×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

La crisi tra Gaza e Israele è politica non militare

Il sistema antimissile israeliano blocca i razzi lanciati da Gaza su Ashkelon, in Israele, 5 maggio 2019. (Amir Cohen, Reuters/Contrasto)

Ci sono due modi di reagire a questa nuova ondata di violenza, ora sotto controllo, tra Israele e i palestinesi nella Striscia di Gaza. Si possono ripetere i soliti slogan accusatori, a seconda che si sostenga Israele o si soffra per la tragedia degli abitanti della Striscia di Gaza, ma questo, evidentemente, impedisce di comprendere cosa sta realmente accadendo tra i due popoli vicini.

L’altro approccio è più politico e più complesso. Partiamo dalle peculiarità del momento: siamo a pochi giorni dall’apertura dell’Eurovision in programma a Tel Aviv, un importante appuntamento per l’immagine di Israele. Può sembrare futile, ma è la realtà.

Forse le organizzazioni palestinesi hanno pensato di poter fare pressione sul governo israeliano evitando il rischio di rappresaglie troppo brutali grazie alla coincidenza con l’Eurovision. Dal 5 maggio, Israele ha messo in chiaro che, a prescindere dal concorso canoro, la risposta ai lanci di razzi sarà sempre brutale. Considerando la presenza di vittime civili in Israele, l’opinione pubblica non avrebbe accettato nessun’altro tipo di risposta.

Il rapporto di forze tra l’esercito israeliano e i palestinesi è tale che l’obiettivo non può mai essere militare. Poche centinaia di razzi lanciati dalla Striscia di Gaza possono seminare il terrore tra i civili che vivono nel sud di Israele, ma non hanno alcuna possibilità di mettere in crisi il più potente esercito del Medio Oriente.

L’obiettivo è dunque politico, e illustra una dimensione poco conosciuta del contesto regionale. Dallo scorso autunno Israele e Hamas, l’organizzazione islamista che controlla Gaza, stanno negoziando tramite gli egiziani un allentamento della tensione in cambio di un alleggerimento del blocco imposto dallo stato ebraico ormai da un decennio.

In vista delle elezioni in Israele, Benjamin Netanyahu aveva allentato la presa durante la campagna elettorale, autorizzando il versamento di denaro proveniente dal Qatar nelle casse di Hamas e promettendo concessioni economiche. Alcuni la considereranno una mossa cinica, altri un atteggiamento pragmatico. Hamas ritiene le promesse non siano state del tutto mantenute, e deve aver pensato di poter ottenere di più.

Durante la campagna elettorale israeliana la questione palestinese è stata assente

In ogni caso, anche il fragile cessate il fuoco di stamattina è stato negoziato con la mediazione egiziana, e permetterà, almeno per un po’, di fermare l’aumento degli attacchi che hanno causato vittime civili da entrambe le parti (con quattro morti israeliani e 23 palestinesi, tra cui nove militanti armati), e che minacciavano di degenerare in guerra aperta.

Ma tutti sanno benissimo che la soluzione non sarà mai militare, a prescindere dai mezzi impiegati. Durante la campagna elettorale israeliana la questione palestinese è stata praticamente assente. Gli israeliani ritengono che lo statu quo – né guerra né pace – li favorisca.

Crisi come questa ci ricordano che solo una soluzione politica potrebbe mettere fine alle tensioni. Ma nessuno vuole saperne. Né Hamas che si nutre della tensione permanente, né Donald Trump che sostiene apertamente Netanyahu. Questa crisi sarà superata, ma i problemi di fondo non spariranno.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

pubblicità