×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

L’agonia di Aleppo

Un bombardamento delle forze governative ad Aleppo, il 26 novembre 2016. (Abdalrhman Ismail, Reuters/Contrasto)

Ormai la crisi siriana può essere riassunta in tre punti. I ribelli stanno perdendo la partita. In piena transizione elettorale, la Francia e gli Stati Uniti sono del tutto assenti, mentre la Russia continua a fare passi avanti.

I ribelli perdono terreno nel loro bastione di Aleppo est e hanno già dovuto abbandonare un terzo dei quartieri che controllavano. Travolti dalle bombe, privati di viveri e con gli ospedali distrutti sistematicamente dall’aviazione russa e siriana, i ribelli non possono far altro che arretrare.

La Francia sta cercando di mobilitare i paesi vicini alla ribellione, ma oltre al fatto che ormai è troppo tardi, François Hollande è troppo impegnato a evitare un crollo totale della sinistra, mentre il candidato del centrodestra, François Fillon, è convinto che una vittoria di Assad non sarebbe la soluzione peggiore.

Questa situazione toglie peso alla Francia, e le cose non sono diverse negli Stati Uniti, perché Donald Trump condivide l’approccio di Fillon mentre Barack Obama non è più operativo e non ha mai voluto impegnarsi troppo nel conflitto.

Resta aperto un grande interrogativo: cosa se ne faranno i vincitori della loro vittoria?

La Russia si avvicina al trionfo. Il suo obiettivo è sempre stato quello di rimettere piede in Medio Oriente salvando il regime di Assad dal crollo a cui era pericolosamente vicino cinque mesi fa. Quando l’insurrezione avrà definitivamente perso Aleppo, la Russia la farà da padrone in Siria e potrà riavvicinarsi all’Iran, l’altro grande alleato di Assad e uno degli stati più solidi della regione.

Niente è ancora scritto, ed è ancora possibile un’inversione di tendenza. I ribelli controllano diverse parti del paese, ma ogni guerra deve avere il suo vincitore e il suo perdente, e in questo momento sembra che a perdere saranno i ribelli. Eppure resta aperto un grande interrogativo: cosa se ne faranno i vincitori della loro vittoria?

Generazioni di futuri combattenti
Sarà una vittoria inevitabilmente provvisoria. Assad dovrà ricostruire il paese che ha devastato, fatta eccezione per Damasco e la costa settentrionale. Né la Russia né l’Iran hanno i mezzi per finanziare una ricostruzione su larga scala. Ci sono milioni di profughi da rialloggiare e altri milioni di persone il cui ritorno non è per nulla scontato. Molti siriani continueranno a vivere a lungo nei campi profughi all’estero, dove cresceranno molti giovani combattenti pronti a vendicare le loro famiglie e a riconquistare i territori perduti.

La guerra, virtualmente vinta da Assad, non è affatto finita, perché il 60 per cento dei siriani è di religione sunnita mentre il regime appartiene al ramo alauita dello sciismo. Maggioritarie nella regione, le potenze sunnite non intendono cedere il passo all’Iran sciita. Questa guerra non finirà, anzi è destinata a peggiorare. La Russia rischia di farsi trascinare in un conflitto infinito, e come il resto del mondo presto potrebbe rimpiangere di aver preferito la forza delle armi alla ricerca di un reale compromesso politico.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

pubblicità