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Avere rimpianti è inevitabile e va bene così

Hannes Eichinger, EyeEm/Getty Images

Non è il primo libro che verrebbe in mente di consigliare a qualcuno che si trova davanti a una scelta importante: se sposarsi, divorziare, avere figli, cambiare lavoro o altre cose del genere.

Ma all’inizio di un lavoro spesso impenetrabile di Henri Bergson come il Saggio sui dati immediati della coscienza, pubblicato nel 1889, il baffuto filosofo francese fa scoppiare con nonchalance una vera e propria bomba, dando il consiglio più liberatorio che io abbia mai sentito su come prendere decisioni.

“Ciò che fa della speranza un piacere così intenso”, scrive, “è che l’avvenire, di cui disponiamo a nostro piacere, ci appare nello stesso tempo in una moltitudine di forme, tutte sorridenti, tutte possibili”. In altre parole: uno dei motivi per cui è divertente fantasticare sul futuro è che ci permette di pensare a tutte le cose meravigliose che potremmo fare senza doverne scegliere nessuna. Prendere una decisione, invece, è straziante, non solo perché potremmo sbagliare, ma perché ci costringe a sacrificare tutti i possibili futuri tranne uno. “E se pure la più desiderata tra tutte si realizza, le altre andranno sacrificate e noi avremo perso molto”.

La vita è una sola
Una volta che qualcuno ce l’ha detto, probabilmente ci sembra ovvio. Ma mentre metabolizzavo il concetto sentivo che i miei neuroni si stavano riconfigurando. Anche se prendessimo sempre decisioni perfette, ci sta dicendo Bergson, la nostra vita sarebbe sempre un patetico fallimento rispetto a come abbiamo sognato che sarebbe potuta essere: i sogni sono “pregni di infinite possibilità”, mentre la vita è una sola.

Perciò potete smettere di tormentarvi al pensiero che forse un giorno vi pentirete di una certa scelta, perché sarà sicuramente così (a meno che non siate il tipo di persona che non ha mai rimpianti, nel qual caso non succederà). In un modo o nell’altro, cercare di evitare i rimpianti è inutile, voler sempre fare la cosa giusta significa non fare quasi mai nulla. Questo mi dà un inesprimibile sollievo.

La nostalgia per la gioventù perduta comporta anche un altro equivoco: non vorremmo davvero tornare a essere quello che eravamo

Kieran Setiya, un filosofo sulla quarantina, sonda di nuovo questo tema in un libro di recente pubblicazione intitolato Midlife. A philosophical guide. Noi persone-non-più-giovani, osserva, tendiamo a idealizzare i primi decenni della nostra vita, quando le possibilità ci sembravano illimitate.

Ma è un errore farlo, perché anche allora le nostre possibilità erano decisamente limitate, e quasi tutti i nostri sogni erano destinati al fallimento, solo che non sapevamo quali. “Non è che ci sia stato un tempo in cui potevamo avere tutto, ma c’è stato un tempo in cui non avevamo ancora fatto scelte e dovuto affrontare sconfitte”.

Consolazione
La nostalgia per la gioventù perduta comporta anche un altro equivoco: non vorremmo veramente tornare a essere quello che eravamo. Vorremmo essere come siamo adesso, più saggi, più equilibrati, e tornare indietro nel tempo. Ci diciamo che se potessimo tornare indietro prenderemmo decisioni migliori, ma sono proprio quelle che abbiamo preso ad aver fatto di noi una persona capace di prendere decisioni migliori.

È un messaggio consolante per tutti. Se avete raggiunto la mezza età, potete stare sicuri che non vi piacerebbe essere di nuovo giovani. Se siete giovani, smettete di preoccuparvi di avere rimpianti in futuro, perché anche le scelte migliori implicano una qualche perdita. E se siete vecchi? Siate felici che tutte quelle decisioni che vi mandavano nel panico appartengano ormai al passato. O, come dice il poeta Stanley Kunitz: “La vecchiaia è più facile della giovinezza, perché impone molte meno scelte”.

Da vedere
I consigli filosofici per la crisi di mezza età di Kieran Setiya.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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