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In Italia le elezioni europee sono solo una resa dei conti tra partiti

Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a Roma, in Italia, 29 gennaio 2024. (Alessia Pierdomenico, Bloomberg/Getty Images)

In Italia le elezioni europee del prossimo giugno sembrano essere considerate poco più che una partita politica interna. E dunque un’occasione per ridefinire gli equilibri del potere politico nazionale in base al risultato ottenuto in Europa, nonostante le ultime elezioni nazionali si siano svolte nell’autunno 2022 e abbiano consegnato alla destra una maggioranza apparentemente solida. Di altro per il momento non si discute. Eppure di temi all’ordine del giorno ce ne sarebbero molti.

La guerra in Ucraina o la crisi in Medio Oriente, per esempio, che hanno diviso e continuano a dividere sia la coalizione di destra al governo sia le opposizioni di centrosinistra. O le difficoltà del settore agricolo, che hanno attirato l’attenzione della politica per il tempo necessario a spegnere le proteste dei coltivatori. Si è discusso invece, e molto, dell’eventuale candidatura della presidente del consiglio Giorgia Meloni e della segretaria del Partito democratico (Pd) Elly Schlein per trainare le rispettive liste. E si è parlato di nuove alleanze o della ridefinizione di quelle già in atto. Tutte insomma questioni di natura tattica.

Va detto però che, al di là della conflittualità tipica del sistema politico italiano, in questa occasione l’atteggiamento dei partiti è stato incoraggiato dal fatto che alle elezioni europee si arriva dopo un crescendo di importanti consultazioni regionali, che ha favorito un clima da campagna elettorale permanente. Pur non essendo l’Italia uno stato federale, le regioni rivestono un notevole peso dal punto di vista politico e istituzionale, avendo potere legislativo. Non a caso le elezioni regionali finiscono sempre per incidere anche sul piano nazionale, quasi fossero consultazioni di medio termine, utili quindi per valutare anche l’andamento del gradimento del governo. In questa chiave è stato interpretato per esempio il voto del 25 febbraio in Sardegna, in cui ha vinto il centrosinistra, e quello del 10 marzo in Abruzzo, dove ha prevalso la destra.

Inoltre, per il rinnovo della delegazione italiana al parlamento europeo si voterà con un sistema elettorale proporzionale, e questo sollecita ciascun partito a sfidare gli altri, avversari o alleati che siano. Succede nella coalizione di destra composta da Forza Italia (FI), Lega e Fratelli d’Italia (FdI). Dietro un’apparente concordia, l’asse tra FdI e Lega è da tempo indebolito da una concorrenza serrata, alimentata dalla crisi di consenso e di leadership della Lega e dal contemporaneo e impetuoso rafforzamento elettorale di FdI. Il quotidiano la Repubblica ha riassunto con toni piuttosto coloriti il rapporto che corre tra i leader delle due formazioni, la presidente del consiglio Giorgia Meloni (FdI) e il suo vice Matteo Salvini (Lega): “Lei vede Von der Leyen a Roma, lui strilla in tv che Ursula è ‘la rovina dell’Europa’. Lei da brava nipotina vola a Washington per farsi baciare sulla fronte da nonno Biden, lui da perfetto sfasciacarrozze fa i complimenti a Trump per i successi nel Super Tuesday”. Ma, in effetti, è da tempo che i due, seppure alleati, coltivano strategie diverse. Anche in prospettiva europea.

Meloni continua a parlare all’elettorato italiano esprimendo posizioni nazionaliste e di destra, ma quando varca i confini ormai preferisce mostrarsi moderata e usare toni istituzionali. Il cambio di atteggiamento è stato evidente soprattutto con l’assunzione di posizioni atlantiste sulla guerra in Ucraina, mentre Salvini da molti osservatori è ancora considerato vicino alla Russia di Vladimir Putin. Anche sul piano delle alleanze in Europa, Lega e FdI seguono strade diverse. Meloni coltiva infatti un rapporto con la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen, ricandidata dal Partito popolare europeo (Ppe), nella speranza di conquistare una posizione di maggior influenza all’interno dell’Unione, o almeno di essere legittimata in Europa, nonostante il retaggio post-fascista dal quale ancora non si è liberata in Italia.

La Lega, invece, in Europa frequenta la destra radicale del gruppo Identità e democrazia, al quale appartengono tra gli altri il Rassemblement national della francese Marine Le Pen e i tedeschi di Alternative für Deutschland, contro i quali peraltro proprio von der Leyen si è scagliata nel discorso con cui ha chiesto l’investitura al Ppe.

Una situazione tutto sommato simile la si ritrova anche nel campo del centrosinistra, dove il Partito democratico e il Movimento 5 stelle (M5s) semplicemente non riescono a costruire le condizioni per un’alleanza stabile che vada oltre la forma del cartello elettorale. La ragione sta nella diversa ispirazione politica che li anima – democratica e liberale quella del Pd, schiettamente populista quella del M5s – e nel diverso radicamento dei rispettivi elettorati, con quello del M5s che pesca anche a destra, e rispetto agli Stati Uniti guarda al repubblicano Donald Trump più che al democratico Joe Biden.

In questo contesto, molti osservatori ritengono inevitabile un innalzamento dei toni polemici, anche e soprattutto tra alleati. Con la speranza che, mentre si discute di potere e di come il potere potrebbe riorganizzarsi in Italia in base all’esito delle elezioni europee, si cominci però a discutere anche di cosa farne di quel potere, e dunque di politica.

Questo articolo fa parte del progetto Voices of Europe 2024, che coinvolge 27 mezzi d’informazione in tutta Europa, coordinati da Voxeurop.

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