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L’inchiesta anomala della procura di Trapani sulle ong

Mar Mediterraneo, 12 febbraio 2021, un’imbarcazione con a bordo migranti avvistata dalla nave di soccorso Open Arms. (Bruno Thevenin, Ap/LaPresse)

Il 6 aprile Mario Draghi atterra in Libia nel suo primo viaggio ufficiale da presidente del consiglio, mentre in Italia sta scoppiando il caso dei giornalisti intercettati nell’inchiesta giudiziaria sulla Iuventa, la nave usata dalla ong tedesca Jugend Rettet per soccorrere i migranti nel Mediterraneo fino al 2017. Draghi, a Tripoli, elogia il lavoro della cosiddetta guardia costiera libica in una conferenza stampa congiunta con il primo ministro libico Abdel Hamid Mohamed Dabaiba.

La prima indagine sulle ong che soccorrono i migranti in mare è cominciata nel 2017, quando il presidente del consiglio era Paolo Gentiloni e il ministro dell’interno era Marco Minniti, entrambi del Partito democratico ed entrambi promotori dell’accordo sui migranti con Tripoli. In base a quell’accordo l’Italia ha versato alla Libia in tre anni quasi 800 milioni di euro. L’obiettivo era fermare i migranti, attraverso il finanziamento e l’addestramento della guardia costiera libica e dei centri di detenzione nel paese.

Quella che riguarda la Iuventa è una delle inchieste più importanti che le procure italiane hanno avviato negli ultimi anni contro le organizzazioni umanitarie che fanno soccorso in mare. Il sequestro dell’imbarcazione dell’ong tedesca il 2 agosto 2017 è stato uno spartiacque. Sembrava avvalorare le presunte collaborazioni tra i soccorritori e i trafficanti, su cui indagavano da almeno sei mesi diversi pubblici ministeri, tra cui quelli di Trapani. Nel marzo del 2021 la procura siciliana ha chiuso l’indagine e ha formalizzato le accuse contro il personale di tre organizzazioni umanitarie: Save the children, Medici senza frontiere (Msf) e Jugend Rettet. Ventuno persone sono state accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver partecipato a diversi salvataggi di migranti in fuga dalla Libia tra il 2016 e il 2017, quando a coordinare i soccorsi c’era la Centrale operativa della guardia costiera italiana (Mrcc).

Dalle carte depositate dai pm emerge che decine di giornalisti italiani e stranieri sono stati intercettati mentre parlavano con il personale delle ong o con alcuni degli indagati, che avevano il telefono sotto controllo. Il caso più eclatante è quello di Nancy Porsia, giornalista e ricercatrice, il cui telefono è stato posto direttamente sotto controllo dalla procura di Trapani per sei mesi con l’autorizzazione di un giudice. Apparentemente la motivazione era che la giornalista era stata indicata da una ong come sgradita, dopo essersi imbarcata su una delle navi umanitarie al centro delle indagini. Il contenuto delle intercettazioni è stato quindi trascritto e depositato in un fascicolo di trentamila pagine; il fascicolo è stato inviato al giudice per le indagini preliminari, che dovrà decidere se avviare il processo.

Nelle carte che Internazionale ha potuto vedere le conversazioni dei giornalisti con le loro fonti non sono state protette: dettagli e numeri di telefono sono rimasti in chiaro. Nel caso di Porsia è stata trascritta perfino una conversazione con l’avvocata Alessandra Ballerini, legale della famiglia di Giulio Regeni, che nella telefonata parlava proprio del caso del ricercatore italiano ucciso in Egitto.

Giornalisti intercettati
Dopo le proteste della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e della Federazione europea dei giornalisti (Efj), la ministra della giustizia Marta Cartabia ha deciso d’inviare un’ispezione alla procura di Trapani per accertare eventuali irregolarità. “Siamo di fronte allo sfregio del segreto professionale”, ha dichiarato il presidente nazionale dell’ordine dei giornalisti Carlo Verna, che ha chiesto l’intervento del presidente della repubblica Sergio Mattarella, in qualità di presidente del consiglio superiore della magistratura. Dopo le proteste, l’attuale procuratore di Trapani Maurizio Agnello in un’intervista all’agenzia Adnkronos ha spiegato che Porsia “era stata intercettata per alcuni mesi nella seconda metà del 2017 perché alcuni indagati facevano riferimento a lei, che si trovava a bordo di una delle navi oggetto di investigazioni”, ma ha confermato che la giornalista non era stata indagata. Inoltre Agnello ha in parte preso le distanze dal procedimento, dicendo di avere “ereditato il fascicolo” dal precedente pubblico ministero, avendo preso servizio a Trapani nel febbraio del 2019. Ma poi ha aggiunto che nessuna delle intercettazioni ai giornalisti sarà usata nel procedimento penale e che chiederà a un giudice di distruggerle.

Per Alessandro Gamberini, difensore della ong tedesca Jugend Rettet, l’inchiesta di Trapani è anomala: “Così tante intercettazioni, anche di giornalisti, a mia memoria sono state disposte solo per processi contro il terrorismo o la criminalità organizzata. Inoltre la quantità di materiale depositato è abnorme e l’aggravante è che gli atti non sono indicizzati correttamente. Parliamo di trentamila pagine, numerosi cd, senza che siano indicati date e contenuti in modo corretto. Questo ha fatto sì che nemmeno noi avvocati siamo ancora riusciti a leggere tutto”. Secondo Gamberini, cominciando a leggere le carte s’intuisce il ruolo decisivo che ha avuto la polizia giudiziaria.

Un ruolo evidente anche per Andrea Palladino, giornalista, che sul quotidiano Domani ha firmato un’inchiesta in cui attribuisce al ministero dell’interno la responsabilità di avere fatto pressione sul Servizio centrale operativo (Sco) perché avviasse degli accertamenti sull’operato delle ong attive nel Mediterraneo: “Il 12 dicembre del 2016, quando Marco Minniti aveva da poco preso il posto di Angelino Alfano al Viminale, alcuni funzionari del ministero hanno redatto una lunga informativa contro l’attività delle ong, a mio avviso basata sul nulla, indirizzata allo Sco, ovvero all’ufficio di polizia giudiziaria che ha gestito l’intera inchiesta di Trapani”. Per Palladino questo è il primo procedimento penale contro le ong in cui interviene il reparto investigativo, che di solito si mobilita quando sono contestati reati di associazione a delinquere legati alla criminalità organizzata.

Categorie protette
Per Sergio Scandura, cronista di Radio radicale, finito nelle intercettazioni della procura di Trapani durante una telefonata con un responsabile di una ong, bisogna comprendere il contesto in cui queste intercettazioni avvenivano: “Gli eventi contestati alle ong sono salvataggi che facevano anche la guardia costiera italiana, la marina militare italiana, la guardia di finanza e le marine militari europee. Nel 2017 c’è stato un giro di boa, perché bisognava creare un buco nero nel Mediterraneo centrale. Per farlo bisognava ritirare le navi governative. Peccato che poi ci fossero questi volontari che salvavano le persone. Perché in tutto questo si perdono le persone, si perdono nel senso che muoiono in mare”. Per Scandura però il tema delle intercettazioni non riguarda solo i giornalisti: “Noi giornalisti, come i politici, siamo categorie protette, ma penso ai volontari delle ong sottoposti a intercettazioni di massa, senza che in molti casi, a una prima lettura, quello che è stato trascritto abbia rilevanza giudiziaria”.

È il caso, per esempio, di un operatore di una ong intercettato perché è incaricato dalla sua organizzazione di tenere i contatti con la cosiddetta guardia costiera libica. Anche i dirigenti della guardia costiera libica sono stati ascoltati e i loro telefoni messi sotto controllo. Tra i molti giornalisti intercettati, alcuni sono esperti di Libia come la giornalista Francesca Mannocchi e Nello Scavo di Avvenire.

Armando Spataro, ex procuratore della repubblica a Torino, sostiene che in Italia “non esistono dati statistici che consentano di quantificare i casi in cui le procure hanno usato lo strumento dell’intercettazione nei confronti di giornalisti”. Ma non ritiene che siano numeri elevati. Quanto alla sua esperienza ricorda “il caso di un giornalista intercettato nel corso delle indagini sul sequestro di Abu Omar”. Ma in quel caso era evidente la rilevanza penale del suo comportamento, tanto che “alla fine dell’indagine l’intercettato concordò con il pm un patteggiamento di pena”. Per Spataro, comunque, “non esiste un divieto assoluto d’intercettare le comunicazioni dei giornalisti, ma è sempre necessario verificare le motivazioni delle richieste dei pm e delle autorizzazioni alle intercettazioni disposte dal giudice”. Comunque l’autorità giudiziaria deve sempre agire con una particolare attenzione quando sono coinvolte categorie come gli avvocati (che non possono essere intercettati nell’esercizio della loro professione) o i giornalisti.

“Sarebbe grave se le intercettazioni fossero state disposte – come qualcuno ha scritto – solo per scoprire le fonti del giornalista: stento a credere che ciò sia avvenuto”, continua Spataro. “Esiste sempre la necessità di ricerca di un punto di equilibrio tra esigenze investigative e tutela della privacy. La tutela della libertà d’azione del giornalista è affermata anche in recenti sentenze della Corte europea di Strasburgo”.

Per l’ex procuratore di Torino è importante quello che avviene quando gli atti sono depositati e diventano pubblici: “Perché con il deposito degli atti, cade la segretezza processuale. Ed è proprio in questo momento che il pm deve (se non lo ha fatto prima, come sarebbe opportuno) stralciare quelle parti contenenti conversazioni irrilevanti per l’inchiesta o inutilizzabili a norma di legge. E, nel contraddittorio con i difensori, deve investire il giudice delle relative valutazioni che potranno portare alla separazione di quegli atti dal procedimento, con divieto di renderli pubblici. Ma prima si pone anche un altro problema. Nei cd, brogliacci e verbali redatti dalla polizia giudiziaria non devono essere riportate trascrizioni di conversazioni irrilevanti o inutilizzabili dal punto di vista giudiziario, né valutazioni del merito: è la procura a dover vigilare sull’operato della polizia”.

Secondo l’ex magistrato, quindi, le intercettazioni di giornalisti e avvocati depositate dalla procura nell’inchiesta sulle ong avrebbero dovuto essere esaminate dal pm. Questo anche a prescindere dalla legge Orlando del 2017, che ha recepito le direttive emesse da alcuni procuratori. “Ho letto”, afferma Spataro, “che il procuratore di Trapani procederà allo stralcio delle comunicazioni irrilevanti. Bene, ma con tutto il rispetto, credo che si sarebbe potuto fare prima. È comunque molto apprezzabile che il ministro della giustizia abbia disposto gli accertamenti del caso”. E aggiunge: “Spero che questa vicenda induca alcuni giornalisti che avevano sparato a zero contro la riforma Orlando a rivedere le loro convinzioni sul rispetto della privacy”.

Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale con il titolo “La procura di Trapani intercetta i giornalisti”. Compra questo numero | Abbonati

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