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Le nomine di Biden nel solco di Obama, ma la strada è in salita

Il presidente eletto statunitense Joe Biden presenta la sua nuova squadra per la sicurezza nazionale nel Queen theater di Wilmington, nel Delaware, 24 novembre 2020. (Joshua Roberts, Reuters/Contrasto)

Se vi foste addormentati nel 2016 per risvegliarvi solo ieri, avreste notato una continuità impeccabile. Nella squadra diplomatica e di sicurezza presentata dalla futura amministrazione Biden, infatti, figurano nomi che fanno pensare a una sorta di “terzo mandato” per Obama.

Biden cerca in ogni modo di presentare il mandato di Donald Trump come una parentesi, un incidente di percorso della storia che gli Stati Uniti devono dimenticare alla svelta, sul fronte interno ma anche sulla scena internazionale.

Le donne e gli uomini che il 24 novembre erano al fianco di Joe Biden e Kamala Harris incarnano questa continuità. Quelli che sotto Obama erano spesso nella posizione di “numeri due”, sono stati promossi a “numeri uno” da Biden.

Squadra operativa e rodata
La scelta del presidente eletto fornisce prima di tutto l’immagine rassicurante di una squadra già operativa, rodata e padrona dei meccanismi dell’amministrazione, con in più una certa attenzione per l’equilibrio di genere e razziale.

Donald Trump non aveva una vera e propria squadra. Ricordiamo bene come si fosse circondato di alti ufficiali dell’esercito e di un ex amministratore delegato di Exxon, gli “adulti nella stanza”, come li aveva soprannominati il giornalista del New York Times Thomas Friedman.

La biografia delle persone presentate il 24 novembre è di altra natura: il segretario di stato Anthony Blinken è figlio di un diplomatico e ha frequentato le migliori scuole (anche a Parigi), mentre la futura ambasciatrice presso l’Onu Linda Thomas-Greenfield viene da una famiglia povera della Louisiana e ha vissuto il sogno americano fino ad arrivare ai vertici

Davvero Joe Biden avrà carta bianca per mantenere le sue promesse?

Il 24 novembre sono state ripetute parole come “valori”, “democrazia”, “verità” e “scienza”, come a voler sottolineare ancora una volta la differenza con un presidente uscente di cui non è mai stato pronunciato nemmeno il nome.

È evidente la volontà di annunciare che “America is back”, gli Stati Uniti sono tornati, pronti a riprendersi la leadership dopo quattro anni altalenanti. La squadra di Biden ha elogiato il multilateralismo, le alleanze, la collaborazione sui grandi temi. “Mister clima” John Kerry, l’ex segretario di stato di Obama che ha concluso l’accordo di Parigi, ha dichiarato che bisognerà andare oltre il trattato del 2015.

Ma davvero Joe Biden avrà carta bianca per mantenere le sue promesse? Le questioni da affrontare sul fronte interno saranno molte, e il Partito repubblicano è tutt’altro che sconfitto. Inoltre l’internazionalismo mostrato dal presidente eletto non è necessariamente condiviso dai suoi concittadini, il cui sciovinismo è stato alla base del successo di Trump.

Al di là delle buone intenzioni, gli Stati Uniti ritrovano un mondo diventato ancora più multipolare, meno regolato e più pericoloso. Tra l’altro l’epoca di Obama, a cui è legata la squadra di Biden, non è stata segnata da una diplomazia all’altezza delle sfide mondiali. Al contrario, Obama ha mosso i primi passi di un ripiegamento del paese su se stesso. Siamo davvero sicuri che “America is back”?

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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