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Mettere in sicurezza l’Italia costerebbe meno che ricostruirla

Una strada distrutta dal terremoto ad Amatrice, in provincia di Rieti, il 25 agosto 2016. (Filippo Monteforte, Afp)

In Italia i sismografi registrano ogni anno migliaia di terremoti. Di questi, fortunatamente, solo alcuni hanno conseguenze catastrofiche come quello che ha colpito l’Italia centrale il 24 agosto. I terremoti più devastanti hanno un costo umano ed economico molto elevato. Una stima approssimativa delle vittime dei terremoti in Italia degli ultimi cinquant’anni, da quello dell’Irpinia del 1980 fino a quello dell’Italia centrale di pochi giorni fa, mostra un costo umano di migliaia di morti e feriti e centinaia di migliaia di sfollati.

Più difficili da calcolare sono i costi economici dei terremoti. Secondo le stime del rapporto Costi dei terremoti in Italia del Centro studi del consiglio nazionale degli ingegneri, considerando i fondi stanziati dallo stato per la ricostruzione postsismica, negli ultimi cinquanta anni si supera la cifra di 121 miliardi. Secondo Mauro Grassi, coordinatore della task force per gli interventi antidissesto idrogeologico della presidenza del consiglio, a causa dei danni provocati da eventi calamitosi “in Italia si paga una tassa di almeno 5 miliardi all’anno”. Solo per il sisma dell’Irpinia sono stati stanziati 52 miliardi di euro, che saranno erogati fino al 2023. E questi costi non considerano i danni indotti, cioè tutto ciò che non può essere ricostruito immediatamente (come, per esempio, il tessuto sociale ed economico di un paese o i danni irreversibili al patrimonio artistico).

Dall’altro lato è interessante osservare quanto poco lo stato italiano abbia investito finora in prevenzione. In seguito al terremoto in Abruzzo del 2009 è stato istituito un Fondo per la prevenzione del rischio sismico. Ma la cifra stanziata è misera: meno di un miliardo di euro da erogare in sette anni per una serie di interventi.

Per mettere in sicurezza le abitazioni private in Italia, secondo le stime del consiglio nazionale degli ingegneri su dati Istat, Cresme e protezione civile, ci vorrebbero 93 miliardi di euro. Altre stime, come quella dell’associazione degli ingegneri e degli architetti Oice, quantificano la spesa per l’adeguamento degli edifici a elevato rischio sismico a 36 miliardi di euro. Molto più di quanto messo a disposizione dal Fondo per la prevenzione del rischio sismico, ma meno rispetto a quanto è costata la ricostruzione postsismica degli ultimi cinquant’anni. In altre parole, nel lungo periodo prevenire il rischio sismico costa molto meno che ricostruire.

“Se lo stato italiano stanziasse una quota annua di circa 2,4 miliardi di euro si potrebbero programmare interventi che nel giro di pochi anni consentirebbero di mettere in sicurezza tutto il territorio nazionale”, spiegava Luigi Ronsivalle, presidente del Centro studi del consiglio nazionale degli ingegneri, un anno dopo il terremoto in Emilia-Romagna.

Come sottolinea il primo rapporto Ance/Cresme (Associazione nazionale costruttori edili/Centro ricerche economiche, sociologiche e di mercato) in Italia più del 60 per cento degli edifici è stato costruito prima del 1974, prima cioè che entrasse in vigore la normativa antisismica per le nuove costruzioni. Circa il 44 per cento della superficie nazionale si trova in aree a elevato rischio sismico.

Secondo l’Ance, in queste aree vivono circa 21,8 milioni di persone, per un totale di 8,6 milioni di famiglie e circa 5,5 milioni di edifici tra residenziali e non residenziali. Nel lungo periodo, la prevenzione sarebbe economicamente sostenibile, e soprattutto aiuterebbe a salvare la vita di migliaia di persone.

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