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Gli Stati Uniti sbagliano ad allontanarsi dalla Cina

Studenti universitari durante la cerimonia per le lauree a Pechino, Cina, 30 giugno 2020. (Kevin Frayer, Getty Images)

Il concetto di decoupling (disaccoppiamento) è al cuore della sfida geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Concepita e promossa dai falchi dell’amministrazione Trump, questa strategia è diventata oggi il principale strumento di Washington per indebolire la potenza cinese. Il primo atto di disaccoppiamento, cioè la guerra commerciale cominciata nel 2018, ha ridotto gli scambi bilaterali. Un processo simile è in corso nel settore tecnologico, con gli Stati Uniti che portano avanti una campagna senza sosta contro giganti cinesi come la Huawei e la ByteDance (proprietaria di TikTok). Ora è cominciato anche il disaccoppiamento finanziario.

Anche se resta da capire se queste misure danneggeranno Pechino, la logica di fondo sembra convincente: visto che la Cina beneficia dei suoi legami economici con gli Stati Uniti, interromperli non potrà che indebolire la sua crescita.
Sfortunatamente i falchi statunitensi non si fermano qui e vogliono anche tagliare i legami culturali con Pechino, a giudicare dalle loro ultime mosse. All’inizio dell’anno la pressione dei deputati repubblicani ha spinto il Peace Corps, un’organizzazione di volontariato che dal 1993 ha inviato più di 1.300 cittadini statunitensi in Cina, a interrompere il programma nel paese. E a luglio Trump ha sospeso il progetto di scambio Fulbright in Cina e a Hong Kong, nel quadro delle sanzioni imposte da Washington dopo la repressione di Pechino nell’ex colonia britannica. Seguendo la stessa logica, a maggio due senatori repubblicani hanno presentato una proposta di legge per vietare ai cittadini cinesi di andare negli Stati Uniti per seguire corsi o master nelle cosiddette materie stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). E il 13 agosto il dipartimento di stato ha stabilito che la sede statunitense dell’Istituto Confucio, un’organizzazione finanziata dal governo cinese che offre programmi linguistici, è una “missione straniera”, il che sicuramente porterà alla fine delle sue attività in territorio statunitense.

Il settore che ha subìto il disaccoppiamento più rapido è stato il giornalismo. Dopo che all’inizio di febbraio il Wall Street Journal ha pubblicato un editoriale con un titolo che definiva la Cina “il vero malato d’Asia”, il governo cinese ha espulso tre giornalisti della testata. Gli Stati Uniti si sono vendicati a inizio marzo, obbligando sessanta persone che lavoravano per mezzi d’informazione cinesi negli Stati Uniti a lasciare il paese. La Cina ha poi espulso tutti i cittadini statunitensi che lavoravano per il New York Times, il Wall Street Journal e il Washington Post.

Strategia pericolosa
Tagliare i legami culturali ed educativi tra Stati Uniti e Cina è poco saggio e controproducente per Washington. Invece di perseguire obiettivi a lungo termine e di promuovere i propri valori, Trump sta facendo il gioco del governo cinese, che considera quei legami uno strumento dell’infiltrazione ideologica statunitense. Attraverso programmi di scambio governativi come il Peace Corps o le borse Fulbright, gli statunitensi insegnano l’inglese, la storia e la letteratura del loro paese e le scienze sociali occidentali, spesso in aree sperdute della Cina poco in contatto con il mondo esterno. Queste attività aiutano i cittadini cinesi ad avere una comprensione più precisa degli Stati Uniti, e contribuiscono a neutralizzare la propaganda del Partito comunista. Eliminare questi programmi equivale a un disarmo ideologico unilaterale da parte di Washington.

Alcune rappresaglie della Casa Bianca contro le prepotenze cinesi sono ragionevoli. Ma l’espulsione di sessanta giornalisti cinesi dagli Stati Uniti ha dato al governo di Pechino il pretesto per fare una cosa che voleva fare da tempo: cacciare i migliori giornalisti statunitensi. Questo danneggerà gli Stati Uniti più della Cina. Mentre i giornalisti delle testate cinesi negli Stati Uniti non scrivono articoli che possano istruire i cittadini del loro paese, quelli statunitensi in Cina – nonostante le intimidazioni del governo di Pechino – offrono informazioni di valore inestimabile. La rinuncia a questi canali minerà la capacità del governo statunitense di osservare le importanti trasformazioni in corso nel paese asiatico.

Impedire ai cinesi di studiare le materie stem negli Stati Uniti, infine, priverà il paese di grandi talenti in questi campi e aiuterà la Cina a progredire. Gli studenti cinesi più dotati andranno in altri paesi sviluppati. E molti di loro poi torneranno a casa, dal momento che le opportunità di lavoro legate alle materie stem fuori dagli Stati Uniti sono meno numerose. La Cina trarrà beneficio da questa fuga di cervelli al contrario, mentre gli Stati Uniti dovranno rinunciare al contributo di migliaia d’ingegneri e scienziati.

Le relazioni tra Stati Uniti e Cina sono sull’orlo del collasso. Il disaccoppiamento economico è già una realtà, e quello culturale – una prospettiva impensabile fino a poco tempo fa – potrebbe esserlo presto. Sarebbe una tragedia. E i veri sconfitti sarebbero gli Stati Uniti.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1373 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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