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Il kiwi della discordia

Una scultura gigante dedicata al kiwi giallo a Te Puke, Nuova Zelanda, 2013. (Michael Williams, Alamy)

Nel 2010 una malattia nota come “cancro batterico dell’actinidia” cominciò a colpire le piantagioni di kiwi in Nuova Zelanda, principale paese produttore del frutto insieme alla Cina e all’Italia. Dai rami delle piante stillava un liquido rosso, i fiori marcivano e i frutti avvizzivano: la malattia distrusse le piantagioni, con un danno di 900 milioni di dollari neozelandesi (540 milioni di euro). La salvezza arrivò da una nuova varietà del kiwi a polpa gialla, chiamata Sungold, presente oggi in grandi quantità accanto ai kiwi verdi anche nei supermercati italiani.

Il kiwi Sungold è il risultato di una ricerca finanziata dalla Zespri, la cooperativa che riunisce i produttori neozelandesi di kiwi, insieme ad altri attori pubblici e privati, per trovare un’alternativa: da 50mila varietà diverse ne furono selezionate quaranta, di cui quattro arrivarono alla sperimentazione nelle piantagioni. Dalla fase sperimentale uscì la Golden3, poi commercializzata come Sungold, che oltre ad avere le caratteristiche organolettiche di un frutto superiore, era resistente al temibile batterio. Fu quella varietà, brevettata subito dalla Zespri, a salvare dalla catastrofe l’industria neozelandese, che oggi produce per l’esportazione più kiwi Sungold che kiwi verdi.

Concorrenza spietata
Oggi la Zespri concede la licenza ai coltivatori di altri paesi, Italia compresa, ma nel 2016 all’azienda era arrivata voce di piantagioni di Sungold non autorizzate in Cina. Un’indagine ha poi confermato la soffiata, e la cooperativa ha ingaggiato una battaglia legale contro Gao Haoyu, il coltivatore che per primo portò in Cina alcune piante di Sungold. Lo scorso settembre l’alta corte neozelandese ha condannato Gao in appello al pagamento dell’equivalente di sette milioni di euro, ma ormai il danno è fatto: secondo le stime dell’azienda, tra il 2019 e il 2021 i terreni coltivati a Sungold sono raddoppiati, superando i 5.400 ettari, il che significa che presto in Cina si arriverà a produrre l’equivalente della quantità di kiwi importati dalla Nuova Zelanda (oltre a essere il più grande produttore di kiwi al mondo, la Cina è anche il principale importatore di kiwi neozelandesi).

Che fare, dunque? La Zespri sta cercando di trovare accordi con i governatori e i coltivatori locali per includere le produzioni abusive nel proprio circuito, ma la mancanza di leggi che regolino l’uso delle risorse biologiche e genetiche in Cina lascia in sostanza mano libera ai produttori senza licenza.

Questa vicenda è emblematica della disparità nei rapporti tra il gigante asiatico e il piccolo paese del Pacifico, che ha nella Cina il principale partner commerciale, con evidenti ripercussioni politiche.

In più occasioni negli ultimi due anni Wellington (che nel 2017, come poi l’Italia nel 2019, era stato uno dei pochi alleati degli Stati Uniti a firmare un memorandum d’intesa con la Cina sulla Belt and road initiative, la Nuova via della seta) ha preso le distanze dai paesi occidentali evitando di criticare Pechino sulla questione dei diritti umani o rifiutando di schierarsi nella competizione tra Cina e Stati Uniti. E la nomina di Wang Xiaolong, ex direttore generale degli affari economici del ministero degli esteri cinese, come nuovo ambasciatore di Pechino in Nuova Zelanda lascia intendere che la Cina punta al rafforzamento dei rapporti commerciali con Wellington.

Questo articolo è tratto dalla newsletter di Internazionale In Asia, ci si iscrive qui.

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