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A Roma Paola Muraro si lascia alle spalle una montagna di rifiuti

Roma, agosto 2016. (Stefano Costantino, Lapresse)

La foto che si vede qua sotto è stata scattata qualche settimana fa nell’impianto di raccolta e trattamento rifiuti (il cosiddetto tmb) di via Salaria 981, a Roma: sono circa sedicimila tonnellate di rifiuti indifferenziati – una montagna tossica piazzata a circa cento metri dalle case e a duecento da un asilo nido. I comitati dei cittadini protestano da anni per una situazione insostenibile e negli ultimi mesi si sono attivati in ogni modo possibile, finora invano.

Per parlare di rifiuti a Roma, più che dalle dimissioni dell’assessora Paola Muraro, bisogna ripartire da questa foto che è considerata non tanto l’immagine dell’emergenza, bensì il metodo abituale con cui questa amministrazione e anche le precedenti cercano di evitare l’emergenza.

L’impianto di raccolta e trattamento rifiuti di via Salaria, Roma.

In questa situazione il 13 dicembre l’assessora all’ambiente Paola Muraro ha annunciato le sue dimissioni, perché è indagata dalla procura di Roma. I reati che le contestano i pubblici ministeri Paolo Ielo e Alberto Galanti riguardano il suo ruolo decennale (fino all’inizio di quest’anno) da consulente in Ama: secondo le indagini non ha esercitato un ruolo da consulente, ma una vera e propria funzione dirigenziale.

Qualche mese fa, quando Muraro aveva ammesso di fronte alla commissione ambiente al senato di sapere di essere indagata, le imputazioni che le venivano contestate erano principalmente per violazioni ambientali: la si accusava di non aver vigilato sugli impianti quando appunto lei era la responsabile nell’Ama. Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera ha più volte lasciato trapelare che ci sarebbero grane più consistenti a causa dei rapporti che Muraro aveva con Manlio Cerroni, e Jacopo Iacoboni sulla Stampa – che ha seguito molto attentamente la vicenda dall’inizio – ha sempre ipotizzato che addirittura ci siano state anomalie e irregolarità che hanno consentito di truccare i rifiuti in ingresso e in uscita dai due impianti tmb (gli impianti di trattamento dei rifiuti) di proprietà dell’Ama, facendo entrare rifiuti pericolosi, con cosiddetto codice a specchio, e non chiarendo correttamente la natura di alcuni dei rifiuti in uscita.

Che qualcosa di simile sia accaduto è scritto anche nelle due diligence dei periti indipendenti reclutati da Ama (cioè dalla difesa) durante il contraddittorio con la procura. Muraro a questa possibile accusa ha risposto davanti alla commissione sulle ecomafie dicendo che controllava solo se era ben compilato il registro di carico e scarico dei rifiuti – un po’ poco per una responsabile impianti: ma sulla questione nessuno finora l’ha incalzata. Ma l’inchiesta della procura è molto complessa, e l’interrogatorio di garanzia che si svolgerà il 21 dicembre aiuterà a capire meglio quali sono le accuse e quanto siano fondate.

Ma al di là di come andrà questa inchiesta, le dimissioni di Muraro non cambiano nulla di una situazione strutturalmente emergenziale che negli ultimi sei mesi non è stata affrontata come tale dall’amministrazione Raggi. Ora la rinuncia di Muraro, se possibile, aumenta il rischio che la questione rifiuti esploda prima di Natale.

Infatti a Roma l’emergenza scatta solo quando i rifiuti rimangono ammassati per strada, ma invece si fatica a comprendere che è il sistema stesso a creare una situazione disfunzionale, che provoca di tanto in tanto l’emergenza sulle strade.

Le dimissioni di Paola Muraro non cambiano nulla. Anzi, se è possibile, aumentano il rischio che la questione rifiuti esploda prima di Natale

A Roma ogni giorno vengono raccolte circa cinquemila tonnellate di spazzatura di cui duemila circa differenziata e tremila indifferenziata. L’indifferenziata viene portata – per essere separata e trattata – negli impianti detti tmb: quattro romani, di cui due sono privati (della Colari di Manlio Cerroni) e due sono pubblici di Ama (uno sta a Rocca Cencia, l’altro è questo di Salario), più tre impianti fuori dall’area metropolitana (uno in provincia di Viterbo, l’altro vicino Frosinone, l’altro ancora in Abruzzo).

Quello che esce dai tmb è ancora rifiuto e dovrebbe andare in discarica o in altri impianti di riciclaggio, ma siccome Roma non ha una dotazione adeguata di questo tipo staziona nei tmb per settimane e mesi. Il tmb della Salaria può arrivare a contenere ventimila tonnellate in attesa di trattamento – ossia, a conti fatti, l’ammasso di un mese e mezzo di raccolta – e, nel caso anche la vasca di accumulo sia piena, può accadere che i rifiuti restino a imputridire nei camion che li hanno portati fin lì. Quando poi anche i camion fermi sono colmi, allora la spazzatura resta per strada.

Stipare Salario fino all’orlo negli ultimi mesi serve a svuotare temporaneamente l’impianto di Rocca Cencia, in modo da averlo ricettivo per dicembre quando, con l’arrivo delle feste, la produzione dei rifiuti aumenterà, e il rischio di arrivare all’emergenza sarà più alto. Insomma, di fatto il modo in cui vengono gestiti i rifiuti a Roma è spesso quello di farli girare tra i vari impianti, con camion dell’Ama impazziti che vengono continuamente dirottati da un tmb all’altro.

La posizione dell’amministrazione capitolina su questa questione, tuttavia, è ottimistica. Secondo l’ex assessora cinquestelle Muraro la città non vive un’emergenza e a Natale non ci sarà un aumento generale dei rifiuti, ma solo quello di carta, cartone e imballaggi. In una lunga intervista che aveva concesso a Internazionale qualche settimana fa, l’ex assessora esplicitava il suo pensiero strategico sulla città.

A Roma mancano degli impianti, diceva, ma si realizzeranno. A Roma la raccolta differenziata è a poco più del 40 per cento, ma – l’assessora era convinta – si arriverà entro l’estate prossima almeno al 50 per cento e poi, se la giunta regge, si arriverà all’obiettivo prefissato dalla legge del 65 per cento. A Roma c’è un’azienda come l’Ama che funziona male – sosteneva Muraro – e che va riorganizzata a partire da una sua maggiore dipendenza dall’assessorato: “Con il consiglio di amministrazione che passa da tre persone a un amministratore unico, il ruolo di Ama non è più un ruolo staccato dall’amministrazione comunale, non è una società che va con le sue gambe, è il braccio operativo del comune di Roma, è un dipartimento dell’amministrazione”.

Ciò che manca all’area metropolitana di Roma sono i posti dove andare a mettere definitivamente i rifiuti

Vediamo questi punti uno alla volta: gli impianti, la raccolta differenziata e l’Ama.

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Sul tmb di Salaria si sta giocando ormai da anni una battaglia politica sfiancante fra le amministrazioni municipali, comunali e regionali e i comitati dei cittadini. Per l’ennesima volta sembrava, fino a un mese fa, che ci fosse la reale volontà di chiudere il tmb di Salaria. La puzza e i miasmi che produce sono intollerabili per un’area in cui abitano almeno duecentomila persone (l’abbiamo raccontato più volte, per esempio qui e qui). La presidente del terzo municipio Roberta Capoccioni – anche lei del Movimento 5 stelle – aveva vinto con una campagna elettorale con al primo posto del suo programma minimo la chiusura del tmb, e negli ultimi mesi è stata a fianco dei comitati di quartiere nel pressare Muraro a trovare una soluzione condivisa.

L’assessora, nello spirito dei cinquestelle, aveva invitato i cittadini a stilare proposte per il destino del tmb, impegnandosi a rispettarle. I comitati, dopo qualche lacerazione, avevano immaginato una riconversione del sito: parte parcheggio e uffici, parte un impianto di raccolta e recupero materiali ingombranti. L’avevano proposta all’assessora, e lì il dialogo si era arenato.

Perché Muraro pare convinta che il tmb possa trasformarsi in un altro tipo di impianto: “Entro fine anno”, ha detto a Internazionale, “al contrario di quello che hanno fatto le amministrazioni precedenti, ci sarà una richiesta di cambiamento dell’autorizzazione. Nel giro di sette, otto mesi potrebbe non esserci più il tmb e potrebbe essere revampizzato”, ossia adattato per lavorare multimateriale – plastica, vetro, cartone, alluminio – come accade in un impianto che spesso cita, Revet, che si trova a Pontedera, in provincia di Pisa. “Abbiamo intenzione a breve di fare un sopralluogo con i comitati in quest’impianto di Revet, per fargli toccare con mano di cosa si tratta. Alla Revet si vendono i materiali”.

In realtà i comitati hanno rimandato al mittente l’offerta del viaggio fino in Toscana: “Non siamo interessati a nessuna visita a nessun impianto. E anzi vogliamo avere risposta alle nostre proposte inviate e protocollate, vogliamo essere convocati dalla commissione ambiente, abbiamo mandato l’ennesima Pec già da qualche tempo”.

Daniele Poggiani, uno dei portavoce, insiste: “Avevamo chiesto che non ci fosse nessuna lavorazione meccanica dei rifiuti, perché si comincia sempre con una piccola concessione, e poi non si sa mai dove si va a finire”.

Tempo di allarme
Tuttavia nell’ultima conferenza stampa qualche settimana fa, tenuta proprio per illustrare le linee programmatiche dell’assessorato, Muraro aveva dichiarato che non ci sarebbe stato trattamento, che sarebbe stato smantellato il biofiltro, e che l’impianto sarebbe stato alleggerito da metà dicembre quando sarebbe partito il trasporto di una parte consistente di rifiuti all’estero (in Germania e in Austria) attraverso una società che ha vinto l’appalto l’anno scorso, Enki, per 500 tonnellate al giorno. Insomma l’impianto di Salario chiude o non chiude, ed entro quando, si può avere un impegno chiaro? Le dimissioni di Muraro scioglieranno questo nodo o lo stringeranno ancora di più? I residenti di Villa Spada e di Fidene per quanto tempo dovranno ancora subire questo disagio assurdo? Il Natale che si prepara, con la raccolta al massimo livello dell’anno, è un tempo di allarme più che di avvento.

Quella dei tmb è solo una parte della questione impiantistica. Ciò che manca all’area metropolitana di Roma sono i posti dove andare a mettere definitivamente i rifiuti, ossia i siti di compostaggio, le discariche, i termovalorizzatori, gli inceneritori.

Per esempio: Muraro si attribuiva il merito di aver incrementato, dopo anni, la lavorazione dell’impianto di multimateriale di Rocca Cencia fermo per moltissimo tempo – anche se faceva notare Daniele Fortini, ex presidente di Ama, quando Muraro era in Ama in qualità di responsabile delle autorizzazioni non aveva certo sollevato la questione.

Per esempio: Muraro aveva ammesso di non saper dove mettere i rifiuti fin dall’inizio dell’insediamento della nuova giunta. A luglio, come primo atto del suo mandato, aveva fatto un blitz all’Ama, e aveva da subito dichiarato la necessità di rimettere in funzione il tritovagliatore scatenando le polemiche (l’impianto gestito dalla ditta Porcarelli è di proprietà di Cerroni, contro cui il comune ha una serie di cause pendenti). A distanza di mesi, senza il clamore estivo, da qualche settimana è stato riattivato quello mobile di proprietà dell’Ama, che lavora 300 tonnellate al giorno (dove per “lavora” si intende che trita e vaglia i rifiuti: in realtà è praticamente un altro luogo dove far transitare la spazzatura che non si sa dove portare).

Per esempio: Muraro aveva deciso di bloccare il progetto degli ecodistretti (siti industriali dove far convergere tutta la filiera del trattamento rifiuti) che era stato pensato da Daniele Fortini ed Estella Marino nella precedente amministrazione, e per questo l’impianto di compostaggio sempre a Rocca Cencia pare che non verrà realizzato e al suo posto invece “saranno creati due piccoli impianti nelle aziende agricole del comune di Roma, a Castel di Guido e a Cavalieri, che si aggiungeranno a quello già esistente di Maccarese, ognuno dovrebbe trattare trentamila tonnellate l’anno”. Le domande che si possono porre sono: basteranno? Siamo sicuri che saranno poco impattanti essendo comunque degli impianti industriali situati dentro aziende agricole? E, con le dimissioni di Muraro, questi piccoli atti andranno in porto oppure si bloccheranno?

L’ottimismo di Muraro si scontra con le difficoltà di una città che spende più del doppio di Milano e Vienna per trattare la sua spazzatura

Per quello che riguarda invece i termovalorizzatori, gli unici disponibili nella regione Lazio sono quelli di San Vittore e Colleferro – quest’ultimo avrebbe dovuto chiudere, ma proprio qualche settimana fa l’assessore regionale all’ambiente Mauro Buschini replicava così a quest’eventualità: “Non è realistico pensare di chiuderlo, mentre nel medio o lungo periodo – con l’incremento della raccolta differenziata – si potrà arrivare alla sua dismissione”. Anche qui nulla di fatto dunque.

Buona parte dei rifiuti romani va quindi fuori regione, a Pordenone, in Emilia Romagna, in Lombardia. E a questa contraddizione con le politiche europee, per cui i rifiuti devono essere trattati nel posto più vicino a dove vengono prodotti, Muraro rispondeva: “Mi hanno chiesto tante volte del nuovo sito di discarica, ma per arrivare a capire dove si può fare un nuovo sito, devo avere la volumetria”.

Il punto su cui ha insistito molto l’assessora in varie sue esternazioni, e anche con Internazionale, è che “c’è una buona parte di rifiuti che può essere ricollocata in un altro modo. La ricerca ha fatto passi in avanti, quindi non è detto che quello che rimane deve andare in discarica. Ci sono delle ricerche ormai neanche più in fase sperimentale, per esempio dell’università di Modena, che si occupano di quello che resta alla fine di tutto il trattamento, che di fatto è la plastica sminuzzata e un po’ di organico. Questo residuo può essere comunque riconvertito, può essere inattivato, con processi a freddo. Avevo portato io negli uffici dell’Ama dei mattoncini composti di rifiuti. Esiste la possibilità di fare degli edifici con pareti fatte del residuo inattivo dei rifiuti”.

Se il futuro è meraviglioso, il presente però è molto complicato. E l’ottimismo dell’assessora non si scontra solo con i suoi guai giudiziari ma anche con le difficoltà quotidiane di una città che spende più del doppio di altre città come Milano e Vienna per trattare la sua spazzatura.

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Anche sulla raccolta differenziata Muraro sembrava molto fiduciosa, dicevamo.

Riteneva che nel giro di un anno si sarebbe potuti arrivare al 50 per cento di raccolta differenziata. Oggi siamo al 41,2 e nell’ultimo anno, nonostante le buone intenzioni di questa amministrazione e di quella precedente, non c’è una tendenza ad aumentare – anzi, in alcuni mesi della prima parte dell’anno forse si era al 43 e poi si è scesi. Il metodo per incrementare la raccolta differenziata è, nella strategia di questa giunta (insieme Muraro, Raggi e dirigenza Ama), quello di investire molto sulle utenze non domestiche, ossia quelle commerciali: cominciare ora con un campione significativo, arrivare entro un anno e mezzo a coprirle tutte.

Ma perché allora a Roma pare non funzionare la raccolta differenziata? Per Muraro è soprattutto questione di educazione dei cittadini e di responsabilizzazione dei lavoratori dell’Ama.

Nella conferenza stampa in cui veniva presentata la nuova presidentessa di Ama, Antonella Giglio, Muraro sottolineava di voler rivedere profondamente il contratto di servizio con l’azienda municipalizzata. E questa revisione avrebbe influenzato, nelle sue intenzioni, la percentuale di raccolta differenziata: “Dal 2012 al 2015 si sarebbe dovuti arrivare al 60 per cento. Dobbiamo concentrarci soprattutto sulle utenze non domestiche, che sono più di duecentomila, attualmente ne sono censite 150mila e quindi dobbiamo trovare le utenze fantasma. Come facciamo? Noi puntiamo molto sugli operatori dell’Ama, abbiamo chiesto a loro stessi di chiarire quali sono le criticità. Mi viene in mente la zona di Trastevere. Tutti vediamo, se andiamo a passeggiare lì, che ci sono dei cumuli”.

L’idea di un assessore che verifica sul campo come funziona la raccolta si è sviluppata nella serie di video un po’ grotteschi che immortalavano i blitz che nelle ultime settimane la sindaca e l’assessora hanno fatto per le strade di Roma, intitolati #spazzatour. Frugavano nelle bustone lasciate vicino ai cassonetti, trovavano materiale non conforme, allertavano il responsabile di zona.

In questi sei mesi questa solerzia però non ha convinto per nulla Natale Di Cola, sindacalista Cgil che da anni segue la vicenda dei rifiuti a Roma, per diversi motivi: “Prima di tutto è molto complicato aumentare la raccolta differenziata. Mettiamo che implemento la raccolta in un municipio: l’effetto novità fa crescere il dato, nel medio periodo la gente si disaffeziona. E dal punto di vista dell’efficienza esistono dei margini di miglioramento, ma sono piccoli: puoi intervenire sull’assenteismo, sui controlli, sulla logistica. Arrivare anche al 50 per cento è, con questi parametri, impossibile. I mezzi diminuiscono, il personale va in pensione, l’azienda è allo sbando…”.

Secondo la Cgil il modo in cui viene gestito l’aumento della differenziata è un semplice cambio di mansione dei dipendenti Ama. Tenendo conto che ogni anno all’Ama vanno in pensione tra le tre e le quattrocento persone, e con le assunzioni – a causa del blocco nella pubblica amministrazione – non tutti questi posti possono essere realmente coperti, rendere più efficiente l’azienda vuol dire al massimo mantenere e non migliorare. Di Cola la mette giù chiara: “Io dico: fra dieci anni, e con amministratori capaci, puoi arrivare a un 30 per cento in più. Ma tra dieci anni”.

Le questioni che rimangono sul tavolo quindi sono l’impossibilità di esternalizzare e il blocco del turn over da una parte; dall’altra parte l’arretratezza della logistica e dei mezzi e la mancanza di una progettazione diversificata a seconda della conformazione del municipio (raccogliere al centro storico non è la stessa cosa che raccogliere in una strada di campagna). Ma l’interrogativo principale è: come si pensa di aumentare la raccolta differenziata se gli addetti non possono essere aumentati e considerando soprattutto che la raccolta porta porta (rispetto ai cassonetti) chiede quasi un raddoppiamento di personale?

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Questo è il vero nodo che deve sciogliere la giunta Raggi, avendo presente che – come lei stessa ammette – i fondi di cui può disporre sono in calo.

La nuova amministratrice delegata dell’Ama, Antonella Giglio, e Stefano Bina, il direttore generale di Ama (pro tempore fino a dicembre, anche se si è dichiarato disponibile a proseguire l’incarico l’anno prossimo), nei momenti pubblici segnalano anche loro che le carenze sono di sistema e si sono dichiarati finora fedeli alla linea Muraro-Raggi di un’azienda pubblica ipercontrollata dal comune.

Un’Ama poco autonoma; questo tipo di interventismo di Muraro sottende secondo i suoi stessi propositi una cultura politica molto orientata al pubblico: “Il mio sogno sarebbe un’azienda partecipata dai suoi stessi dipendenti. Ogni volta che vado in giro mi viene chiesto chi è il responsabile di una certa parte di città. I nomi dei capi area di Ama vanno messi online”.

Decisionismo e rapporto diretto con i cittadini: da un certo punto di vista Muraro è più a cinquestelle dei cinquestelle: “Abbiamo cercato come assessorato di intervenire direttamente rispetto alle segnalazioni dei cittadini. Siamo in comunicazione sempre con le persone operative di Ama, che devono intervenire e mandarmi subito la dimostrazione dell’intervento che hanno fatto: abbiamo un canale whatsapp dove mi mandano la foto del luogo dove sono intervenuti”.

Ma questo tipo di approccio viene osteggiato da molti in Ama, perché considerato una forma d’invadenza (“non l’hanno presa bene”, dice Muraro, “perché vengono esautorati”), ritenuto dall’assessore precedente Estella Marino una forzatura molto pericolosa, e dai sindacati in Ama addirittura “un procedere contro la normativa”. E anche le stesse indagini sembrano puntare il dito contro questa disinvoltura nella gestione di un’azienda pubblica.

Quando Natale di Cola mi dice che ha comunicato agli operai che “quando Muraro va a fare i suoi blitz negli impianti non la devono fare entrare; il suo compito è puramente quello di controllare il contratto di servizio”, quando mi fa notare come sia grave che l’assessora pensi di intervenire nelle nomine dei dirigenti, viene facile capire che abbiamo a che fare non solo con dei possibili reati, ma con due pratiche differenti, e soprattutto con due visioni politiche opposte.

“Le giunte precedenti avevano fatto poco nei fatti perché erano interessate alla comunicazione politica”, è la frase con cui mi ha presentato Muraro il suo ruolo in giunta.

“La retorica dei cinquestelle è tutta antipolitica, ma se sei tu l’assessora allora in quel ruolo sei tu la politica”, è quello che mi dice un lavoratore di Ama. Ed è chiaro che la questione è tutta qui.

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