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I musulmani indiani accusati di usare il jihad dell’amore

Una manifestazione contro la legge che vieta le conversioni religiose forzate a Bangalore, nello stato indiano di Karnataka, il 1 dicembre 2020. (Aijaz Rahi, Ap/Lapresse)

Il 28 novembre scorso nello stato di Uttar Pradesh, nel nord dell’India, è diventata legge l’ordinanza “per il divieto delle conversioni religiose illegali”. Il documento prevede pene detentive fino a dieci anni per gli uomini musulmani che sposano donne indù con l’intenzione di convertirle all’islam. Il “jihad dell’amore”, com’è stato definito, deve essere fermato a ogni costo per preservare la maggioranza indù della popolazione dell’India.

Il primo ministro Narendra Modi (talvolta definito il “Trump indiano”) dipende quasi esclusivamente dai voti degli indù per vincere le elezioni. Per lui qualsiasi cosa minacci di ridurre il numero di elettori della sua religione rappresenta quindi un problema. Chiunque abbia delle capacità matematiche, tuttavia, può calcolare che non si tratta di una minaccia così seria.

La popolazione dell’India è di 1,3 miliardi di persone, di cui attualmente 195 milioni sono musulmani, ovvero il 14 per cento del totale. Affinché i musulmani divengano la maggioranza del paese tramite il “jihad dell’amore” occorrerebbe che almeno 481 milioni di ragazze indù sposassero un uomo di religione islamica. Ma probabilmente non ci sono più di 75 milioni di uomini musulmani in età da marito in India, e la maggior parte di loro è già coniugata. Secondo l’islam (e secondo il diritto indiano) gli uomini musulmani possono avere fino a quattro mogli, ma comunque non sono abbastanza per sposare tutte le donne indù disponibili senza superare il limite di quattro donne ciascuno.

Inoltre i presunti cospiratori di questo jihad dell’amore starebbero condannando le donne musulmane dell’India a matrimoni molto affollati, o in alternativa a rimanere nubili. È chiaro che il loro piano non è stato architettato con grande abilità.

Quattro altri stati governati dal Bjp hanno già in programma di approvare leggi identiche contro il jihad dell’amore

Nelle tre settimane successive all’approvazione dell’ordinanza, in Uttar Pradesh sono state arrestate una ventina di coppie di religione mista. Circa la metà di loro sono state rilasciate dai tribunali dopo che il partner femminile (indù) ha dichiarato che non c’è stata coercizione (gli uomini indù sposati con donne musulmane, naturalmente, sono esentati dalla legge). Il governo non potrà arrestare la “fuga” a causa di giudici che non riescono a cogliere lo spirito di questa legge, ma le cose saranno decisamente lente. A questo ritmo ci vorrà un bel po’ di tempo per creare una maggioranza musulmana in Uttar Pradesh (la cui popolazione è di 235 milioni). Un po ’di meno se il partito del primo ministro Modi, il Bharatiya Janata Party (Bjp), riuscirà a soggiogare i giudici. Ma comunque troppo.

Quattro altri stati governati dal Bjp hanno già in programma di approvare leggi identiche contro il jihad dell’amore. Per ipotesi immaginiamo un attimo che queste leggi non funzionino, e che quei malvagi ragazzi musulmani continuino a sposare innocenti ragazze indù. Quanto ci vorrebbe perché il jihad dell’amore crei un’India a maggioranza musulmana?

Mi fa piacere rispondere a questa domanda. Secondo i miei calcoli, servirebbero duecentomila anni, millennio più o millennio meno. Viene quindi il maligno sospetto che, forse, l’obiettivo del Bjp nell’approvare una legge contro un presunto jihad dell’amore non sia difendere lo status di maggioranza della popolazione indù e la propria base elettorale. L’obiettivo è forse invece quello di fomentare l’odio e la paranoia contro i musulmani e rinvigorire gli elettori indù che cominciano a essere delusi dal Bjp.

Non dico dico questo per affermare che Yogi Adityanath, il governatore dell’Uttar Pradesh e monaco indù part time che ha approvato la prima di queste leggi, sia un estremista religioso e un fanatico antimusulmano. Certo che lo è. Ma nel Bjp esistono persone più calcolatrici, che semplicemente escogitano i provvedimenti che più possono far piacere agli elettori indù.

Il Bjp ha stravinto le elezioni nazionali dello scorso anno grazie soprattutto a uno scontro militare fortuito con il Pakistan, arrivato proprio al momento giusto. Ma dal punto di vista economico le cose non sono andate bene, e il partito ha perso varie elezioni statali, anche nelle sue roccaforti tradizionali.

La disoccupazione è alta, l’iniziale risposta del Bjp al covid-19 è stata caotica, e gli agricoltoristanno cominciando a rivoltarsi. E, naturalmente, il governo ha perso una mini-guerra con la Cina, sull’Himalaya, lo scorso giugno. È decisamente il momento giusto per una rinvigorente campagna d’odio, e sfortunatamente a un sacco di persone nel nord dell’India, soprattutto tra i sostenitori del Bjp delle caste più elevate, non dispiace affatto odiare i musulmani.

Tra tutti i leader populisti saliti al potere in paesi democratici negli ultimi anni, Modi è di gran lunga il più pericoloso. In parte perché è più intelligente e disciplinato di persone come Donald Trump, Boris Johnson e Rodrigo Duterte, e in parte perché l’India è il secondo paese più popoloso al mondo.

In realtà Modi somiglia di più al presidente turco Recep Tayyip Erdoğan: anche lui intelligente, in grado di manipolare cinicamente la religione pur essendo un sincero credente, e da 17 anni al potere. La democrazia indiana ha radici piuttosto profonde, ma probabilmente non sopravviverebbe a 17 anni di Modi.

Forse aveva ragione la giornalista indiana Tavleen Singh quando, poco tempo fa, ha scritto sull’Indian Express: “Sembra che in India stiamo regredendo a una versione indù del Pakistan”. Dopo 73 anni di democrazia in India, sarebbe un grandissimo peccato.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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