato dove, come ha dichiarato una volta il governatore, “il futuro arriva prima”.

Fattori ridimensionati
In realtà le tendenze demografiche della California sono davvero più negative rispetto alla media. Il tasso di fertilità complessivo dello stato (Tft, la stima del numero di bambini che una donna partorisce nel corso della sua vita) è passato da 2,2 figli nel 2006 a 1,5 nel 2020, più che nella totalità degli Stati Uniti, dove la riduzione è stata da 2,1 a 1,6 figli. Il Tft è uno degli indicatori più importanti delle tendenze future. Secondo il demografo californiano Walter Schwarm la fertilità si è ridotta in parte a causa della maggiore quota di immigrati stranieri in arrivo da Corea del Sud, Giappone e Cina. Gli asiatici dell’est hanno portato con sé il loro basso tasso di fertilità.

Di conseguenza, come sottolinea lo scrittore e opinionista Joe Matthews, la demografia californiana oggi contrasta con la sensazione degli abitanti di vivere in un “luogo dove si può giocare al sole” (per citare i Beach Boys). Fattori come la gioventù, l’attrattiva per gli emigranti e la diversità appaiono ridimensionati rispetto al passato.

La California non è più la calamita di un tempo per gli emigranti

La California è ancora giovane, ma non più così tanto. L’età media (37,3 anni) è un anno e mezzo al di sotto della media nazionale, ma sta recuperando terreno ed è aumentata di due anni nel decennio tra il 2010 e il 2020. Nel 2010 le persone sopra i 65 anni rappresentavano l’11 per cento della popolazione, mentre secondo le previsioni nel 2030 saranno quasi raddoppiate (19 per cento). In questo senso Dianne Feinstein, senatrice della California di 88 anni, rappresenta adeguatamente il suo bacino elettorale.

La California non è più la calamita di un tempo per gli emigranti. Tra il 2000 e il 2020 lo stato ha perso tre milioni di abitanti che si sono trasferiti in altre aree degli Stati Uniti. Negli ultimi anni il declino è stato incrementato dalla pandemia e dai controlli alle frontiere, due fenomeni che hanno colpito gli immigrati stranieri. Nel 2000 la popolazione del Texas superava del 60 per cento quella della California. Oggi quel dato è arrivato al 75 per cento, anche grazie all’afflusso di californiani.

Case troppo care
La siccità, gli incendi e il sistema scolastico relativamente scadente hanno ricoperto un ruolo importante in questo esodo, ma il fattore decisivo è il costo degli alloggi. Nel 2019 una casa in California costava in media il 184 per cento più che in Texas. Lowell Myers, demografo dell’università della California del sud, sostiene che l’esorbitante costo dell’alloggio sia una delle cause della riduzione del tasso di fertilità – perché le coppie che vogliono avere figli si trasferiscono in stati dove possono permettersi una casa familiare – ma anche della relativa giovane età degli abitanti, perché molti californiani anziani decidono di usare il denaro messo da parte per acquistare altrove grandi case dove stabilirsi dopo il pensionamento.

Il risultato è che la California ha perso una componente della sua diversità: la percezione di essere uno stato che attira persone provenienti da tutta l’America in cerca di successo. Dal punto di vista etnico la situazione non è cambiata molto. Il 27 per cento dei californiani è nato all’estero, la percentuale più elevata degli Stati Uniti e doppia rispetto alla media nazionale. Insieme al New Mexico, la California è l’unico stato dove vivono più ispanici (39 per cento) che bianchi (37 per cento). In termini assoluti la California ospita più asiatico-americani e cittadini provenienti dalle isole del Pacifico di qualsiasi altro stato, comprese le Hawaii. In futuro lo stato diventerà sempre meno bianco. Anche se oggi i bianchi rappresentano i due quinti dei californiani adulti, infatti, tra i bambini sono solo il 25 per cento.

Ciononostante, per altri versi la California non è più un melting pot. In passato era considerata un luogo dove ognuno veniva da qualche altra parte, e Myers sottolinea che prima del 2000 solo il 40 per cento delle persone tra i 25 e i 35 anni era nato qui. Oggi, invece, è il 60 per cento. I fratelli Wilson, componenti dei Beach Boys, erano nati in California, ma i loro genitori provenivano dal Kansas e dal Minnesota. Eddie Van Alan è cresciuto a Pasadena ed è diventato uno dei più grandi chitarristi del mondo, ma i suoi genitori erano nati nei Paesi Bassi e in Indonesia.

Un segno della minore diversità dello stato è la riduzione del numero di persone che parlano soprattutto o unicamente lo spagnolo. Nel 2010 quattro quinti degli ispanici parlava fluentemente la lingua originaria. Nel 2020 erano appena i due terzi. Un altro segnale significativo è il fatto che metà degli immigrati nati all’estero abbia ottenuto la cittadinanza, la percentuale più alta degli ultimi quarant’anni. “Non siamo più così variegati”, si rammarica Matthews.

William Frey, esponente del gruppo di analisi e ricerca Brookings institution, sottolinea che molti dei problemi demografici sono concentrati in quattro grandi città, mentre il resto dello stato rivaleggia con il Texas e l’Arizona per forza d’attrazione e trarrà beneficio dal fatto che i prezzi delle case in tutta l’area occidentale degli Stati Uniti si stanno avvicinando a quelli californiani.

L’immigrazione è rimasta costante per un decennio (mentre è cambiato il numero di persone che sono partite) e la California continua ad attirare la stessa percentuale di immigrati stranieri (circa un quarto del totale), anche se il numero complessivo si è ridotto. Negli anni dieci del 2000, secondo le ricerche del Public policy institute of California, il numero di studenti venuti a studiare nelle università californiane è stato superiore rispetto a quello dei californiani che sono andati a studiare fuori, mentre le persone in possesso solo del diploma lasciavano in massa lo stato. I nuovi arrivati tendevano anche a essere più benestanti.

Forse la California è ancora il luogo dove il futuro arriva prima, ma è un futuro dove la popolazione sarà sempre più anziana e meno numerosa, e dove la diversità etnica e l’istruzione diminuiranno. Non è un dramma, ma non è certo il sole di California dreamin’.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist. Internazionale ha una newsletter che racconta cosa succede negli Stati Uniti e un’altra sull’America Latina. Ci si iscrive qui.

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