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Il falso problema dell’inflazione

New York, 16 giugno 2021. (Gary Hershorn, Getty Images)

Un leggero aumento del tasso d’inflazione negli Stati Uniti e in Europa ha scatenato le ansie dei mercati finanziari. Il timore è che il presidente statunitense Joe Biden abbia surriscaldato l’economia con il pacchetto di salvataggio da 1.900 miliardi di dollari e una serie di piani di spesa aggiuntivi per infrastrutture, posti di lavoro e sostegno alle famiglie. Queste preoccupazioni sono premature, considerando la fase d’incertezza che stiamo attraversando. Non abbiamo mai affrontato una recessione indotta da una pandemia e caratterizzata da un declino sproporzionato del settore dei servizi, da un aumento della disuguaglianza e da un’impennata del tasso di risparmio. Non si sa nemmeno se o quando il covid-19 sarà arginato a livello globale. Mentre valutiamo i rischi, dobbiamo prepararci per ogni evenienza.

L’amministrazione Biden ha correttamente valutato che fare troppo poco è più rischioso che fare troppo. Inoltre gran parte dell’attuale pressione inflazionistica deriva da strozzature a breve termine dal lato dell’offerta, che sono inevitabili quando si rimette in moto un’economia. Non ci manca la capacità globale di costruire automobili o microchip; il punto è che quando tutte le auto nuove usano microchip e la domanda di auto ristagna a causa dell’incertezza, la produzione di microchip viene ridotta. Più in generale, coordinare tutti gli input di produzione in un’economia globale complessa è un compito difficile, che tendiamo a dare per scontato.

Ora che il normale funzionamento è stato interrotto, ci saranno dei colli di bottiglia che si tradurranno nell’aumento dei prezzi di alcuni prodotti. Ma questi movimenti non alimenteranno le aspettative di un rialzo dei prezzi generando una spinta inflazionistica, soprattutto visto l’eccesso di capacità complessiva a livello mondiale. Negli Stati Uniti, un paese caratterizzato da disuguaglianze profonde che la pandemia ha messo a nudo, un mercato del lavoro rigido è proprio quello che ci vuole. Quando la domanda di lavoro è forte, i salari più bassi aumentano e i gruppi emarginati entrano nel mercato. Naturalmente, quanto esattamente sia rigido il mercato del lavoro statunitense è oggetto di dibattito, viste le denunce di carenza di manodopera nonostante l’occupazione sia ancora nettamente sotto i livelli di prima della crisi.

Garantire la salute dell’economia richiede più investimenti pubblici, che dovranno essere finanziati. Servono una tassazione più progressiva e più tasse ambientali

Anziché farci prendere dal panico per l’inflazione, dovremmo preoccuparci di cosa succederà alla domanda aggregata quando finiranno le agevolazioni fiscali straordinarie. Molte persone povere hanno accumulato debiti: in alcuni casi, più di un anno di affitti arretrati a causa del blocco provvisorio degli sfratti. È improbabile che la riduzione della spesa delle famiglie indebitate sia compensata da quelle più ricche, che durante la pandemia hanno accumulato risparmi. Dato che la spesa per i beni di consumo durevoli è rimasta alta negli ultimi 16 mesi, è probabile che i ricchi impiegheranno questo risparmio come impiegherebbero qualsiasi altro guadagno inatteso: investendolo o spendendolo nel corso degli anni. In mancanza di nuova spesa pubblica, l’economia rischia di soffrire di nuovo di una domanda aggregata insufficiente.

Inoltre, anche se le pressioni inflazionistiche dovessero diventare davvero preoccupanti, ci sono diversi strumenti per raffreddare la domanda (e il loro utilizzo rafforzerebbe le prospettive a lungo termine dell’economia).

Anzitutto c’è la politica dei tassi d’interesse della Federal reserve, la banca centrale statunitense. L’ultimo decennio con tassi d’interesse vicini allo zero non è stato sano. Tornare a tassi d’interesse normali sarebbe una buona cosa, anche se i ricchi, i principali beneficiari di questa era, non sarebbero d’accordo. Alcuni commentatori temono che la banca centrale non interverrà quando sarà necessario. Io penso invece che le dichiarazioni della Fed colgano nel segno e spero che la sua posizione cambierà se e quando cambieranno i dati. L’istinto di combattere l’inflazione fa parte del dna dei banchieri centrali. Se ora non la considerano il problema principale, non dovremmo farlo nemmeno noi.

Il secondo strumento è l’aumento delle tasse. Garantire la salute dell’economia richiede molti più investimenti pubblici, che dovranno essere finanziati. Il rapporto tra tasse e pil degli Stati Uniti è troppo basso, soprattutto alla luce delle disuguaglianze. C’è bisogno di una tassazione più progressiva e di più tasse ambientali per far fronte alla crisi climatica. Ma è comprensibile che il governo esiti a introdurre nuove imposte, viste le condizioni economiche precarie.

L’attuale dibattito sull’inflazione va preso per quello che è: fumo negli occhi creato da chi vuole ostacolare il tentativo dell’amministrazione Biden di affrontare alcuni problemi fondamentali degli Stati Uniti. Per riuscirci serve più spesa pubblica. Il paese finalmente ha la fortuna di avere una leadership che non è disposta a cedere agli allarmismi.

(Traduzione di Fabrizio Saulini)

Questo articolo è uscito sul numero 1413 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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