20 aprile 2018 10:07

I ricercatori della Forensic Architecture dell’università di Londra Goldsmiths hanno prodotto tre video – pubblicati in esclusiva da Internazionale, Mediapart e the Intercept – che scagionano l’ong tedesca Jugend Rettet dall’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nell’inchiesta che ha portato al sequestro della nave Iuventa il 2 agosto 2017.

Secondo la procura di Trapani nel settembre del 2016 e nel giugno del 2017 durante i soccorsi di migranti al largo della Libia c’erano stati dei contatti “tra coloro che scortavano gli immigrati fino alla Iuventa e i membri dell’equipaggio della nave”. Anche se hanno agito solo per ragioni umanitarie e senza fini di lucro, riconosce la procura, gli operatori si sarebbero avvicinati troppo alle coste libiche e avrebbero avuto contatti con i trafficanti per delle “consegne pattuite” di migranti.

L’accusa, che ha prodotto un fascicolo di 500 pagine, sostiene che in uno di questi episodi gli operatori della Iuventa avrebbero lasciato alla deriva tre imbarcazioni in modo che i trafficanti potessero recuperarle e usarle successivamente in altre traversate. Le principali fonti dell’accusa sono le testimonianze e le foto scattate da un agente dei servizi segreti sotto copertura, imbarcato come personale di sicurezza sulla nave Vos Hestia dell’organizzazione umanitaria Save the children, attiva nello stesso tratto di mare.

I magistrati hanno raccolto anche le testimonianze di tre agenti di sicurezza che erano imbarcati sulla Vos Hestia con il contractor privato Imi security service e hanno mandato un rapporto ai leader della Lega e del Movimento 5 stelle, oltre che al capo dei servizi segreti italiani. Nel fascicolo della procura sono state acquisite anche le intercettazioni di telefonate tra gli operatori umanitari di diverse ong, impegnati nei soccorsi.

Ma al termine di un lavoro durato otto mesi il gruppo di oceanografia forense Forensic Architecture della Goldsmiths ha smentito questa ricostruzione, basandosi sui video e gli audio raccolti dall’equipaggio, sulle informazioni registrate nel diario di bordo della Iuventa, sulle comunicazioni con la centrale operativa della guardia costiera italiana e sulle immagini scattate dai giornalisti a bordo della nave tedesca e di altre imbarcazioni impegnate nei soccorsi.

Se si estrapolano degli elementi dal contesto, si costruiscono delle cosiddette bugie fattuali

Lorenzo Pezzani, cofondatore del gruppo di ricerca di oceanografia forense del college Goldsmiths, spiega che ha cominciato a studiare il caso nel settembre del 2017: “Abbiamo cercato di ricostruire cosa era successo durante gli episodi in cui potevano esserci stati dei contatti con i trafficanti. Abbiamo acquisito tutti gli audio e i video in possesso dell’equipaggio della Iuventa, le comunicazioni con la centrale operativa della guardia costiera italiana e con le altre navi presenti sul posto, e li abbiamo messi in collegamento con altri elementi audio e video raccolti dai giornalisti e da altri soccorritori”. I ricercatori hanno poi incrociato questi dati tenendo conto dello spazio e del momento in cui sono avvenuti i fatti, per ricostruirne la dinamica in modo più accurato.

Per il ricercatore italiano, infatti, le accuse che sono state rivolte alla Iuventa e ad altre ong si basano sulla “decontestualizzazione e l’omissione di alcuni elementi”. E aggiunge: “Se si estrapolano degli elementi fattuali dal contesto e si combinano con informazioni che non c’entrano nulla, si fa una ricostruzione falsa che porta a conclusioni sbagliate”. Il 23 aprile 2018 la corte di cassazione di Roma si dovrà esprimere sul dissequestro della nave Iuventa, ferma da otto mesi per una decisione del giudice per le indagini preliminari di Trapani. Per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina non ci sono indagati e non è partito nessun avviso di garanzia.

Il primo caso: 10 settembre 2016


Il primo contatto tra i soccorritori e i trafficanti, secondo l’accusa, sarebbe avvenuto il 10 settembre 2016 a circa 15 miglia nautiche dalle acque territoriali libiche. Secondo la procura di Trapani, un’imbarcazione “proveniente dalla Libia, si è avvicinata alla Iuventa per trasferire i migranti e poi se n’è andata di nuovo verso la Libia, con solo due persone a bordo”. Ma nella ricostruzione fatta alla Goldsmiths “non ci sono elementi, a parte le testimonianze degli agenti sotto copertura, di queste gravissime accuse”.

“I registri di bordo della Iuventa”, sostengono i ricercatori dell’università inglese, “descrivono un’intensa giornata di lavoro in cui l’equipaggio della nave ha soccorso tre imbarcazioni di migranti in collaborazione con altre cinque navi di ong, oltre alla nave militare irlandese James Joyce, a un aereo militare spagnolo e a un elicottero della marina militare italiana”. Per l’università di Londra, in base all’ora in cui sono avvenuti i fatti e alla posizione della Vos Hestia, gli agenti sotto copertura che erano a bordo hanno potuto assistere solo a un’unica operazione di salvataggio: quella in soccorso di “un’imbarcazione riconoscibile da una scritta blu sulla prua”.

Nell’analisi del dipartimento di oceanografia britannico, la barca con la scritta blu si è avvicinata alla Iuventa alle 10.29 e si può vedere in alcune foto scattate alle 13.36 e alle 14.20, mentre l’equipaggio della nave militare irlandese stava trasferendo i migranti dalla Iuventa verso la James Joyce. Alle 15.50 l’equipaggio della Iuventa ha spostato la barca con la scritta blu, ormai vuota, qualche metro più in là per fare un altro trasbordo verso la Vos Hestia di Save the children. L’imbarcazione usata dai migranti si vede in altre foto scattate alle 15.59 e alle 16.14. Infine alle 18.26 è stata incendiata per evitare che fosse recuperata dai trafficanti. I rapporti di Frontex, l’agenzia europea delle frontiere esterne, confermano che tutte e tre le imbarcazioni di migranti avvicinate quel giorno sono state distrutte e affondate.

Il secondo caso: 18 giugno 2017


In questo caso le accuse non si basano solo sulle testimonianze degli agenti sotto copertura, ma anche su tre fotografie acquisite dall’accusa. Nella prima foto si vede la Iuventa vicino a una barca vuota che sulla prua ha la scritta KK. Nella seconda foto si vede la stessa imbarcazione trascinata verso la Libia da un gommone di salvataggio della Iuventa. La terza foto, infine, mostra che la barca con la scritta KK è stata usata una seconda volta, pochi giorni dopo, per trasportare altri migranti verso l’Europa. Ma i ricercatori britannici sostengono che una ricostruzione accurata dei fatti e delle coordinate in cui si sono svolti porta a conclusioni opposte rispetto a quelle della procura.

“Se si ricostruisce il contesto in cui la seconda foto è stata scattata emerge che l’equipaggio della Iuventa stava trainando l’imbarcazione verso la nave madre e non verso la Libia, il contrario di quello che sostiene la procura”, afferma Lorenzo Pezzani. I ricercatori britannici hanno ottenuto un video da un operatore della Reuters che era a bordo della nave. Secondo i ricercatori, la foto acquisita dalla procura sembra essere un fermo immagine tratto da questo video, girato intorno alle 7.34 di mattina.

Analizzando i movimenti dei gommoni in relazione alle condizioni del tempo e del mare, i ricercatori hanno stabilito che “la lancia Lily della Iuventa stava spingendo l’imbarcazione con la scritta KK verso nord e quindi non verso la Libia, ma esattamente nell’altra direzione”. Questa ricostruzione è corroborata da un video di una telecamera fissata sul casco di uno dei soccorritori della Vos Hestia: “Le coordinate gps registrate dalle telecamere ci permettono di mappare con precisione i movimenti della lancia. Sullo sfondo si vede la Lily mentre traina l’imbarcazione con la scritta KK. Il timecode del video indica che si tratta della stessa scena della foto vista da una prospettiva diversa”.

Per i britannici “le coordinate gps forniscono una conferma precisa del fatto che l’imbarcazione KK si è spostata di 800 metri verso nordovest rispetto alla sua posizione iniziale. In altre parole si è allontanata dalla costa libica”. I ricercatori sottolineano che le lance delle ong allontanano le imbarcazioni appena svuotate perché non intralcino i trasbordi dei migranti ancora in corso. Le imbarcazioni sono abbandonate a una distanza di sicurezza di circa 200 metri. Poi l’equipaggio si allontana velocemente “per assistere un’altra imbarcazione di migranti”.

Il terzo caso: 18 giugno 2017


Poche ore più tardi, alle 10.44, dopo aver soccorso i passeggeri della quarta imbarcazione l’equipaggio della Iuventa comincia un’altra operazione di salvataggio. Secondo la procura di Trapani si è trattato di un altro caso di “consegna pattuita” dei migranti. L’accusa si basa su quelle che secondo gli inquirenti italiani sarebbero una serie di comunicazioni dirette tra l’equipaggio della Iuventa e gli scafisti. Secondo l’università di Londra, durante il salvataggio erano presenti le imbarcazioni dei cosiddetti “pescatori di motori”, che a un certo punto hanno rimosso il motore dalla barca dei migranti, senza però mai comunicare con i soccorritori. Un video registrato a bordo della Iuventa documenta la prima fase di questa operazione di salvataggio.

Nelle immagini vediamo la lancia Iuventa rescue mentre carica giubbotti di salvataggio e si avvicina a un’imbarcazione. Sono inoltre visibili altre due navi delle ong in lontananza, la Vos Hestia e la Seefuchs. Quando i tedeschi raggiungono l’imbarcazione in difficoltà, l’operatore comincia a comunicare con i migranti. I ricercatori britannici hanno potenziato la traccia audio per verificare se ci sia stata una comunicazione con “i pescatori di motori”, ma dalle registrazioni è emerso che “l’operatore della lancia comunica solo con i migranti: per prima cosa identifica un passeggero che parla inglese affinché faccia da intermediario. Poi s’informa sul numero di passeggeri a bordo”.

I mezzi d’informazione che si sono occupati del caso e hanno pubblicato le immagini acquisite dalla procura hanno concentrato l’attenzione su un gesto fatto da uno dei “pescatori di motori”. Tuttavia alcune foto registrate da un giornalista indipendente a bordo della Vos Hestia permettono di comprendere che l’uomo si rivolge ai migranti che sono ancora sul gommone, alcuni dei quali sembrano rispondere.

Tutto questo accade mentre la barca dei “pescatori di motori” sta andando via, muovendosi nella direzione opposta a quella dei soccorritori in arrivo. Per i ricercatori la presenza di pescatori libici e di trafficanti durante i soccorsi è abbastanza frequente, anche quando sono presenti navi della marina militare o della guardia costiera. “Le ong, però, non hanno né i mezzi né l’autorità per indagare sulle loro attività né tantomeno per interferire. Un’operazione che spesso si è rivelata pericolosa anche per le navi militari”, conclude il rapporto.

Questi video sono stati pubblicati su Internazionale, Mediapart e The Intercept.

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