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L’autolesionismo economico di Pechino

Una fabbrica tessile a Korla, nella provincia cinese dello Xinjiang, febbraio 2021. (Que Hure, Vcg/Getty Images)

All’inizio di marzo il congresso nazionale del popolo, il parlamento cinese, ha approvato il quattordicesimo piano quinquennale. Questa strategia avrebbe dovuto dimostrare che la Cina ha una visione economica a lungo termine e che questa le permetterà di prosperare nonostante la sfida geopolitica con gli Stati Uniti. Ma da subito Pechino ha cominciato a minare le sue possibilità di successo.

Il cuore del quattordicesimo piano quinquennale è la strategia della “doppia circolazione”, in base alla quale Pechino cercherà di rafforzare la crescita puntando sulla domanda interna e sull’autosufficienza tecnologica. Questo renderà il paese meno dipendente dalla domanda estera e i suoi principali partner commerciali – tranne gli Stati Uniti – più dipendenti dal mercato e dalle sue aziende sempre più tecnologiche. La Cina stava lavorando al piano da un po’. Alla fine del 2020 il presidente Xi Jinping aveva concluso con l’Unione europea un accordo generale sugli investimenti. Xi aveva fatto alcune concessioni, ma ne valeva la pena: l’accordo avrebbe potuto non solo rafforzare i legami tra Cina e Unione europea, ma anche seminare zizzania tra Europa e Stati Uniti. Ora però lo stesso Xi sta vanificando il lavoro fatto.

Nelle ultime settimane la Cina ha inserito nella sua lista nera vari rappresentanti del parlamento europeo e deputati canadesi e britannici, oltre ad accademici ed enti di ricerca in Europa e nel Regno Unito. Le sanzioni sono una rappresaglia: Unione europea, Regno Unito e Canada hanno sanzionato un numero ridotto di funzionari cinesi coinvolti nelle violazioni dei diritti umani contro la minoranza uigura e in gran parte musulmana dello Xinjiang.

La Cina può ancora fare marcia indietro. Potrebbe permettere un’indagine sul lavoro nei campi di cotone nello Xinjiang

Qualunque sia il messaggio che le sanzioni dovrebbero inviare, è improbabile che valgano il prezzo che Pechino dovrà pagare. Finora Canada, Europa e Regno Unito sono stati abbastanza neutrali nella rivalità sinostatunitense ed è nell’interesse di Pechino che lo restino. La Cina può permettersi un allontanamento economico dagli Stati Uniti, ma non dalle altre principali economie occidentali. L’accordo con Bruxelles deve ancora essere approvato dal parlamento europeo. Ma, come segno di protesta contro le misure cinesi, il parlamento ha cancellato una seduta in cui sarebbe stato discusso. E alcuni deputati sostengono che prima la Cina dovrebbe ratificare le convenzioni sul lavoro forzato dell’Organizzazione mondiale del lavoro.

La Cina inoltre sta attaccando alcune grandi aziende preoccupate per le accuse di impiego del lavoro forzato nel paese asiatico, minando ancora di più le sue prospettive economiche. Nel 2020 l’azienda d’abbigliamento svedese H&M ha annunciato che non avrebbe più usato cotone prodotto nello Xinjiang, perché è difficile verificare le condizioni di produzione. Con l’infiammarsi delle discussioni sul cotone dello Xinjiang, le dichiarazioni della H&M sono tornate d’attualità. Le principali piattaforme cinesi di commercio online hanno ritirato i prodotti della H&M. Inoltre sta prendendo forza un movimento che chiede di boicottare l’azienda svedese e altri marchi occidentali che rifiutano il cotone dello Xinjiang, come Nike, New Balance e Burberry.

La Cina crede che la sua tattica intimidatoria avrà successo, ma potrebbe sopravvalutarsi. Proprio come le multinazionali occidentali vogliono vendere le loro merci ai consumatori cinesi, le aziende cinesi hanno bisogno che queste multinazionali continuino a rifornirsi da loro. Inoltre, se è vero che le dimensioni del mercato cinese sono tanto allettanti da spingere le multinazionali a fare delle concessioni, non vale la pena di distruggere la reputazione delle aziende cinesi in occidente, dove fanno la maggior parte dei loro profitti. I due principali mercati della H&M sono gli Stati Uniti e la Germania. La Cina è il terzo mercato, ma nel 2020 ha rappresentato solo il 5 per cento del giro d’affari totale. La H&M può permettersi di perdere il suo accesso al mercato cinese, ma i suoi 621 fornitori cinesi potrebbero non essere in grado di rinunciare a un cliente come la H&M. Un esodo di multinazionali occidentali dalla Cina obbligherebbe le filiere della produzione e della distribuzione a trasferirsi, portando alla perdita di milioni di posti di lavoro.

La Cina può ancora fare marcia indietro. Per cominciare, potrebbe permettere a un gruppo di esperti indipendenti di fare un’indagine sui campi di cotone nello Xinjiang. Se non ricorre al lavoro forzato, è il modo migliore di dimostrarlo. E potrebbe migliorare le relazioni con le aziende e i governi occidentali. Una iniziativa simile, però, è improbabile: Pechino resta convinta che il mercato cinese sia troppo importante per gli occidentali per essere abbandonato. Ma dovrebbe ricordarsi che, non molto tempo fa, era sicura che gli Stati Uniti non potessero fare a meno della Cina, e aveva torto. Oggi neanche la Cina può fare a meno dell’occidente.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito sul numero 1405 di Internazionale. Compra questo numero | Abbonati

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