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Il partigiano nero alla fermata della metropolitana

I lavori della metro C vicino a via dell’Amba Aradam, Roma, 27 dicembre 2019. (Stefano Montesi, Corbis/ Getty Images)

All’inizio di agosto il consiglio comunale di Roma ha annunciato che una futura fermata della metropolitana sarà intitolata a Giorgio Marincola, partigiano somalo-italiano. Marincola fu ucciso a ventun anni dalle truppe naziste in ritirata che aprirono il fuoco a un posto di blocco il 4 maggio 1945, due giorni dopo la resa ufficiale della Germania in Italia, alla fine della seconda guerra mondiale. La stazione, ancora incompleta, si sarebbe dovuta chiamare Amba Aradam-Ipponio: un riferimento alla campagna militare italiana in Etiopia del 1936, durante la quale i fascisti usarono armi chimiche e commisero crimini di guerra nella famigerata battaglia di Amba Aradam.

Il cambio di nome è l’esito di una campagna lanciata a giugno sulla scia delle proteste legate al movimento Black lives matter, che hanno interessato tutto il mondo in seguito all’uccisione dell’afroamericano George Floyd da parte della polizia statunitense. L’iniziativa, avviata dal giornalista Massimiliano Coccia, ha avuto il sostegno degli attivisti di Black lives matter, di altri giornalisti, della scrittrice italo-somala Igiaba Scego e del nipote di Marincola, lo scrittore Antar Marincola.

Gli attivisti avevano esposto uno striscione presso il cantiere della metropolitana: chiedevano che nessuna stazione avesse “il nome dell’oppressione” e che si ricordasse la vita breve ma eccezionale di Marincola.

Contro l’oppressore
Molto attivo nella resistenza, Marincola era noto come “il partigiano nero”. Nel 1953, dopo la morte, fu insignito della massima onorificenza militare italiana, la Medaglia d’oro al valor militare, in virtù del suo impegno e del suo sacrificio.

Marincola era nato nel 1923 a Mahaddei Uen, un villaggio sul fiume Uebi Scebeli, in quella che allora si chiamava Somalia italiana. Sua madre, Ashkiro Hassan, era somala, mentre suo padre, Giuseppe Marincola, era un ufficiale dell’esercito italiano. All’epoca pochi coloni italiani riconoscevano i figli nati da unioni con donne somale. Giuseppe Marincola fu uno di loro. In seguito portò in Italia Giorgio e l’altra figlia, Isabella, perché crescessero con la sua famiglia. Isabella diventò un’attrice e recitò, fra gli altri, in Riso amaro (del 1949). Anche Giorgio era un ragazzo brillante: eccelse negli studi scolastici a Roma e si iscrisse a medicina. All’università rimase conquistato dall’ideologia antifascista. Nel 1943, quando il paese in cui era nato era ancora sotto il dominio italiano, entrò nella resistenza.

Si dimostrò un combattente coraggioso, fu paracadutato in territorio nemico e rimase ferito. Le Ss lo catturarono e tentarono di farlo parlare alla loro radio contro i partigiani. Quando fu in onda, Marincola sfidò i suoi aguzzini dicendo: “Patria significa libertà e giustizia per i popoli del mondo. Per questo combatto l’oppressore”. La trasmissione venne interrotta e dal microfono arrivarono rumori di percosse.

A sinistra: Giorgio Marincola negli anni trenta. A destra, Marincola con Eugenio Bonvicini, vicecomandante della missione Bamon nel biellese, 1944.

Oggi, però, gli attivisti antirazzisti non si accontentano del cambio di nome di una fermata della metropolitana. Vogliono puntare i riflettori sulla storia coloniale italiana. Vogliono che le autorità di Roma si spingano oltre e avviino un processo di decolonizzazione della città.

A Milano il movimento ha preso un’iniziativa. Nel pieno delle proteste di Black lives matter è stata imbrattata la statua del controverso giornalista Indro Montanelli, che difendeva il colonialismo e ammise di aver sposato una dodicenne eritrea durante il suo servizio militare negli anni trenta.

Ma per apportare un vero cambiamento occorre che ci sia consapevolezza del passato. Oggi il problema è che l’Italia sembra soffrire di un’amnesia collettiva intorno alla sua storia coloniale. Nei miei anni di inviato da questo paese sono sempre rimasto colpito dalla scarsa conoscenza del tema mostrata dalla maggior parte degli italiani, che sia Roma, Palermo o Venezia. Non ci si rende conto di cosa siano stati il coinvolgimento italiano in Eritrea, in Somalia, in Libia e in Albania o l’occupazione fascista dell’Etiopia negli anni trenta, sotto Mussolini.

Legami indissolubili
In Somalia, dopo trent’anni di conflitto, tutti i ricordi del periodo coloniale si sono smarriti. Tranne che a tavola: un caposaldo della cucina somala è il suugo suqaar, una salsa con la quale si accompagna il baasto (pasta). Amo cucinare questi piatti. L’estate scorsa, quando ero a Palermo, l’ho fatto per alcuni amici italiani, e ho servito il tutto con shigni, una salsa piccante, e banane. Era uno strano abbinamento per gli italiani, ma i miei amici hanno mangiato con gusto, pur alzando occasionalmente un sopracciglio.

Anche i somali hanno lasciato una propria impronta in Italia: non solo attraverso i fratelli Marincola, ma anche nella letteratura, nei film e nello sport. Cristina Ali Farah è una nota romanziera, Amin Nour è un attore e regista, Zahra Bani ha rappresentato l’Italia nel lancio del giavellotto e Omar Degan è un rispettato architetto.

Oggi, in Italia, i somali sono sia tra i migranti di più vecchia data sia tra quelli più recenti. Nella primavera del 2015 ho trascorso un caldo pomeriggio nel groviglio di strade alle spalle della stazione Termini, dove ho incontrato somali che vivevano in Italia da decenni e altri arrivati da poco su barconi provenienti dalla Libia. I secondi chiamavano i primi “mezze lire”, a sottolineare la loro doppia identità somalo-italiana, mentre i primi chiamavano i secondi “titanic”, alludendo ai momenti difficili che hanno dovuto affrontare nella traversata del Mediterraneo, ma anche a quelli che affronteranno in Italia con l’ascesa dei partiti anti-immigrazione.

L’intitolazione di una fermata della metropolitana a Marincola è un fatto importante per tutti loro, e per gli italiani è un promemoria, arrivato al momento giusto, dei lunghi rapporti tra Italia e Somalia.

(Traduzione di Stefano Musilli)

Da sapere
L’Italia in Africa orientale
  • 1889 L’Italia istituisce un protettorato nella Somalia centrale

  • 1890 L’Eritrea è dichiarata colonia dal Regno d’Italia.

  • 1895 L’Italia invade l’Etiopia, allora detta Abissinia.
  • 1896 Le forze militari italiane vengono sconfitte dagli etiopici ad Adua e firmano un trattato con cui riconoscono l’indipendenza dell’Etiopia.
  • 1935 L’Italia fascista invade l’Etiopia.
  • 1936 Gli italiani occupano Addis Abeba. L’Etiopia, l’Eritrea e la Somalia italiana diventano l’Africa Orientale Italiana.
  • 1937 Ad Addis Abeba, secondo le stime, gli italiani uccidono 19mila persone nell’arco di tre giorni di febbraio: una rappresaglia per il tentato assassinio del viceré Rodolfo Graziani.
  • 1941 Le truppe britanniche e del Commonwealth, con l’aiuto della resistenza locale, sconfiggono gli italiani nella regione.

Questo articolo è apparso sul sito della Bbc News.

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