×

Fornisci il consenso ai cookie

Internazionale usa i cookie per mostrare alcuni contenuti esterni e proporti pubblicità in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di più o negare il consenso, consulta questa pagina.

L’India travolta dal covid rivela la sua fragilità

La cremazione di alcune vittime del covid-19 a New Delhi, il 23 aprile 2021. (Danish Siddiqui, Reuters/Contrasto)

È la catastrofe che tutti temevano fin dall’inizio della pandemia, ormai quindici mesi fa: un’esplosione del numero dei casi con ospedali al collasso, pazienti che muoiono per mancanza di ossigeno e un governo travolto dalla tragedia.

Questo scenario si è concretizzato in India, dove i mezzi d’informazione locali parlano di uno tsunami. L’India, con una popolazione di oltre 1,3 miliardi di abitanti, aveva cantato vittoria poche settimane fa pensando di aver arginato una pandemia che l’aveva colpita meno di quanto ci si aspettasse. Ma il covid-19 non aveva ancora detto la sua ultima parola.

La tragedia è stata favorita delle decisioni sconsiderate da parte delle autorità, che hanno permesso enormi assembramenti religiosi di milioni di persone lungo le rive del Gange e l’organizzazione di grandi eventi politici in una regione che il primo ministro voleva conquistare a ogni costo. Tutto questo nonostante gli esperti avessero segnalato fin dalla metà di febbraio l’arrivo di una seconda ondata.

La risposta titubante
Le immagini sono sconvolgenti: cremazioni a perdita d’occhio, giorno e notte, e pazienti abbandonati sulle barelle con un erogatore di ossigeno. L’India precipita e ha chiesto aiuto.

La risposta iniziale è stata titubante. D’altronde non è facile aiutare gli altri quando si è in difficoltà. Ma alla fine l’Unione europea, il Regno Unito, alcune aziende private e la diaspora indiana si sono attivati per cercare di inviare agli ospedali indiani il materiale necessario, in particolare per la produzione di ossigeno.

Il premier Modi ha ammesso che la crisi sta “sgretolando la nazione”

Resta il fatto che alcune esitazioni lasceranno una traccia. Quando l’industria farmaceutica indiana, a corto di composti chimici, ha chiesto aiuto agli Stati Uniti, la prima reazione è stata un netto rifiuto. Il motivo è che Donald Trump aveva posto la produzione di vaccini sotto un regime di emergenza che vieta qualsiasi esportazione.

Lo shock provocato in India da questo rifiuto ha fatto capire rapidamente all’amministrazione Biden di aver commesso un errore, tra l’altro con un paese su cui gli Stati Uniti fanno molto affidamento per arginare la Cina. Il segretario di stato Antony Blinken ha scritto su Twitter che gli Stati Uniti forniranno all’India tutto l’aiuto necessario. Si tratta di una svolta di chiara matrice politica.

Il 25 aprile il primo ministro indiano, il nazionalista indù Narendra Modi, ha ammesso che la crisi sta “sgretolando la nazione”. Al momento è ancora presto per valutare il costo reale in termini di vite umane, perché le cifre, già vertiginose, sono probabilmente sottostimate a causa delle dimensioni del paese e delle forti disuguaglianze nell’accesso alle cure.

Ma per un paese che si considerava la “farmacia del mondo”, con una grande industria farmaceutica che ricopre un ruolo di primo piano nella vaccinazione mondiale, il colpo è durissimo. L’India si vede come grande potenza, soprattutto nell’ombra del suo grande vicino cinese, ma ancora non riesce a darsene i mezzi. La pandemia ha evidenziato la fragilità del “modello indiano”.

La crisi sanitaria indiana rischia di avere conseguenze anche altrove, perché è probabile che l’industria indiana sia costretta a esportare meno vaccini, soprattutto in Africa. Ancora una volta appare evidente che una pandemia viene sconfitta solo quando è debellata ovunque. Aiutare l’India è indispensabile per sperare, un giorno, di lasciarci alle spalle questo temibile virus.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale ha una newsletter settimanale che racconta cosa succede in Asia. Ci si iscrive qui.

pubblicità