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La manifestazione di Parigi per la libertà d’espressione

Secondo Le Monde più di un milione di persone ha manifestato a Parigi e due milioni nel resto del paese. Nella capitale decine di capi stato. Per il governo è stata la mobilitazione più grande nella storia della Francia

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A Parigi non è stato un giorno di gloria

Nonostante la grandissima quantità di persone che ho visto sfilare ieri per le strade di Parigi, nonostante per me – tra i valori oggi disponibili – quelli repubblicani della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità non siano affatto i peggiori, penso che ieri non sia stato un giorno di gloria.

La folla che ho visto nel cortège est della manifestazione, quello che ho percorso per un po’ con amici e bambini, mi è apparsa soprattutto silenziosa, certamente ammutolita dallo shock, probabilmente fiera della propria grandezza, ma anche cauta, prudente nello scandire slogan diversi dal “Je suis Charlie” sotto il quale era stata convocata.

Forse perché a quattordici anni dall’11 settembre trovarsi insieme a un milione e mezzo di persone più tristi e impaurite di prima, strette intorno a un simbolo che sembra andar bene per scopi così diversi tra loro (la difesa della laicità, la protezione dell’identità europea, l’esaltazione della libertà, la revisione del trattato di Schengen) può offrire un momento di conforto, ma non può contribuire ad alcun cambiamento rispetto alla situazione che si è creata.

E allora ho pensato che un modo alternativo per rendere omaggio a questi morti sia cercare di capire meglio, al di là di quello che sappiamo già, la storia dei terroristi e quella delle vittime. Qualche chiara indicazione sui primi la dà, come sempre, Olivier Roy, in questo articolo in cui spiega tra l’altro quanto il fondamentalismo oggi sia un prodotto della parte più esclusa della gioventù europea. Su cosa sia stato, fino al 7 gennaio, Charlie Hebdo cominciano a essere disponibili molti materiali, anche se il testimone più autorevole (e spiazzante) è Luz, uno dei superstiti della redazione, che in questa intervista racconta la sua difficoltà di ritrovarsi a essere un simbolo dopo anni passati a cercare di colpire con la matita obiettivi limitati, contingenti e precisi.

Leggendoli, viene da pensare che, tra i tanti conflitti che il 7 gennaio ha illuminato di una luce nuova, c’è anche quello antico tra chi, di fronte a qualcuno che porta una bandiera (così come un altro segno di appartenenza), si concentra su quella bandiera e chi invece prova a capire chi la brandisce e perché.

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