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Le due facce della vittoria di Erdoğan

Recep Tayyip Erdoğan saluta i suoi sostenitori a Istanbul, il 24 giugno 2018. (Alkis Konstantinidis, Reuters/Contrasto)

C’è il malessere e ci sono i risultati. Il malessere è legato al fatto che il presidente turco ha voluto annunciare la sua vittoria prima che l’istituzione incaricata del conteggio e della proclamazione dei risultati, l’Alto comitato elettorale, avesse terminato lo spoglio.

L’opposizione ha fatto sapere che il conteggio dei voti nelle grandi città, considerate ostili al presidente uscente, non era ancora noto e che qualsiasi conclusione era dunque prematura. Poi la situazione si è velocizzata. L’Alto comitato elettorale ha dato ragione a Recep Tayyip Erdoğan basandosi su risultati ancora parziali ma abbastanza netti, a suo parere, da non poter essere ribaltati.

Cosa ne pensa l’opposizione? Non lo sappiamo. Se ancora non ha riconosciuto la sua sconfitta è probabile che non rompa il silenzio fino alla conferenza stampa della sua figura principale, il socialdemocratico Muharrem İnce, prevista per il primo pomeriggio.

Erdoğan non soltanto è stato rieletto per altri cinque anni, ma avrà maggiori poteri costituzionali

Il malessere è grande, ma questi risultati sono là e ormai è impensabile che vengano smentiti.

Ininterrottamente ai comandi del suo paese dal 2003, Erdoğan non soltanto è stato rieletto per altri cinque anni, ma avrà maggiori poteri costituzionali che gli permetteranno di governare per decreti e combinare, in una sola carica, le funzioni di presidente e primo ministro.

A questo punto è difficile credere che l’autoritarismo di Erdoğan possa ridursi. Anche se il presidente sospenderà lo stato d’urgenza (come si è impegnato a fare) e liberasse alcuni prigionieri politici, è impossibile che il voto di domenica possa dare il via a quella che aveva definito una “rivoluzione democratica”. Ciononostante resta il fatto che in Turchia sono cambiate molte cose.

La prima è che dopo aver governato per 15 anni in un periodo di forte crescita, Erdoğan dovrà gestire una netta riduzione degli investimenti (nazionali ed esteri) e la necessità di aumentare i tassi d’interesse per arrestare la caduta della moneta nazionale.

Il presidente andrà incontro a difficoltà sociali e di conseguenza a un’impopolarità crescente. Il secondo cambiamento è che alle elezioni di domenica il suo partito, l’Akp, ha continuato a perdere terreno. Profondamente diviso e indebolito, l’islamo-conservatorismo non è più in ascesa in Turchia. Erdoğan non può più contare su una maggioranza parlamentare senza l’appoggio dell’Mhp, il partito nazionalista di estrema destra ostile a qualsiasi compromesso con i curdi. Infine il Partito democratico dei popoli (Hdp), formazione modernista di origine curda ma molto popolare tra le classi medie urbane, ha ottenuto abbastanza voti da raggiungere l’11 per cento. Erdogan non avrà vita facile.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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