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Floridi

Un cartellone per chiedere la libertà per Patrick Zaki in piazza Maggiore, Bologna, 27 maggio 2020. (Massimo Paolone, Agf)

L’8 febbraio per Patrick George Zaki comincia il secondo anno di detenzione. È stato fermato il 7 febbraio 2020 appena arrivato all’aeroporto del Cairo. Frequentava un master in studi di genere all’università di Bologna e tornava in Egitto per far visita alla famiglia.

Secondo la ricostruzione di Amnesty international, è stato interrogato per 17 ore, bendato, ammanettato, poi picchiato e torturato con scosse elettriche. Ed è finito nel limbo della detenzione preventiva, in cui si trovano trentamila egiziani e che è la misura punitiva più usata dalle autorità contro quelli che sono considerati oppositori politici.

La legge consente ai giudici di confermare la detenzione per periodi di 45 giorni fino a due anni senza processo. Le accuse a Zaki sono pretestuose e basate su dieci post pubblicati su Facebook da un account che i difensori del ricercatore considerano falso. La vera ragione è l’intimidazione.

In Egitto ci sono sessantamila persone che Human rights watch definisce prigionieri politici. Tra loro attivisti, avvocati, intellettuali e militanti islamisti. Oltre a tanti cittadini comuni, spesso ragazze accusate di immoralità per i video pubblicati sui social network.

Ma quella di Patrick Zaki è una storia anche italiana, non solo egiziana. Perché studia a Bologna e perché la sua vicenda ricorda quella di Giulio Regeni, il ricercatore che il 25 gennaio 2016 fu sequestrato e ucciso al Cairo. Finora il governo italiano non si è mosso in nessun modo per Zaki.

Nel frattempo, però, con una piccola cerimonia non troppo pubblicizzata che si è svolta il 23 dicembrenei cantieri navali del Muggiano, a La Spezia, Fincantieri (azienda pubblica italiana) ha consegnato agli ufficiali della marina militare egiziana la prima di due navi militari acquistate dal Cairo per 1,2 miliardi di euro. A testimonianza dei floridi rapporti commerciali intrattenuti, senza nessun imbarazzo, dall’Italia con l’Egitto.

Questo articolo è uscito sul numero 1395 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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