×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

Bisogna unire le battaglie dei gilet gialli e quelle degli ambientalisti

La protesta dei gilet gialli a Parigi, il 1 dicembre 2018. (Stephane Mahe, Reuters/Contrasto)

A volte il calendario rivela le nostre contraddizioni. Il 2 dicembre, nella città polacca di Katowice, i rappresentanti di quasi duecento paesi hanno dato il via ai lavori della Cop24, la grande conferenza sul clima, prolungamento dell’Accordo di Parigi. Contemporaneamente, in Francia, le dimensioni assunte dalla protesta dei gilet gialli contro il caro benzina dimostrano fino a che punto la difesa dell’ambiente può entrare in conflitto con la vita quotidiana delle persone.

Durante le proteste, uno dei gilet gialli ha pronunciato una frase emblematica, ripresa anche dal presidente francese Emmanuel Macron: “Voi mi parlate della fine del mondo, io vi parlo della fine del mese”. Evidentemente dobbiamo aver commesso un errore, se una parte della popolazione mette in contrasto queste due temporalità, la fine del mondo e la fine del mese.

La politica con la “P” maiuscola è degna di questo nome solo se prepara alle sfide a lungo termine occupandosi nel frattempo dei problemi imminenti.

Un dibattito in sordina
Se fosse rispettato il principio basilare della repubblica secondo cui nessuno dev’essere abbandonato sul ciglio della strada, non dovrebbe esserci alcuna contraddizione tra questi due obiettivi. Ma è esattamente così che si sentono quei cittadini in buona fede che indossano i gilet gialli ormai da settimane.

Abbiamo la fortuna di vivere in una parte del mondo dove gli scettici del riscaldamento climatico sono in netta minoranza. In Francia è inimmaginabile che un presidente possa dire “gli ho dato un’occhiata, non ci credo…”, come ha fatto Donald Trump la scorsa settimana parlando di un rapporto ufficiale firmato da decine di scienziati per dare l’allarme sul clima.

Finora il dibattito francese era stato quello sollevato dal ministro dell’ambiente Nicolas Hulot quando ha annunciato le sue dimissioni a settembre: “Non facciamo abbastanza per salvare il nostro pianeta”, come hanno sottolineato 65mila persone che hanno manifestato il 2 dicembre a Bruxelles in concomitanza con la Cop24.

Idealmente bisognerebbe trattare la fine del mondo e la fine del mese con la stessa urgenza e senza sacrificare l’una o l’altra

I gilet gialli francesi non negano il cambiamento climatico, ma fanno presente ai politici che non vogliono essere le vittime di una transizione ecologica decisa senza tenere conto della loro situazione.

Idealmente bisognerebbe trattare le due problematiche, la fine del mondo e la fine del mese, con la stessa urgenza e non certo sacrificando l’una o l’altra. La risposta del governo non può essere quella di ignorare l’urgenza climatica e occuparsi solo del malcontento sociale, ma nemmeno quella di ignorare i problemi della società in nome della crisi climatica.

Quello che vale per il clima vale per le altre trasformazioni del nostro mondo. Se siamo arrivati a questo punto è perché abbiamo collettivamente dimenticato la dimensione umana di quella globalizzazione economica che ha aumentato enormemente la disuguaglianza.

Non dobbiamo commettere lo stesso errore con l’altra rivoluzione che si sta avvicinando, quella dell’intelligenza artificiale che minaccia molti posti di lavoro e potrebbe lasciare le masse sul ciglio della strada.

La parola d’ordine della Cop24 è proprio “la transizione giusta”. Finora questa giustizia è mancata in molte decisioni.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

pubblicità