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Gli interessi dietro all’aiuto militare dell’occidente all’Ucraina

Alcuni partecipanti alla fiera internazionale Eurosatory per la difesa e la sicurezza terrestre e aerea, a Villepinte, Parigi, 13 giugno 2022. (Emmanuel Dunand, Afp)

Nel 2021, un anno prima di invadere l’Ucraina, la Russia ha speso l’equivalente di 65,9 miliardi di dollari per le sue forze armate, pari al 4,1 per cento del suo prodotto interno lordo (pil). La Germania, con una popolazione di poco più della metà di quella russa, ha speso 56 miliardi di dollari, l’1,3 per cento del pil. Altri paesi hanno speso: 68,4 miliardi di dollari il Regno Unito (2,2 per cento), 56,6 miliardi la Francia (1,9 per cento) e 32 miliardi l’Italia (1,5 per cento). In totale i quattro maggiori stati d’Europa hanno speso più di tre volte la Russia.

La spesa militare degli Stati Uniti, pari al 38 per cento del totale mondiale, ha superato di dodici volte quella russa. Le informazioni sulla spesa militare sono meno affidabili di quelle, per esempio, sulle temperature medie. Ma se i dati forniti dal più rinomato istituto di ricerca del settore sono esatti anche solo a metà, l’invasione russa porta a chiederci perché una potenza palesemente più debole abbia voluto rischiare il confronto con un blocco così forte.

Partire svantaggiati
Che la Russia abbia attaccato da una posizione di debolezza è dimostrato anche dal fatto che, secondo alcuni esperti militari, la sua forza di invasione nel febbraio del 2022, stimata a 190mila unità, era troppo ridotta. Per raggiungere il suo presunto obiettivo, ovvero la conquista dell’Ucraina (un paese di 40 milioni di abitanti con una superficie continentale quasi due volte quella della Germania), la forza di invasione russa avrebbe dovuto essere almeno il doppio. E se nel 2021 il budget per la difesa dell’Ucraina ammontava a meno di sei miliardi di dollari (il 3,2 per cento del pil di uno dei paesi più poveri d’Europa), dal 2012 era cresciuto del 142 per cento: il tasso di crescita più alto tra i quaranta paesi leader mondiali nella spesa militare.

È un segreto solo per i mezzi d’informazione europei che questo aumento è avvenuto grazie all’aiuto militare statunitense per favorire la cosiddetta “interoperabilità” dei due eserciti; obiettivo raggiunto nel 2020 secondo fonti della Nato. In pratica, l’intervento degli Stati Uniti ha trasformato l’Ucraina in un paese di fatto, anche se non ufficialmente, della Nato.

L’invasione russa è quindi partita da una posizione di grande inferiorità militare, anche se fin dall’inizio gli Stati Uniti e la Nato hanno continuato ad assicurare che non avrebbero inviato truppe per aiutare gli ucraini sul campo di battaglia. Eppure, dal primo giorno della guerra, la Germania è stata sottoposta a insistenti pressioni politiche e morali da parte degli Stati Uniti per aumentare le proprie spese militari e rispettare l’obiettivo a lungo termine dei paesi della Nato di spendere il 2 per cento del proprio pil per la difesa.

L’obiettivo del 2 per cento
Già alla fine degli anni novanta Washington aveva esortato i membri europei dell’organizzazione a spendere di più per le loro forze armate, come gli stessi Stati Uniti stavano cominciando a fare. L’obiettivo del 2 per cento era stato discusso per la prima volta dalla Nato a Praga nel 2002. Sullo sfondo del vertice si stagliavano gli attentati dell’11 settembre e l’inizio della “guerra al terrorismo”, l’imminente invasione dell’Iraq, le operazioni Nato nella regione e l’adesione alla Nato degli stati dell’Europa orientale, a cominciare da quelli di Visegrád (Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca).

Si è tornati ai confini della guerra fredda tra Europa occidentale e orientale, quest’ultima ormai composta solo dalla Russia

Queste decisioni hanno messo fine alle precedenti conversazioni sulla Casa comune europea (un’idea del leader russo Michail Gorbaciov) e sull’Alleanza per la pace (voluta dal presidente statunitense Bill Clinton), che includevano la Russia. Si è tornati ai confini della guerra fredda tra Europa occidentale e orientale, quest’ultima ormai rappresentata solo dalla Russia.

L’obiettivo del 2 per cento per le spese militari era stato formalmente adottato al vertice Nato del 2006 a Riga. Dopo la rivoluzione di Maidan a Kiev e l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014, l’alleanza atlantica ha rinnovato l’impegno. Ma anche se ufficialmente l’invito era diretto allo stesso modo a tutti i paesi dell’organizzazione, la Germania subiva le pressioni maggiori. Questo perché è l’unico paese europeo in cui, a causa delle sue dimensioni, un aumento relativo della spesa militare porterebbe un aumento assoluto significativo della forza militare della Nato. Mentre Francia e Regno Unito spendevano già da tempo il 2 per cento per la difesa, la Germania aveva speso solo l’1 per cento dal 2002 al 2018, per poi avviare un moderato aumento, arrivando all’1,34 per cento nel 2021.

Sono diversi i motivi per cui i quattro governi di Angela Merkel, dal 2005 al 2021, non hanno potuto o non hanno voluto rispettare la regola del 2 per cento: la burocrazia macchinosa degli appalti e il presunto pacifismo radicato nell’elettorato tedesco dopo i due conflitti mondiali, per esempio. Davvero Merkel credeva che Putin avrebbe mantenuto la promessa di rispettare il diritto internazionale occidentale che gli impediva di invadere l’Ucraina? Era lo stesso diritto che aveva consentito agli Stati Uniti e alla loro “coalizione di volenterosi”, compresa l’Ucraina, di invadere e occupare l’Iraq. Se Putin ha davvero fatto questa promessa si scoprirà solo facendo delle ricerche storiche ma, visti gli avvertimenti del presidente russo contro l’adesione di Ucraina e Georgia alla Nato del 2002, sembra improbabile.

I fattori che hanno avuto maggior peso sarebbero quindi altri: per esempio il fatto che la Germania non ha armi nucleari (che in Francia sono una quota importante delle spese militari). Le spese per le armi convenzionali tedesche infatti, nonostante un budget totale per la difesa inferiore, sono più o meno pari a quelle di Londra e Parigi. Inoltre, a differenza di altri paesi, tutte le forze militari della Germania sono integrate nella Nato, il che significa che l’aumento del budget avvantaggerebbe in particolare gli Stati Uniti. Infine, dal secondo dopoguerra la Germania non ha una dottrina militare o uno stato maggiore che gestisca le strategie delle forze armate.

La Germania cambia rotta
Dopo l’invasione dell’Ucraina, la Germania ha cercato di giustificare la presunta latitanza della Bundeswehr (le forze armate) negli ultimi vent’anni. Ma un’inchiesta del quotidiano Süddeutsche Zeitung ha dimostrato che in alcuni casi dei finanziamenti militari ci sono stati, tra la difesa nazionale e le missioni estere. A titolo di cortesia nei confronti degli Stati Uniti e della Francia, per esempio, la Germania ha svolto missioni in Afghanistan e Mali con costi molto più alti del previsto.

Dopo il 24 febbraio la Germania ha dovuto cambiare rotta, anche per impedire alla Russia di attaccare altri paesi europei: non solo la Polonia e gli stati baltici, ma anche la Finlandia e la Svezia (il fatto che la Russia non sia riuscita neanche a conquistare Kiev, che si trova a circa 150 chilometri dal confine, non è mai apparso nel discorso comune. Neppure che, se Putin è così pazzo da cercare di conquistare la Finlandia, potrebbe anche usare le armi nucleari, se si sentisse costretto a farlo).

La linea a favore dell’aumento delle spese militari, diffusa dai mezzi di informazione e dalla Nato, è stata appoggiata non solo dai partiti d’opposizione tedeschi (la Cdu/Csu di Angela Merkel), ma anche da qualcuno all’interno della coalizione di governo. Anche i Verdi si stanno seriamente impegnando per sbarazzarsi dell’immagine pacifista dei loro primi anni.

Tre giorni dopo l’invasione russa, il 27 febbraio, il cancelliere Olaf Scholz ha convocato una seduta straordinaria del Bundestag durante la quale si è dichiarato colpevole, a nome della Germania, di aver trascurato i suoi obblighi nei confronti della Nato e dell’occidente. L’invasione dell’Ucraina, secondo Scholz, è stata uno zeitenwende (un punto di svolta epocale) dopo il quale niente sarà più lo stesso. Questo ha imposto alla Germania di potenziare le forze armate in linea con le aspettative dei suoi alleati, mantenendo l’impegno di aumentare la spesa per la difesa.

Il fondo speciale
Così Scholz ha annunciato una manovra fiscale straordinaria: la creazione di un fondo speciale (Sondervermögen) di 100 miliardi di euro destinato solo alle spese militari, finanziato con il debito e inserito nella costituzione. Il fondo speciale è stato istituito al di fuori del bilancio ordinario con un emendamento costituzionale, approvato con il consenso dell’opposizione.

Per coinvolgere tutti i partiti, Scholz ha dovuto convincere i Verdi a rinunciare alla richiesta di definire la “difesa” in modo tale da includere missioni di pace e aiuti allo sviluppo. I leader verdi si erano infatti già trasformati in fervidi sostenitori della potenza militare come strumento per promuovere lo sviluppo, quindi non ci è voluto molto a convincerli.

Non è del tutto chiaro come il fondo speciale e il bilancio regolare della difesa siano distribuiti. L’idea sarebbe di spalmare l’utilizzo del fondo su più anni, ogni anno superando la spesa regolare fino a un totale del 2 per cento, e aumentandola gradualmente di modo che, una volta esaurito il fondo speciale, i finanziamenti militari raggiungano l’obiettivo.

I cento miliardi del fondo non serviranno per la guerra in Ucraina, al contrario di ciò che crede l’opinione pubblica tedesca

Nel suo discorso del 27 febbraio, Scholz è arrivato al punto di promettere che la Germania “investirà anno dopo anno anche più del 2 per cento del suo pil per la difesa”, un eccesso di zelo scomparso dai documenti ufficiali del governo.

Nel frattempo si è deciso che circa 40 miliardi di euro sarebbero andati all’aviazione, 19 alla marina e 17 all’esercito, mentre 21 miliardi sarebbero destinati alla cosiddetta “capacità di comando e digitalizzazione”, ovvero satelliti e radio digitali per le truppe. Spendere 100 miliardi di euro è tutt’altro che semplice. La somma costituisce circa la metà di quella che l’Italia riceverà nell’ambito del Fondo per la ripresa dall’Ue da spendere in sette anni.

Al primo posto nella lista della spesa tedesca ci sono 35 cacciabombardieri stealth multiuso Lockheed Martin F-35, uno speciale oggetto del desiderio del ministro degli esteri verde, che durante i colloqui della coalizione ha costretto il partito social-democratico (Spd) a fare del loro acquisto una priorità assoluta per il nuovo governo. Nella lista degli acquisti ci sono anche 140 droni armati TP Israel-li Heron. I prossimi anni vedranno un incontro di wrestling senza esclusione di colpi tra le industrie delle armi europee e statunitensi, entrambe in lizza per una quota nella manna tedesca.

Anche la Francia considera il fondo speciale l’opportunità per mettersi alla guida di un’industria della difesa europea, fondendo i produttori francesi e quelli tedeschi e trasformandoli in attori globali abbastanza forti da competere con le loro controparti statunitensi, ancora una volta invano.

Per far contenti i francesi, la Germania spenderà anche una parte del fondo per la nuova versione dell’Electronic combat role (Ecr) dell’Eurofighter e probabilmente anche per il Future combat air system (Fcas), un progetto fantascientifico che combina satelliti, droni e cacciabombardieri. Niente di tutto ciò sarà utile per la guerra in Ucraina, che in un modo o nell’altro sarà già finita quando queste nuove attrezzature diventeranno operative. Intanto però l’opinione pubblica tedesca tende a presumere che i 100 miliardi contribuiranno a porre fine alle sofferenze del popolo ucraino brutalizzato dall’esercito russo.

Diritto internazionale
Ma la fornitura di armi all’Ucraina ha anche importanti implicazioni strategiche. Una di queste è stabilire come e quando, secondo il diritto internazionale, un paese terzo diventa un combattente, ovvero l’alleato di una parte che può quindi essere legittimamente attaccato come nemico dall’altra. A quanto sembra, esiste una linea, non facile da definire, oltre la quale il supporto esterno diventa partecipazione ai combattimenti. I responsabili del consenso pubblico tedesco fingono che questa linea non ci sia, il che implica che la Germania potrebbe dare all’Ucraina tutto ciò che chiede senza diventare legalmente un bersaglio per i russi.

Forse uno dei motivi per cui il governo Scholz è stato più lento di altri sia nell’impegnarsi a inviare armi pesanti in Ucraina sia, una volta preso quell’impegno, a consegnarle è il timore di diventare un bersaglio di Putin. Dopotutto, tra le grandi potenze della Nato coinvolte, la Germania è quella più vicina al teatro di guerra e alla stessa Russia. Inoltre, non ha difese nucleari e la spedizione di carri armati e artiglieria pesante in Ucraina via terra può essere facilmente intercettata prima che arrivi a destinazione.

La maggior parte della comunità tedesca di esperti di diritto internazionale tace su questo punto, sul quale sorvolano anche i giornali mainstream. Ma il 18 maggio, in un momento di sincerità, il quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung non ha potuto fare a meno di pubblicare una lettera al direttore di uno dei più importanti esperti di diritto internazionale, Jochen Abraham Frowein.

Gli Stati Uniti puntano a distribuire le responsabilità dell’aiuto militare dato all’Ucraina tra vari paesi

L’esperto, conservatore, sosteneva che anche solo fornendo armi all’Ucraina la Germania potrebbe diventare “parte di un conflitto armato”, indipendentemente dall’articolo due della Carta delle Nazioni Unite, che vieta le guerre di aggressione. Secondo Frowein, questo implica che “le forze militari tedesche, anche quelle sul suolo tedesco, possono essere attaccate dalla Russia e quindi la preoccupazione del governo federale sul proprio stato di parte in guerra è del tutto giustificata”.

Anche tu, Bruto?
Le richieste ucraine di armamenti pesanti sono tutt’altro che modeste. Un consigliere del presidente Volodymyr Zelenskyj ha fatto sapere a metà giugno che, per vincere la guerra, il paese avrebbe bisogno di almeno mille obici da 155 millimetri, 300 lanciarazzi multipli, 500 carri armati, duemila veicoli corazzati e mille droni. Questa quantità di armi supera di molto i sette obici forniti dalla Germania, in collaborazione con i Paesi Bassi, e i quattro lanciarazzi che Berlino ha consegnato all’Ucraina due settimane dopo.

Gli Stati Uniti mantengono basi militari in 85 paesi del mondo, mentre la Russia solo otto basi in paesi adiacenti e una in Siria. Ciò conferma che gli statunitensi sarebbero in grado di fornire da soli all’Ucraina l’enorme quantità di armi che ha richiesto, considerando che ha già finanziato l’aumento della sua spesa militare a partire dal 2014. E recentemente l’amministrazione Biden ha chiesto al congresso di stanziare altri 40 miliardi di dollari per gli aiuti militari all’Ucraina per il 2022.

Che gli Stati Uniti stiano cercando di coinvolgere altri paesi all’interno e all’esterno della Nato – una quarantina in totale, alcuni dei quali piccolissimi – sembra servire soprattutto a fini politici, per dimostrare l’unità di un “risorto occidente” sotto la guida americana. Come per l’assassinio di Giulio Cesare, in cui ogni congiurato doveva affondare il coltello nel corpo della vittima !(“Anche tu, Bruto?“). Allo stesso modo gli statunitensi puntano a distribuire le responsabilità, di modo che nessuno possa poi negare il proprio coinvolgimento e, se si arriverà a tanto, rimanere al sicuro dai contrattacchi russi.

La fornitura di grandi quantità di armi, infatti, potrebbe automaticamente rendere un paese combattente e quindi precludere una successiva mediazione tra le parti in guerra. Gli statunitensi apprezzerebbero particolarmente se questo succedesse alla Germania e alla Francia.

Un altro aspetto strategico dell’armare l’Ucraina riguarda gli obiettivi della guerra e la misura in cui i suoi alleati possono avere voce in capitolo. Più armi pesanti l’Ucraina riceve, più ambiziosi possono diventare i suoi obiettivi politici.

Sotto l’influenza dell’estrema destra nazionalista, l’attuale governo ucraino si è allontanato sia dai protocolli di Minsk del 2014 e 2015 sia dal cosiddetto “Formato Normandia”, il gruppo di paesi costituito nel 2014 per risolvere il conflitto nel Donbass che comprende Ucraina, Russia, Germania e Francia. Mentre gli Stati Uniti non hanno partecipato ai due processi.

L’accordo siglato in Normandia prevedeva la neutralità dell’Ucraina, l’autonomia regionale delle sue province di lingua russa – in particolare del Donbass – e futuri negoziati sullo status della penisola di Crimea. Ora gli obiettivi dichiarati da Kiev però sono: il respingimento di tutte le forze russe, il ritorno incondizionato della Crimea all’Ucraina, il ritorno delle province separatiste sotto l’autorità centrale di Kiev e l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea.

Per l’Europa, la nuclearizzazione della guerra in Ucraina sarebbe una catastrofe, mentre gli Stati Uniti ne risentirebbero molto poco

La Nato e l’Ue si sono pubblicamente impegnate a lasciare decidere agli ucraini su cosa puntare, quando negoziare e che cosa concordare. Per la gioia del governo ucraino, anche gli Stati Uniti e altri paesi occidentali, compreso il Regno Unito, hanno indicato che per loro l’obiettivo della guerra è una vittoria sulla Russia che “indebolirebbe in modo decisivo” le sue forze armate e la sua economia, mentre Putin sarebbe processato da un tribunale penale internazionale.

È in questo contesto da guerra fredda che l’accesso dell’Ucraina all’equipaggiamento militare avanzato è importante, perché influisce sulla possibilità che combattendo da sola, senza le forze Usa e Nato, sia in grado di resistere a una guerra che potrebbe durare anni, seppur con una probabilità minima di vincere. Il governo ucraino dovrebbe quindi chiedere ai suoi cittadini di accettare ingenti perdite di vite umane e di ricchezza per il bene di obiettivi nazionali massimalisti. Mentre il conflitto posiziona l’Ucraina sempre più come uno strumento dell’occidente per eliminare la Russia come potenza economica e politica indipendente.

La minaccia nucleare
Decidendo quali e quante armi fornire all’Ucraina, i suoi alleati sperano di influenzare gli obiettivi, la durata e l’esito della guerra, adeguando l’equilibrio delle forze sul campo di battaglia al risultato che ritengono più desiderabile. Per gli Stati Uniti, armare l’Ucraina garantisce anche che l’umore del paese invaso non vada verso il sostegno disfattista di un accordo simile a quello di Minsk. Tuttavia, questa strategia potrebbe non essere nell’interesse né della Germania né della Francia, anche perché con li passare del tempo potrebbe aumentare il rischio che la Russia tiri il freno d’emergenza e usi l’arma nucleare.

Per l’Europa la nuclearizzazione della guerra in Ucraina sarebbe una catastrofe, mentre gli Stati Uniti ne risentirebbero molto poco. La Germania in particolare è meno interessata di Washington a una lunga guerra combattuta con equipaggiamenti occidentali forniti gratuitamente. Per Scholz rallentare la consegna delle armi potrebbe essere un tentativo, anche se debole, di far considerare al governo ucraino la possibilità di un accordo simile al Formato Normandia.

Il vero punto di svolta
La situazione potrebbe essere simile in Francia e in Italia, mentre il Regno Unito, più lontano dal teatro di guerra, ha come sempre “fatto quadrato” con gli Stati Uniti. E lo zeitenwende, il punto di svolta? Per quanto grande possa sembrare, il fondo straordinario tedesco da 100 miliardi riflette semplicemente la tradizionale tendenza della politica globale dopo la fine del “dividendo di pace” (riduzione delle spese militari in favore di programmi sociali o tagli fiscali) del 1990 e il nuovo ordine mondiale di Bush padre.

La spesa militare mondiale ha continuato a salire dagli anni novanta, che sono stati il vero zeitenwende, per raggiungere nel 2020-21 un livello record, superiore di un terzo a quello del 1988, l’ultimo anno della guerra fredda. Le forze trainanti di questa escalation sono state gli Stati Uniti e la Cina. Tra il 1990 e il 2001, la spesa militare statunitense era diminuita di un quarto. Poi, nel 2002, ha cominciato di nuovo a crescere rapidamente, aumentando di quasi due terzi nel 2010. Nel 2016 era tornata al livello del 2004, per aumentare nuovamente dell’11,3 per cento dal 2017 al 2021.

Intanto anche gli Stati Uniti hanno smantellato, passo dopo passo, l’architettura di contenimento degli armamenti. Nel 2002 si sono ufficialmente ritirati dal trattato sui missili anti-balistici (Abm) del 1972, che limitava l’uso di sistemi di difesa antimissile balistici. Nel 2009 hanno lasciato scadere il trattato di riduzione degli armamenti strategici (Start I). Poi con il ritiro dall’Abm hanno impedito la ratifica dello Start II, negoziato nel 1993. In seguito si sono rifiutati di negoziare un trattato Start III sulla limitazione delle testate nucleari. Nel 2019 si sono ritirati, sempre unilateralmente, dal trattato sui missili nucleari a raggio intermedio (Inf), per poter cominciare a collocare sistemi di difesa missilistica in paesi europei come Romania, Polonia e Repubblica Ceca.

Il vero scontro è quello sempre più imminente tra un egemone globale in declino e uno in ascesa: tra Stati Uniti e Cina

Inizialmente si presumeva che questo servisse a proteggere l’Europa dai missili nucleari iraniani. Ma nel 2018 gli Stati Uniti hanno anche annullato il trattato di non proliferazione nucleare raggiunto con l’Iran nel 2015, negoziato con le maggiori potenze europee. Sebbene l’uscita degli Stati Uniti da tutti questi trattati riguardasse, e preoccupasse, principalmente la Russia, anche Pechino ha cominciato a interessarsi. La Cina infatti è stata, e sarà sempre più, la seconda produttrice mondiale di mezzi di distruzione.

L’ascesa cinese
Fino agli ultimi anni novanta la spesa militare cinese è stata quasi trascurabile, non superando mai l’8 per cento del suo equivalente statunitense. Poi ha ripreso a crescere, sempre più velocemente di anno in anno, anche più della spesa in rapido aumento degli Stati Uniti. Nel 2005 era salita al 10 per cento, cinque anni dopo al 15, nel 2015 ha raggiunto il 29 per cento e nel 2021 il 35 per cento della spesa. La spesa militare russa, in confronto, appare trascurabile.

Nel 1998, un anno prima che l’ex presidente russo e beniamino degli Stati Uniti Boris Eltsin consegnasse a Vladimir Putin un paese nel caos, il budget militare russo era sceso al 3,1 per cento di quello degli Stati Uniti. Nonostante gli enormi sforzi fatti dopo il 2004, quando è apparso chiaro che il progetto originale di Putin di una comunità economica europea “da Lisbona a Vladivostok” sarebbe fallito, l’entità relativa della spesa militare russa è arrivata a non più del 10,7 per cento di quella statunitense nel 2016, per poi scendere all’8,2 per cento nel 2021.

Citando lo storico greco Tucidide sulle origini della guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), gli strateghi militari occidentali chiamano “momento tucidideo”: quando una potenza dominante si sente costretta a entrare in guerra contro una potenza nascente, per impedirle di superare una soglia oltre la quale non può più essere sconfitta con certezza. Tra gli Stati Uniti e la Cina, a quanto sembra, un momento del genere potrebbe essere dietro l’angolo, come forse lo è stato con la Russia nel 2021, quando Washington ha ripreso ad armare l’Ucraina.

Per quanto terribile sia per il popolo ucraino, l’attuale scontro nel Donbass è solo un dettaglio secondario di un quadro molto più ampio: quello dello scontro sempre più imminente tra un egemone globale in declino e uno in ascesa. In questo contesto, una delle funzioni principali della guerra è consolidare la presa degli Stati Uniti sui loro alleati europei, che sono tenuti a sostenere il pivot to Asia americano (come lo definì l’amministrazione Obama), cioè lo spostamento dell’interesse di Washington verso quello che era il mar Cinese meridionale e che oggi l’opinione pubblica occidentale chiama indo-pacifico.

Il compito dell’Europa è impedire alla Russia di approfittare del fatto che gli Stati Uniti rivolgono la loro attenzione armata ad altri angoli del mondo e, se sarà necessario, unirsi agli statunitensi nella spedizione asiatica, alla quale il Regno Unito si sta già attivamente preparando.

Non c’è nessuna garanzia che nel frattempo non ci sarà un’esplosione nucleare, magari in Europa occidentale. La domanda sempre più urgente alla quale devono rispondere i suoi paesi è se aspirano a diventare qualcosa di più che semplici seguaci degli americani incaricati di tenere a bada la Russia. Davvero l’Europa vuole assistere Washington nella prossima battaglia con la Cina? Questa è la domanda che Scholz, Emmanuel Macron e gli altri capi di governo europei devono affrontare prima che sia troppo tardi.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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