Il Portogallo sciopera contro la riforma del lavoro
L’11 dicembre il Portogallo potrebbe essere paralizzato da uno sciopero generale indetto dall’União geral de trabalhadores (Ugt) e dalla Confederação geral dos trabalhadores portugueses (Cgpt), i due maggiori sindacati nazionali, per protestare contro la riforma del lavoro presentata a luglio dal governo di Luís Montenegro, leader dei conservatori del Partido social democrata (Psd). In questi mesi si sono infittiti i contatti tra il governo e i rappresentanti dei lavoratori per introdurre modifiche che soddisfino entrambe le parti, ma nonostante alcune concessioni dell’esecutivo lo sciopero al momento sembra inevitabile, come dimostra il fatto che all’iniziativa hanno aderito finora più di cinquanta sigle sindacali.
Il nodo della discordia è un corposo progetto di riforma – chiamato Trabalho XXI ma noto anche come Pacote laboral – che cambia più di cento articoli della legislazione sul lavoro, il Codigo do trabalho. Secondo i sindacati le novità indeboliscono i diritti dei lavoratori, rendendo meno sicura l’occupazione e aumentando il precariato. Il governo, per bocca della ministra del lavoro Maria de Rosário Palma Ramalho, sostiene che la riforma non è squilibrata a favore delle imprese. Anzi, la legge attualmente in vigore “presenta semmai qualche squilibrio verso i lavatori, com’è naturale che sia in questa branca del diritto, ma soprattutto si basa su un modello di lavoro e relazioni del lavoro ormai profondamente inadeguati”, perché troppo rigidi e quindi dannosi per la competitività dell’economia portoghese.
Le proposte più discusse in effetti aumentano la flessibilità dei rapporti di lavoro. Innanzitutto, con la riforma sarà più facile licenziare: il governo propone che per il datore di lavoro sia più semplice e meno oneroso rivolgersi al tribunale per evitare il reintegro di un dipendente mandato via ingiustamente; le piccole e medie imprese potranno licenziare senza presentare una giusta causa; la riforma, inoltre, prevede l’abrogazione della norma secondo la quale non si può ricorrere all’outsourcing per coprire mansioni svolte da dipendenti licenziati nei dodici mesi precedenti.
Un’altra parte della riforma riguarda i contratti a tempo determinato: la durata passa da sei mesi a un anno, mentre ogni singolo accordo può essere rinnovato fino a un massimo di tre anni; non sarà più considerata un’infrazione grave il fatto che un’impresa non dia priorità a un dipendente per il quale è scaduto il contratto a tempo determinato se decide di assumere a tempo indeterminato nella stessa mansione. Attraverso un accordo tra datore di lavoro e dipendente sarà possibile allungare l’orario settimanale fino a un massimo di cinquanta ore (in precedenza era possibile solo con l’approvazione di almeno il 65 per cento del personale).
La riforma tocca molti altri aspetti. Per esempio, rende più facile rifiutare ai dipendenti la possibilità di lavorare a distanza: attualmente il no dev’essere arrivare per iscritto e soprattutto va motivato. Il governo vuole inoltre depenalizzare l’omessa denuncia di nuovo contratto di lavoro alla Segurança social: oggi un imprenditore rischia fino a tre anni di prigione o una multa fino a 180mila euro. Alcune proposte riguardano i diritti sindacali: è previsto l’ampliamento dei settori inclusi nei servizi minimi in caso di sciopero, aggiungendo gli asili nido e le case di cura, mentre dovrebbe ridursi la possibilità che le sigle sindacali possano svolgere azione di propaganda durante l’orario di lavoro e nei locali aziendali nelle imprese prive di dipendenti sindacalizzati.
Concessioni
La riforma presentata a luglio è stata criticata duramente dai sindacati. L’8 novembre a Lisbona la Cgpt ha organizzato una prima protesta che ha riunito migliaia di persone. La minaccia dello sciopero generale ha indotto il governo a fare delle concessioni: il 14 novembre la ministra Rosário Palma Ramalho ha annunciato la riformulazione di 27 dei circa cento articoli del pacchetto. In un documento inviato all’Ugt l’esecutivo ha proposto, tra l’altro, il ritiro della semplificazione dei licenziamenti nelle imprese di medie di dimensioni (da 50 a 250 dipendenti) e il ripristino delle quaranta ore di formazione obbligatoria per tutti i lavoratori, oltre a misure più favorevoli per le ferie e alcuni bonus legati ai giorni festivi, ai congedi parentali, all’allattamento. I sindacati hanno respinto al mittente la proposta, liquidandola come “largamente insufficiente”.
L’ultima riforma del lavoro di queste proporzioni ricorda ai lavoratori e ai portoghesi in generale uno dei periodi più difficili della storia recente del paese. Risale infatti al 2012, quando il Portogallo era reduce da una dolorosa insolvenza sul debito pubblico. All’epoca, tra le varie misure richieste dalla Commissione europea, dalla Banca centrale europea e dal Fondo monetario internazionale, la triade meglio nota come troika, ci fu proprio una profonda riforma del mercato del lavoro, che il governo e i sindacati dovettero obtorto collo accettare per salvare il paese dalla catastrofe.
In un’intervista al quotidiano Público, João Proença, segretario generale dell’Ugt dal 1998 al 2013, rifiuta categoricamente ogni paragone con il 2012 (all’epoca si rischiavano pericolose divisioni sociali, spiega) e sostiene invece che oggi, in un periodo in cui l’economia portoghese “sta bene”, il governo sta cercando di imporre la sua visione ideologica. Secondo Proença questa riforma “parte dal presupposto che l’azienda è dell’imprenditore e che i lavoratori non ne fanno parte, come se fossero dei macchinari o dei computer. È un concetto ampiamente superato la convinzione che un imprenditore possa liberamente licenziare e, per aumentare i suoi profitti, possa mandare casa tutti o buona pare dei dipendenti, invocando il licenziamento collettivo e sostituendoli il giorno dopo con lavoratori che paga di meno e più giovani”.
Le trattative tra il governo Montenegro e i sindacati continuano nella speranza di scongiurare lo sciopero, ma intanto, come scrive il settimanale Expresso, nel Palacete de São Bento (la sede del primo ministro) si preparano misure che possano ridurre al massimo gli effetti di una protesta che paralizzerà scuole, ospedali, trasporti e molti servizi pubblici, oltre all’industria privata.
Questo articolo è tratto dalla newsletter Economica.