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Il perfezionismo che ci rovina la vita

Edwin Remsberg, Getty Images

Secondo una serie di studi pubblicati di recente, il perfezionismo è in aumento, soprattutto tra i giovani. Questa è una pessima notizia, perché il perfezionismo è collegato all’ansia, alla depressione e a molti altri problemi, ma l’aspetto positivo è che finalmente non se ne parla più come se fosse qualcosa di cui andare fieri.

Per quelli che crescono in quest’epoca del “chi vince prende tutto”, nella quale un indiscutibile successo sembra essere l’unica alternativa all’indigenza, il perfezionismo è un difetto assolutamente perdonabile. Ma resta comunque un difetto. Quelli che ancora lo difendono sembrano interpretarlo come un “continuo impegno a migliorarsi”, ma in realtà è una cosa molto diversa, perché implica la convinzione che tutto quello che non è il meglio è un vergognoso fallimento. È la ricetta ideale per essere sempre insoddisfatti dei propri risultati, o peggio ancora, come sostengono alcuni studi, un vero e proprio ostacolo al successo.

Il modo più comune di combattere il perfezionismo, che si basa sullo stoicismo e sulla terapia cognitivo-comportamentale, è aiutare chi ne soffre a capire che i suoi timori sono eccessivi, che se non riesce a superare un esame, se qualcuno critica il suo lavoro o la sua casa è in disordine non è una tragedia (questa è la logica alla base del saggio consiglio della psicologa Jessica Pryor: scegli un aspetto della tua vita non eccessivamente importante, come l’ordine in casa, e prova a rinunciare al perfezionismo in quel campo. Poi potrai estendere l’esperimento ad altri aspetti della tua vita).

Il perfezionista è costantemente angosciato per il futuro, perché per quanto bene superi una prova, ce n’è sempre un’altra di cui preoccuparsi. Perciò è giusto aiutarlo a capire che, quando arriverà la prossima sfida, anche se non raggiungerà la perfezione non sarà una catastrofe.

Un antidoto ottimo al perfezionismo sarebbe rendersi conto che è già troppo tardi

Il problema, però, è che resta comunque una prospettiva orientata verso il futuro. Certo, ci aiuta a preoccuparci di meno di quello che succederà se la prossima settimana, o l’anno prossimo, non raggiungeremo gli standard altissimi che ci siamo prefissi. Ma consente alla subdola mente del perfezionista, lo so per esperienza, di continuare segretamente a sperare che quando arriverà quel momento, farà tutto in modo perfetto. E quindi, probabilmente, un antidoto migliore al perfezionismo sarebbe rendersi conto che è già troppo tardi.

Non è che il nostro tentativo di vivere nella perfezione potrebbe fallire, ma è già fallito, la perfezione è già una causa persa. Fin dalla prima infanzia non abbiamo raggiunto innumerevoli competenze, coltivato innumerevoli amicizie, raggiunto innumerevoli obiettivi, se non altro perché la nostra capacità di attenzione non è infinita, e quindi concentrarsi su qualsiasi cosa significa non concentrarsi su quasi tutto il resto.

Un certo numero di risultati “perfetti” è ancora raggiungibile – per esempio, ottenere il massimo dei voti a un esame – ma solo accettando di essere imperfetti in altri campi. E nella maggior parte dei casi (dalla programmazione di una vacanza all’acquisto di un vestito nuovo, dal matrimonio all’educazione dei figli), ottenere un risultato perfetto è impossibile già in partenza: le variabili in conflitto tra loro sono troppe per sperare di scegliere tutte quelle giuste.

Il fatto che di conseguenza la vita non può che essere un fallimento vale assolutamente per tutti, quindi è insensato considerarla un “fallimento”. Se nessuno riesce a raggiungere l’obiettivo, chiaramente il problema è l’obiettivo.

Ah, un’altra cosa a proposito della possibilità di raggiungere la perfezione in futuro: se avete più di vent’anni, il vostro corpo e la vostra mente probabilmente sono già in declino. Quindi rassegnatevi.

Consigli di lettura
Se il mondo ti crolla addosso di Russ Harris, si basa sull’Acceptance and commitment therapy (terapia dell’accettazione e dell’impegno, Act), che respinge l’idea dei teorici dell’autoaiuto secondo cui dobbiamo convincerci che va sempre tutto bene, perché spesso non è affatto così.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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