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Le dieci condizioni necessarie per ricostruire la Siria

Aleppo, Siria, il 16 agosto 2018. (Sergei Grits, Ap/Ansa)

Anche se la guerra in Siria non è ancora finita, si è già aperto il dibattito sulla ricostruzione di un paese devastato da più di sette anni di guerra. Il costo di questo immenso cantiere è stimato – al ribasso – in circa 300 miliardi di euro, somma di cui non dispongono né il governo di Damasco né i suoi alleati militari, Russia e Iran.

Chi deve pagare? E a quali condizioni politiche? Queste domande, che non hanno una risposta semplice, condizionano il ritorno dei circa sei milioni di profughi siriani all’estero.

È in questo contesto che, nella giornata di martedì 25 settembre, è arrivato l’appello di una lunga lista di giuristi internazionali, che hanno voluto ricordare gli obblighi legali su cui dovrà basarsi il processo di ricostruzione. L’appello è rivolto al segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres, nel momento in cui si apre l’assemblea generale dell’Onu.

I giuristi pretendono prima di tutto il rispetto di alcuni princìpi di diritto, affinché il dopoguerra non diventi la prosecuzione della violenza sotto altre forme.

I siriani, fuggiti dalla guerra ma anche dalla brutalità del regime di Damasco, vorranno tornare a casa se non sarà cambiato niente?

I dieci princìpi elencati nella dichiarazione vorrebbero assicurare che i futuri finanziatori della ricostruzione diano delle garanzie serie prima di impegnarsi.

Per esempio, la garanzia che non ci sarà una pulizia etnica o religiosa, l’apertura di inchieste sulle persone scomparse e sulle violazioni dei diritti umani, l’attuazione di riforme radicali dei servizi di sicurezza e della giustizia, o ancora l’adozione di regole ferree contro la corruzione.

Da giuristi, i firmatari si tengono lontani dalle questioni politiche: il nome del presidente siriano Bashar al Assad non è mai citato e non si parla di un’eventuale transizione politica.

La questione dei soldi
Saranno ascoltati? Il loro obiettivo è prima di tutto quello di fissare una data e soprattutto di rivolgersi agli occidentali, invitati a mettere mano al portafogli.

Anche il presidente russo Vladimir Putin, quando ha incontrato la cancelliera tedesca Angela Merkel il mese scorso, ha chiesto agli europei di partecipare al finanziamento della ricostruzione della Siria. Putin, che ha permesso ad Assad di conservare il potere, sventola davanti agli occhi degli europei la possibilità di mettere fine all’esilio dei profughi siriani, fonte di disaccordo in tutto il continente.

Ma davvero possiamo pensare che i siriani, fuggiti dalla guerra ma anche dalla brutalità della repressione del regime di Damasco, vorranno tornare a casa se non sarà cambiato niente dopo sette anni di guerra e quasi mezzo milione di morti?

È la domanda sollevata dall’appello dei giuristi, che s’inserisce nel contesto della risoluzione 2254 del Consiglio di sicurezza dell’Onu, adottata a dicembre 2015 all’unanimità dai quindici componenti, Russia inclusa. La risoluzione raccomandava una transizione politica in Siria parallelamente alla fine dei combattimenti.

Non solo la risoluzione è restata lettera morta, ma il consenso del 2015 è scomparso da tempo e la realtà sul campo è tornata nettamente a vantaggio di Damasco.

L’appello dei giuristi ha dunque poche possibilità di essere ascoltato. Ma ha comunque il merito di esistere, di ricordare il diritto internazionale in un mondo che sta tornando a essere un’enorme giungla.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questa rubrica è uscita su France Inter.

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