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La Francia deve cambiare la sua politica africana

Una manifestazione a Marsiglia, in Francia, contro la rielezione di Ali Bongo come presidente del Gabon, il 4 settembre 2016. (Anne-Christine Poujoulat, Afp)

Nel susseguirsi di dichiarazioni che stanno segnando la preparazione della campagna elettorale francese, spicca per ora quella di François Fillon. L’ex premier e candidato alle primarie dei Républicains (destra) ha dichiarato che “la colonizzazione è stata una condivisione di culture”.

Fillon è stato attaccato da molti africani sui social network e la sua dichiarazione sfortunatamente ha coinciso con gli eventi in Gabon, dove la rielezione di Ali Bongo, quasi sicuramente segnata da brogli, ha provocato scontri, repressioni, vittime e il rischio di disordini prolungati. Il fatto è che tutto quanto riguarda il Gabon riguarda anche la Francia, con cui questo paese dell’Africa centrale intrattiene rapporti incestuosi che hanno un grosso peso nella crisi attuale. Siamo ben lontani dalla “condivisione di culture”, e più vicini semmai al mondo degli agenti segreti, della corruzione e del malgoverno.

Nel 2009, quando Fillon era primo ministro, la Francia aveva subito accolto positivamente l’elezione di Bongo. Il nuovo presidente prendeva il posto di suo padre, Omar Bongo, morto dopo più di quarant’anni al potere. La fretta di Parigi aveva scatenato le proteste dell’opposizione, che denunciava irregolarità nelle elezioni. Sette anni dopo la situazione è opposta: la Francia si attira le critiche d’ingerenza per aver chiesto trasparenza nei risultati di un voto contestato. Sia in un caso sia nell’altro, la Francia è accusata di esercitare nell’ex colonia più potere di quanto ne abbia in realtà.

Una rete di potere e di denaro
Questa situazione è frutto del fallimento dei diversi governi: dal neocolonialismo messo in atto subito dopo l’indipendenza da Jacques Foccart – il “monsieur Afrique” che agiva nell’ombra per conto del generale De Gaulle – ai rapporti più paritari adottati in seguito.

Sotto Foccart, il Gabon era il centro di gravità di quella che più tardi sarebbe stata definita la Françafrique, una rete di potere e denaro destinata a preservare l’influenza francese sul continente (anche a costo di operazioni di destabilizzazione, come in Biafra, in Rhodesia, in Guinea, in Guinea Bissau, in Benin), ma anche a finanziare i partiti e gli interessi privati in Francia.

Il primo presidente socialista della quinta repubblica, François Mitterrand, eletto nel 1981, avrebbe potuto mettere fine a questo sistema ma rinunciò a farlo, mantenendo le relazioni paternalistiche ereditate dal gollismo. Del resto nel 1980 il previdente Omar Bongo aveva finanziato le campagne elettorali del presidente uscente Valéry Giscard d’Estaing, del gollista Jacques Chirac (il suo preferito) e dello stesso Mitterrand. Già nel 1983 il giornalista Pierre Péan raccontò di come un emissario di Bongo si era recato con una valigia piena di banconote nella sede parigina del Partito socialista.

La Francia ha voltato le spalle all’Africa quando hanno cominciato a interessarsene altre potenze

La Francia ha conservato la sua posizione dominante in Africa fino agli anni novanta, godendo di una rendita economica e strategica abbandonata solo dopo che la caduta del muro di Berlino ha spostato altrove la sua attenzione. Parigi non si è accorta dei cambiamenti in atto in Africa, dell’ascesa delle nuove generazioni e del progresso dell’urbanizzazione.

Nel 2007, con il suo disastroso discorso di Dakar, Nicolas Sarkozy disse agli africani che “non erano entrati nella storia”. Quel discorso goffo e ignorante, pronunciato poco dopo la sua elezione alla presidenza, scatenò un’ondata d’indignazione tra gli intellettuali francofoni. Tra questi l’ex ministra e attivista maliana Aminata Traoré, che pubblicò il pamphlet L’Afrique humiliée (L’Africa umiliata).

Spiccare il volo
Durante la presidenza di François Hollande la Francia è tornata nel continente con l’intervento militare in Mali nel 2013 e mantenendo relazioni ambigue con alcuni regimi autoritari, a Brazzaville e Libreville. Ma gli sforzi di Hollande non sono bastati a invertire la tendenza. In realtà è la Francia a essere “uscita dalla storia” dell’Africa. Le ha voltato le spalle proprio quando hanno cominciato a interessarsene altre potenze: la Cina, gli Stati Uniti, l’India e perfino il Giappone, che ha appena annunciato un piano di 27 miliardi di euro per rafforzare la sua presenza nel continente.

Forse per la Francia è arrivato il momento di abbandonare le sue chimere neocoloniali e trattare l’Africa per quel che è: un grande continente che cerca di spiccare il volo nel ventunesimo secolo.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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