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Giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro sul blog dell’Agence France-Presse.

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Orgoglio transessuale a Beirut

Hans Harling, a destra, con Toy, nel centro di Beirut, il 1 febbraio 2016. (Patrick Baz, Afp)

Non mi ero mai reso conto del fatto che avessimo delle transessuali in Libano. O, meglio, ogni paese ha i suoi transessuali e i suoi transgender, ma non mi ero mai accorto che qui si mostrassero pubblicamente. Quando l’ho capito, è stato un piccolo shock. Siamo in Medio Oriente, dopo tutto.

Beirut è una città molto aperta; è spesso definita la capitale gay del Medio Oriente, ma ci troviamo comunque in un contesto molto conservatore e molto religioso, da tutti i punti di vista.

Ho preso coscienza della situazione quando ho sentito parlare della battaglia legale intrapresa da un uomo transgender al quale, lo scorso gennaio, una corte d’appello ha permesso di cambiare ufficialmente sesso all’anagrafe. Quando ho sentito che il caso era davanti al giudice, è stata una rivelazione: in Libano le persone transessuali stavano uscendo allo scoperto. Così ho chiesto ai miei amici gay di mettermi in contatto con qualcuna di loro.

Ho incontrato prima Hans Harling, una drag queen che spesso si esibisce nei night club gay di Beirut, dove è una sorta di star locale. A sua volta, Hans mi ha presentato Sasha e Toy, due sue amiche transessuali.

Toy e Sasha si preparano prima di essere fotografate da Patrick Baz dell’Afp, a Beirut, il 16 gennaio 2016.

Poi è arrivata un’altra sorpresa. Pensavo che fotografarle sarebbe stato difficile, che non volessero, che avrei dovuto convincerle. Per metterle a loro agio, ho portato anche mia moglie.

Alla fine, l’unico teso e preoccupato ero io. Loro erano completamente a proprio agio su tutto.

Immagino che fosse dovuto al fatto che sono molto giovani, sui vent’anni. Al momento degli scatti continuavano a dirmi “Vai, ancora un’altra!”. Avevano voglia di far vedere chi sono, e che la cosa non gli crea nessun problema.

Hans si prepara per uno spettacolo in un locale di Dbayeh, a nord di Beirut, il 15 gennaio 2016.

Di fronte alla macchina fotografica erano più a loro agio di me. E in effetti è stata la parte più divertente. Gli avevo chiesto se volessero essere fotografate in pubblico. “Scegliete voi il posto in cui volete fare il servizio,” avevo detto. E, di fronte alla loro risposta, avevo chiesto sorpreso: “Siete sicure?”.

“C’è qualcosa che non va?”

Non fraintendetemi: eravamo in un quartiere fantastico, molto chic, al centro di Beirut. Non le avrei fotografate in un quartiere conservatore cristiano o sunnita, e tanto meno in un feudo di Hezbollah.

Comunque…

Ero preoccupato. Continuavo a guardarmi intorno, temendo che saltasse fuori qualcuno che avrebbe creato problemi. Ma non è accaduto niente del genere. E loro mi prendevano in giro: “C’è qualcosa che non va?”.

Alla fine, non c’è stata nessun gesto di aggressività nei loro confronti. Certo, eravamo in un quartiere bene, eppure sono rimasto sorpreso. È stata una bellissima esperienza, e sono stato molto felice per loro. Felice che un cameriere si sia rivolto a una di loro usando il femminile, felice che si siano mostrate in pubblico come donne, felice che nessuno abbia creato problemi.

Hans e Toy a Beirut, il 16 gennaio 2016.

Problemi a casa

Non vorrei dipingere un quadro troppo roseo della loro vita. Tutte hanno problemi con le rispettive famiglie.

Il fratello di Sasha la picchiava ogni giorno a causa del suo atteggiamento femminile; quando Sasha aveva sedici anni, uno di questi pestaggi l’ha mandata all’ospedale. Per difendersi, Sasha ha preso lezioni di arti marziali e, un anno dopo, ha picchiato il fratello di santa ragione. Da quel giorno non l’ha più toccata. Sua madre e le sue sorelle la accettano. Ma suo padre e suo fratello no. Ogni giorno, quando torna a casa, continua ad avere paura. E la notte si chiude a chiave in camera sua. Una delle transessuali con cui ho parlato sta facendo richiesta di asilo nel Regno Unito. Insomma, la loro vita non è proprio facile.

Un altro problema che devono affrontare è di ordine economico. Sono tutte giovani, hanno pochi soldi. E le terapie ormonali costano care, così come i dottori. Gli ormoni costano tra i 200 e i 300 dollari al mese; l’intervento per cambiare sesso tra i 15mila e i 30mila dollari. E loro tutti questi soldi non li hanno.

Toy a Beirut, il 16 gennaio 2016.

Dopo aver concluso il servizio fotografico, mi sono chiesto se pubblicarlo davvero. Ero preoccupato. “Sto facendo la cosa giusta?”, mi chiedevo. “Se pubblico le loro foto le metto in pericolo?” Loro mi hanno detto di andare avanti, ma loro sono giovani.

Poi, un giorno, Sasha mi ha chiamato per dirmi che era stata invitata a una trasmissione televisiva di un’emittente conservatrice cristiana. “Stai molto attenta”, le ho detto, “ti linceranno.” “No no, non preoccuparti”, ha risposto. “Ho parlato con il presentatore, andrà tutto bene”.

Un passo avanti

E in effetti è andata bene. Sasha ha partecipato alla trasmissione insieme ad altre persone trans, una delle quali protetta dall’anonimato. La trasmissione gli ha dato tempo e modo di parlare del loro stile di vita. L’ho trovato assolutamente fantastico: un’emittente conservatrice che dava la parola a delle persone trans.

E questo, insieme alla sentenza della corte d’appello, mi ha tranquillizzato molto.

Dopo che le mie foto sono uscite, sono state pubblicate anche da un giornale locale, L’Orient – Le Jour. Sasha mi ha mandato un messaggio: “Grande, fico, wow!”. Un’altra mi ha mandato una faccina sorridente. Sono felici della cosa. È un passo avanti.

È una storia che mi rende molto felice. Mostra un altro lato di Beirut, una città schizofrenica dove c’è di tutto. È una storia positiva dal Medio Oriente. E poi preferisco occuparmi di persone che desiderano cambiare sesso che di gente che tenta di ammazzarsi a vicenda.

Infine, spero che il mio servizio aiuti le persone trans a farsi sentire, a farsi accettare di più. Non fanno del male a nessuno, lasciamole in pace.

(Traduzione di Cristina Biasini)

Questo articolo è stato pubblicato sul blog Correspondent dell’Agence France-Presse. Nel blog, giornalisti e fotoreporter raccontano il loro lavoro.

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